Moon in June è il titolo dell'evento che si è svolto dal 19 al 21 giugno all’Isola Maggiore del Lago Trasimeno, in provincia di Perugia. È il risultato della convergenza delle idee di un gruppo di persone che hanno gravitato, per motivi differenti, intorno a Sergio Piazzoli, prematuramente scomparso circa un anno fa. Il nome di Piazzoli dice molto agli umbri, sopratutto a quelli che si occupano di musica. È stato il più importante organizzatore di eventi musicali della regione, ma sopratutto un animo visionario, capace di portare le sue visioni su un piano concreto, di realizzarle e, sopratutto, di condividerle con gli altri. In Umbria ha organizzato e promosso numerosi eventi musicali, invitando artisti di fama internazionale, ha strutturato una programmazione coerente di “stagione d’autore” e manifestazioni musicali riferite ad artisti, repertori, temi specifici. Da alcuni anni si era trasferito all’Isola Maggiore del lago Trasimeno, un fazzoletto di terra ricco di storia e cultura, ma abitato da una manciata di persone, dove non ci sono automobili e dove, senza retorica, sembra di penetrare una dimensione immobile. Dove si vive affondando i piedi in una natura e un paesaggio un po' decadenti ma rigogliosi, profondi, semplici e forti, resistenti. Dove il lago dà il meglio di sé, perché riflette e amplifica, in un fascio caleidoscopio di colori, ogni piccola scintilla di luce, ogni goccia che si sposta sulla sua superficie.
Questi piccoli particolari sono divenuti la cifra della manifestazione, che si potrebbe immaginare (anche se non si configura solo così) come una sorta di sonorizzazione del paesaggio, dentro un piccolo ma sterminato progetto che rovescia il processo di organizzazione dell’evento culturale. Qualche anno fa Piazzoli ha inventato “Music for sunset”: un raccordo tra piccole performance, non solo musicali, legate a doppio filo allo scenario straniante dell’isola e al tramonto estivo, cioè a quel vortice stordente di luce che trasforma e sospende la fine dei giorni in qualcosa di incomprensibile, di estremamente romantico, inquietante e visionario (appunto). Moon in June è un’esperienza evidentemente legata a quella visione. Anche se ha assunto i tratti di un evento determinato in modo più netto da alcuni musicisti e da alcune musiche (la prossima edizione sarà probabilmente diretta da Robert Wyatt). La scena è divenuta il fulcro della performance, attraverso un rovescio che assume esso tesso i tratti di un evento: la linea rosso fuoco sopra i monti dietro lo specchio piano e denso del lago, le piante e i cespugli neri in controluce, le ombre degli artisti che sembrano nuvole di fumo, dai tratti incomprensibili, impalpabili.
Una grande sfocatura, come quando si chiudono gli occhi dopo aver guardato a lungo i riflessi del sole e si lavora, da soli, a creare e ricreare qualcosa che non è stato visto fino in fondo. Allora ecco che come a occhi chiusi, durante il tramonto, dentro un silenzio e un’opacità diffusi e avvolgenti, ci infilano i suoni dei musicisti. E tutto assume l’odore di un’esperienza straordinaria e irripetibile. Perché non solo non si è mai respirata una performance calata in uno scenario così apparentemente agli antipodi, ma stando lì si è subito consapevoli che un po' di vento, oppure una nuvola frapposta tra il cielo e il lago, cambierebbe tutto. Perché tutto è delicato e momentaneo. Ecco allora dove convergono realmente gli elementi più significativi dell'evento: in ciò che si vede e sente in quell'unico momento. Moon in June (elaborando la visione di Sergio Piazzoli) ha voluto eleggere questa dimensione visuale e temporale come centro dell'evento, ampliandone, attraverso la condivisione, la forza evocativa. “Moon in June” in omaggio al celebre brano di Robert Wyatt (in un gioco di rimandi e connessioni inestricabili con la figura di Piazzoli), il quale è oggi il presidente onorario della fondazione "Sergio per la musica", recentemente costituita per continuare l'opera di Sergio. Moon in June come intuizione fondata sulla metodologia a ritroso, la sintesi, la decostruzione.
Vinicio Capossela - che ha preparato per la serata finale il concerto dal titolo “Sirene d’acqua dolce” - ne è divenuto, per questa prima edizione, il direttore artistico e ha ripercorso l’idea di Piazzoli, al quale è stato legato da una forte amicizia fin dagli inizi della sua carriera. La sera del 19 l'apertura del programma è stata affidata a Giovanni Guidi, pianista tra i più talentuosi della scena jazz internazionale. L'immagine del suo pianoforte a pelo d'acqua, sulla riva del piccolo molo rivolto a ovest, ha rappresentato la sintesi migliore di un festival che ha voluto - raccogliendo gli elementi di cui ho accennato - spingere l'immaginazione, la contemplazione, dentro una dimensione il più possibile onirica, al limite del reale. Le altre due sere, invece, hanno ruotato in modo più stretto intorno alla memoria di Piazzoli. Prima sabato 20 con lo spettacolo “A Touch of Grace”, proposto da Alessio Franchini con special guest Gary Lucas, il chitarrista americano che ha composto con Jeff Buckley alcuni dei brani del disco “Grace”, proposto per l’occasione come omaggio a uno degli artisti più amati da Piazzoli. La serata è stata straordinaria, sopratutto per il trasporto che i musicisti hanno diffuso nel piccolo prato in riva al lago, dove la chitarra di Lucas sfidava le folate di vento e si riempiva, mentre saltellava con quelli arpeggi un po' pop e un po' psichedelici, acidi, dei respiri del lago (appena dietro di lui) e del pubblico.
Poi con “Sirene d’acqua dolce”: profondo, lungo, forte, calato fino in fondo nella quiete surreale del lago (“perché è nel canto delle sirene che ritroviamo tutti quelli che abbiamo amato”), in cui Capossela ha elaborato un linguaggio sospeso tra l’estemporaneità e il ricordo, l’ispirazione legata all’esperienza. Proponendo un concerto pieno di sorprese: dall’inizio intimo al piano solo - con brani com “Vorrei che fossi qui”, “Una giornata senza pretese”, “Le case”, “Non c’è disaccordo nel cielo”, “Non è l’amore che va via” - fino al duetto con Gary Lucas (con il quale ha interpreto una lettura del suo libro “Non si muore tutte le mattine” e alcuni brani di Buckley), passando per l’omaggio alle sirene, con la sua band e il Trio Amadei. E tendendo, infine, la sua musica verso alcune delle espressioni più belle della musicalità umbra, grazie alla presenza dell’ensemble Micrologus (“un altro dono che mi ha fatto Sergio è stato quello di farmi incontrare questi straordinari musicisti durante un indimenticabile concerto davanti alla basilica di San Francesco”).
Daniele Cestellini
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