Orchestra Popolare delle Dolomiti – Concier di testa. Ballabili e canzoni dai Monti Pallidi (Associazione Culturale Atelier Calicanto/Felmay, 2015)

La “sinfonia” popolare dell’orchestra dolomitica 

Registrato a maggio 2014, “Concier di testa” è stato finalmente pubblicato: è un CD che evoca la ‘nazione alpina’ di Roberto Leydi e riunisce nell’Orchestra Popolare delle Dolomiti venticinque musicisti, provenienti da nove gruppi dell’arco alpino: Abies Alba, Compagnia del fil de fer e Quartetto Neuma dal Trentino, Al Tei, Zephyros, Bandabrian, Calicanto e Mideando String Quintet dal Veneto, Pasui dall’Alto Adige/Südtirol. L’Orchestra intende dare visibilità ai repertori di musica e danze di questi territori, riaffermandone la dignità culturale ed estetica. Nello splendido libretto che accompagna il disco, comprendete contributi scritti di Marcella Morandini, Pietro Bianchi, Roberto Tombesi, Carmine Ragozzino, Guglielmo Pinna, Antonio Carlini, Modesto Brian e Domenico Zamboni (a questi ultimi due sono affidate le note di presentazione dei brani del CD), Francesco Ganassin, polistrumentista, compositore, improvvisatore, componente del gruppo Calicanto, racconta le scelte operate come arrangiatore e direttore musicale: «ri-suonare» melodie popolari scegliendo una «dimensione collettiva», privilegiando la «ricerca di combinazioni di unisono». A lui abbiamo chiesto di tracciare la cornice entro cui si muovono i quindici brani riuniti nell’album, dalla gavotte alle monferrine, dai valzer ai balletti, dalle ballate agli jodler.

Come sei stato coinvolto in questo progetto? 
L’idea originaria è di Roberto Tombesi e la mia adesione viene in seguito alla pubblicazione nel 2011 del libro “Ballabili antichi per violino o mandolino, un repertorio dalle Dolomiti del primo ‘900” (edito da Nota) sul ritrovamento del manoscritto in Cadore. L’amicizia che mi lega a Roberto, ed il fatto che lavoriamo assieme in Calicanto ormai da tredici anni, mi ha spinto ad aderire al progetto senza risparmiarmi, anche se mi erano chiare le difficoltà che un progetto del genere porta con sè. 

Come lavora quest’orchestra?
L’Orchestra è, ad un primo sguardo, un magico ed inspiegabile equilibrio. In realtà è il frutto del lavoro di un gruppo ristretto di persone e dell’adesione sincera e appassionata di una ventina di musicisti. Rimane in vita grazie a questi due fattori imprescindibili e come tale prende forma. La distanza rende tutto piuttosto complicato. È vero che skype e le e-mail sono ausilii importanti, ma l’incontro di persona, il confronto a voce seduti attorno ad un tavolo sono imprescindibili. E poi gli impegni personali di tutti, le differenze di vedute richiedono sempre una buona dose di pazienza e capacità di mediare, ascoltare e scendere a compromessi. È una bella sfida, sì.

Quali concerti ricordi? 
All’esordio, nel 2011, ero curioso di scoprire avrebbe reagito il pubblico. C’era la voglia di portare finalmente su un palco – ed era particolarmente importante quello di Itinerari Folk a Trento – il frutto di un lavoro così lungo ed articolato. Da lì in poi ricordo con emozione ogni concerto, vuoi per il contesto ambientale (ArteSella, Auronzo ad esempio) o per l’occasione speciale, o per il clima che si è creato sul palco. 

Qual è il rapporto con i materiali scritti, dai manoscritti ritrovati agli arrangiamenti?
Tutto il progetto nasce grazie al ritrovamento di un manoscritto in Cadore. Quel materiale ha preso poi una forma originale, che proponiamo come una nostra lettura, un modo per ridare vita al repertorio. Non necessariamente l’unico. La speranza è che altri si confrontino con questo materiale, vorrebbe dire che quella contenuta nel manoscritto è musica che ha ripreso a vivere.  Per rendere possibile tale processo di rivitalizzazione, si sono resi necessari la pubblicazione del libro sul manoscritto ed un lavoro di riscrittura, anche a costo di tradire la natura della musica popolare che tendenzialmente rifugge lo spartito. Ma mi pare il tipico caso in cui il fine giustifica i mezzi.

In che modo si sono venuti modificando repertorio e modo di suonare?
Si può dire che abbiamo acquistato naturalezza nell’approccio ad un materiale musicale che prima di questa esperienza orchestrale non avevamo mai suonato. C’è poi la consapevolezza della preziosità dello stare insieme, ed un legame più forte tra i musicisti. Penso che questo si percepisca ai nostri concerti. Il repertorio è più o meno quello che abbiamo provato fin dai nostri primi incontri, qualche anno fa. Il tempo ci ha aiutato a maturare consapevolezza nei confronti dei brani e delle potenzialità espressive dell’Orchestra.

