Il mandolinista Avi Avital e il clarinettista Gilad Harel hanno condotto il pubblico in un fascinoso viaggio nel tempo musicale. Al loro fianco il giovane Quartetto Fauves, una novità italiana di cui prendere nota per il futuro. Il viaggio comincia con le atmosfere romantiche di C. M. von Weber e il rigore formale di J. S. Bach in atipiche trascrizioni: «Il mio precedente album era dedicato tutto alla musica di Bach, scritta originariamente per diversi strumenti. Con le trascrizioni per mandolino ho voluto sottolineare l’aspetto universale e assoluto di questa divina musica, commenta il musicista trentasettenne originario di Be’er Sheva, entrato precocemente, a soli otto anni, in una piccola orchestra giovanile di strumenti a pizzico. D’improvviso una brusca virata, un inatteso salto in avanti, la prima italiana di “Clarinez”(2004) di Jonathan Keren. Il brano, affidato al clarinetto solo di Harel, stride inevitabilmente con le garbate sonorità dei grandi classici tedeschi. A parlare, per voce del clarinetto, sono le molteplici esperienze musicali del suo creatore: la musica ebraico-cubana col Sexteto Rodriguez, la tradizione turca degli Ottomans e la musica contemporanea del Meitar Ensemble, nel quale l’abilità violistica di Keren si combina proprio con il talento di Harel.
Segue un fragoroso applauso, premio sicuramente più alla maestria dell’incontenibile clarinetto, che alla non digeribilissima composizione di Keren. Dopo una pausa, caratterizzata dalla lodevole iniziativa di premiare degli studenti delle scuole medie per i loro vivaci temi-recensioni su alcune conferenze-concerto della serie “Musica Pourparler” (organizzate dalla IUC in autunno proprio in quella stessa sede), il viaggio ricomincia. A sedersi per primo al timone è questa volta Avital. Sotto lo scorrere delle sue dita, il mandolino, appositamente creato del liutaio israeliano Arik Kerman, manifesta tutta la sua diversità dal tradizionale modello napoletano. Che l’insolito esemplare sia stato pensato per gareggiare con gli strumenti ad arco sia nel volume sonoro, che nel range dinamico, appare evidente ascoltando “Nigun”, tratto da “Ball Shem” di Ernest Bloch. Intanto il pubblico si sforza di star dietro alle mani di Avital che scorrono vertiginosamente sulle corde. È la volta del trittico che ha maggiormente sbalordito il pubblico. Si comincia con “Cymbeline per mandolino e quartetto d’archi” (2013) di David Bruce, compositore inglese in grande ascesa, scritta espressamente per Avital. Il primo movimento “Sunrise” incanta con le sue atmosfere orientali, “Noon” e “Sunset” con i loro ritmi, incalzante l’uno e meditativo l’altro, aprono al pubblico panorami musicali fascinosi e lontani: «Penso che l’idea del pezzo sia il sole che emerge dai colori del quartetto e del mandolino insieme …
Vedo il pezzo come una contemplazione del nostro rapporto con questo ardente datore di vita, il cui significato per noi è spesso trascurato nel mondo moderno, ma che in realtà regna ancora su di noi» (D. Bruce). Si passa poi alle “Danze popolari rumene” di Béla Bartók, durante le quali al pubblico non sarà sfuggita la gestualità quasi esibita degli arti e dei corpi dei musicisti, un inevitabile rimando ai movimenti e passi di danza tipici della tradizione contadina cui queste composizioni si ispirano. Infine, un medley di brani della tradizione klezmer (la IUC quest’anno ha già ospitato un altro gigante come David Krakauer), trascina mandolino e archi in un vertiginoso caleidoscopio sonoro, sotto la guida scatenata e scanzonata del clarinetto di Harel, autore dell’arrangiamento. Il bis è dedicato a Dave Terras (la splendida “2nd Avenue Square Dance”), mentore negli anni ’70 e ’80 di tanti musicisti klezmer oggi divenuti celebri, ma per tutti semplicemente “the king of klezmer”.
Guido De Rosa
Foto di Damiano Rosa
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