È appena uscito per le edizioni LIM il volume “L’arte di arrangiar(si). Trascrizioni e adattamenti storici dell’Archivio Musicale Rai”. L’autore è Andrea Malvano: musicologo, ricercatore e docente di storia della musica al dipartimento di studi umanistici dell’Università di Torino, con all’attivo diversi saggi e pubblicazioni su Schumann e Debussy, oltre che collaborazioni con alcune delle testate più importanti dello scenario musicale italiano: “Amadeus”, “Il Giornale della Musica” e “Sistema Musica”. Il libro - organizzato in modo da connettere la produzione musicale in questione alle dinamiche sociali e politiche che hanno determinato parte della storia contemporanea del nostro paese - è un insieme di piacevoli scoperte. Innanzitutto legate a ciò che ho appena accennato, cioè alla struttura d’insieme e all’organizzazione dei dati. In secondo luogo in relazione al tema trattato. Il quale, come non capita spesso, getta una luce su un processo (vorrei dire un fenomeno) non solo interessante perché nel suo insieme si presenta come (grazie ovviamente all’autore) coerente e “leggibile”, ma addirittura pieno di riflessi culturali, politici, estetici. Riflessi che ne definiscono un profilo articolato e complesso, nel quadro complessivo di uno sviluppo, di un’evoluzione, di una formazione che ai più rimane precluso. Sopratutto perché il tema di riferimento - la musica della principale emittente radiotelevisiva italiana - si configura esso stesso come sfuggevole: apparentemente irrilevante, generalmente ignorato oppure distrattamente e secondariamente considerato. Invece è un tema nel quale convergono fenomeni di importanza straordinaria, che determinano la necessità di analizzare la produzione musicale come si analizzano i fenomeni sociali. Quei fenomeni, cioè, prodotti in un quadro culturale e politico riconoscibile. Ciò che si richiede a chi interroga “questi” specifici elementi coincide più o meno con il motivo per cui non sono molti a studiarli. Vale a dire una formazione tecnica, cioè musicale, e allo stesso tempo la capacità di una visione d’insieme (per dirla grossolanamente), dalla quale possano emergere quelle straordinarie connessioni che, ad esempio, gli antropologi riconoscono nel linguaggio, nelle organizzazioni sociali, nelle espressioni normalizzate, nei dialetti, nei proverbi, nelle musiche popolari (le “funzioni” di queste e i cosiddetti “comportamenti musicali”), nei rituali. Malvano mette insieme tutto questo e lo allaccia a un’analisi lineare, ordinata. Che, prima di produrre ogni altra informazione (più analitica, più profonda), ci permette di capire che una produzione musicale è probabilmente tanto “complessa” quanto contraddittoria, tanto profonda e “da sciogliere”, da indagare tanto appaiono coerenti gli elementi che affiorano sulla sua superficie. Io credo che qui risieda l’interesse primario di questo volume: nell’aver sciolto una serie di nodi, dopo aver immaginato e compreso quanto stratificate fossero (sul piano tecnico, sul piano esecutivo, degli arrangiamenti, degli adattamenti, delle selezioni dei repertori) le produzioni musicali legate al processo di fruizione più ampio e trasversale che abbiamo in Italia. Le musiche dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (come ci incuriosisce fin dalle prime pagine l’autore) son d’altronde “posate” dietro la porta di un archivio dell’Auditorium “A. Toscanini” di Torino: un archivio “invisibile agli spettatori”, cioè ai tanti che “ogni settimana assistono ai concerti della stagione sinfonica”. Malvano - che arriva a scrivere il libro dopo un lavoro quadriennale nell’archivio - ci apre la porta e ci suggerisce ottimi motivi per riflettere su queste musiche. Motivi che sono tutti riflessi in alcuni dei capitoli o paragrafi più significativi del volume: “La germanizzazione del repertorio italiano”, “Le compilation operistiche”, “Il fascismo, il popolare e la musica”, “Negro spirituals”, “I classici al servizio delle orchestre leggere”.
Daniele Cestellini
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