Quali altri ensemble vi ispirano?
Gli arrangiamenti si sono plasmati sugli strumenti e sui musicisti dell’Orchestra, in un periodo molto lungo di prove e rifiniture. In tal senso è difficile indicare un ensemble di riferimento. Più facile svelare quali compositori/arrangiatori sono stati fonte di ispirazione per il lavoro di riscrittura. In tal senso ho spesso pensato ad una musica per immagini, visto che si tratta di un repertorio legato al paesaggio, quindi alla scrittura di un compositore di colonne sonore. Dovendo fare dei nomi mi sento di tirare in ballo il grande Joe Hisaishi, per la leggerezza e la freschezza quasi ingenua della sua scrittura.

In che modo questa musica ‘racconta’ un territorio?
La musica che suoniamo è memoria di un passato, un’istantanea del presente ed ha l’ambizione di essere un’ipotesi di futuro. È quindi intrisa del territorio, o meglio del paesaggio, in cui nasce e prende forma. Questo accade non solo dal punto di vista estetico, ma anche in un’ottica più articolata, perché un progetto come l’orchestra ha anche una valenza culturale in senso lato ed è per certi versi il nostro impegno politico. Accade a volte che la musica racconti un paesaggio, e scegliere come raccontarlo è una responsabilità che mi pare enorme.

Ci racconti scelte e produzione del CD?
Come puoi immaginare, la produzione del CD è stato un processo articolato. È stata fondamentale la collaborazione di Francesco Fabiano, che ci ha assistiti fin dalle prime prove, in concerto, in sala d’incisione e nel missaggio. Senza di lui non saremmo riusciti a completare questo lavoro. Le scelte di produzione sono state condivise e quindi sono frutto di discussioni e confronti. Difficile scendere nel dettaglio delle scelte, ma penso si colga l’ambizione di disegnare i contorni di un orizzonte estetico preciso. 

Desideri futuri?
Il mio desiderio più grande in questo momento è che l’Orchestra sopravviva in serenità. Non è affatto scontato, ahimè, vista la difficoltà di tenere in vita un organico così nutrito, con musicisti che provengono da zone molto lontane tra di loro. C’è l’entusiasmo e la dedizione di un gruppo ristretto di persone che si fanno carico di tutti gli aspetti organizzativi, e in questo senso la fiducia nei miei compagni di avventura mi rassicura, e sono fiducioso, ma capisco che se per ora l’Orchestra è un’utopia realizzata, si tratta pur sempre di qualcosa di estremamente fragile.


Alessio Surian

Orchestra Popolare delle Dolomiti – Concier di testa. Ballabili e canzoni dai Monti Pallidi (Associazione Culturale Atelier Calicanto/Felmay, 2015)
CONSIGLIATO BLOGFOOLK!!!

Il primo punto a favore di questo lavoro della Orchestra Popolare delle Dolomiti è l’ipotesi di base della complementarietà tra filologia e invenzione. Prospettiva esecrabile per alcuni, per i venticinque musicisti coinvolti è, invece, l’intelligente e ispirata visione da cui muovere per far ‘risuonare’ nella contemporaneità la raccolta (ma non solo quella) di manoscritti cadorini del primo Novecento. Si tratta di una documentazione pervenuta con un nitido tema melodico, ma sprovvista di riferimenti alle armonizzazioni o a seconde voci (eccetto in qualche passaggio). Per far rifiorire una memoria musicale di area dolomitica c’è, anzitutto, una concordia di intenti, di retaggi culturali e di attitudini musicali: le procedure adotatte hanno rispettato la fisionomia delle melodie. Ebbene, nelle partiture violini e mandolini hanno assunto il ruolo primario di strumenti portanti nell’insieme orchestrale; intorno si avvicendano flauto, cornamusa, arpa tirolese, organetto diatonico, oboe, violoncello, con chitarra, contrabbasso, harmonium, mandoloncello e percussioni (l’ensemble ne fa un uso ben dosato) a fornire l’apporto ritmico e armonico. Quanto alla vocalità, l’orchestra ci consegna differenti combianzioni canore, dal solismo alla coralità. Danze, antiche marce (“Antica marcia e monferrine” che, con le gavotte che aprono il disco, sono tra gli episodi migliori), suite di balli che testimoniano la diffusione di forme coreutiche in tutto il centro-nord, canti narrativi (“La Pastora”, “L’uselin del bosch”), canzoni (“Ponte de Priula”, un canto della Grande Guerra), canti rituali (“Agnoleti a uno a uno”, un canto di questua per la Stella, che in realtà arriva dalla Croazia), jodler tirolesi e brani d’autore (tra i quali la celeberrima “Stelutis alpinis”, oltre ad alcune melodie da danza composte da uno degli artefici della nascita dell’Orchestra, l’organettista e leader di Calicanto Roberto Tombesi) compongono il programma di “Concier di testa”, un disco diretto e ben suonato, rigoroso ma vitale, che ci fa viaggiare nel Triveneto, dal bellunese al Sud Tirolo, dal Friuli al Trentino, dal mondo istro-veneto alla bresciana Val Caffaro. Non da ultimo, va messo l’accento sul packaging del disco: un booklet di cento pagine in brossura, con un bel corredo di scritti e immagini.  


Ciro De Rosa
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