Steve Earle & The Dukes - Terraplane (New West, 2015)

Il caro, vecchio, irascibile, e pluridivorziato (sette volte... una specie di record!) Steve Earle รจ tornato in pista con “Terraplane”, disco dal titolo che sembra rimandare ad un’auto finita dentro ad un blues di Robert Johnson, e nel quale รจ racchiusa l’America quella che รจ dentro, o ha appena superato una nuova depressione. Chi meglio dei bluesman รจ stato capace di analizzare quello che succede al cuore dell’uomo quando vive una crisi? La crisi non รจ solo ed esclusivamente quella economica, che tocchiamo ogni giorno, ma รจ anche quella morale, interiore, quella culturale. Un esempio pratico di tutto questo รจ nel mitico Novi Park di Modena, l’ex Parco Novi Sad dove si teneva il Pavarotti International, dove di recente hanno costruito anche un parcheggio sotterraneo immenso, nonostante il ritrovamento di numerosi reperti archeologici. Vedere in questo spazio immenso decine di persone che rovistavano tra scatole vuote e stracci lasciati dal mercato settimanale, mi ha rimandato direttamente all’idea e alla visione della povertร . Questa condizione i bluesman l’hanno vissuta, interiorizzata, e raccontata in modo mirabile. “Terraplane” per Steve Earle, avrebbe dovuto essere il disco blues, ma purtroppo รจ un free flow di qualcuno che non vuole fieramente adeguarsi, che va per la sua strada, anche facendosi odiare in qualche modo per l’atteggiamento. Sin dallo splendido “Guitar Town”, Steve Earle si รจ fatto apprezzare per la sua voce inconfondibile, la sua scrittura asciutta e poco strutturata, il suo appeal e la sua visione dell’America assolutamente originale, ma in questo caso c’รจ un po’ di latente delusione nel risultato finale. Dal punto di vista sonoro il disco รจ assolutamente ben congegnato e frizzante con le sue belle chitarre, le sue distorsioni, e la ritmica densa di groove. Allo stesso modo anche le storie si ascoltano volentieri, e funzionano proprio perchรฉ riflettono la sua visione delle cose, ma quello che non convince รจ il suo atteggiamento nell’esternare la sua visione del blues. Ciรฒ che รจ difficile digerire รจ il suo approccio da complottista americano, che lo porta a dire di non credere che Shakespeare abbia scritto le sue opere teatrali. Questa puerilitร  acritica fa giร  ridere negli americani, e ancor di piรน accade quando Steve Earle sembra accodarsi a questa mania. Dare per scontato che questo sia un grande disco, solo perchรฉ รจ nato dalla penna di un americano ha un po’ del ridicolo, proprio come accadde sul palco del Vox qualche tempo fa, quando Earle fece un concerto cosรฌ svogliato e scazzato, che negli States gli avrebbero tagliato la barba. Il limite che ha caratterizzato le piรน recenti produzioni del cantautore della Virginia รจ tutto qua, come lo รจ l’aver scelto di non avere alle spalle una vera e propria band che lo supportasse in modo adeguato anche sul palco. Insomma “Terraplane” รจ la conferma di come l’ispirazione di Steve Earle stia latitando da molto tempo, e in questo anche il suo approccio al songwriting non sembra giovare piรน di tanto.


Antonio "Rigo" Righetti