Filippo Andreani - La prima volta (Master Music, 2014)
Si intitola “La prima volta” il nuovo disco di Filippo Andreani. Autore e artista interessante, trasversale, che con questa sua terza opera ci regala un insieme di visioni limpide, impastate dentro dieci tracce dritte e ricche di spunti. L’atmosfera ci ricorda uno spazio a metà strada tra un cantautorato spesso elettrificato (“Che ti sia lieve la terra” esce dallo schema con un suono soffice e più tradizionale, nel quale rimangono però il rigore di una narrazione testuale ricca, descrittiva, e un suono acustico ma compatto e melodico) e una tensione da live (“Veloce”). Quest’ultima caratteristica è inquadrata sopratutto nella sonorità dei Linea, la band che lo accompagna e che riflette senza sbavature uno dei mondi di provenienza di Andreani, che si affaccia, come gli altri, a sorreggerne il canto (“Il prossimo disco dei Clash”). Quei mondi affiorano anche attraverso due elementi importanti e che non si può fare a meno di segnalare. Il primo è dato dall’insieme dei temi, dalle immagini che prendono forma dentro le parole di Andreani (“Tito ti dico una cosa/ questo muro è alto/ ma potremmo anche abbatterlo”). Il secondo è dato dalle partecipazioni di artisti che si configurano come riferimenti determinanti di uno stile composito (come dicevo prima trasversale), che assume un profilo non scontato. Un profilo che, nella misura in cui riesce a “spostare” il senso del racconto e, in generale, della produzione di questo disco in uno spazio non convenzionale fino in fondo, ne definisce un contorno sicuramente più complesso e sopratutto una prospettiva piena di potenzialità: sul piano del suono, delle descrizioni. Sul piano del messaggio, che già qui evoca molte storie, che vengono assemblate fuori dalla retorica celebrativa o semplicisticamente politica. Si parla della Resistenza italiana (“Canzone per Delmo”) insieme a Marino Severini dei Gang (“La storia sbagliata, uno dei due dischi precedenti di Andreani, racconta le vicende del capitano Neri e della staffetta Gianna, partigiani della Brigata Garibaldi operante sul Lago di Como), di Piero Ciampi (“Lettere da Litaliano”), dei Clash. E si costruisce una trama compiuta attraverso uno dei nodi fondamentali della narrazione efficace: l’intreccio e la sovrapposizione parziale tra la visione privata (la vita provata) e le storie conosciute e condivise.
Daniele Cestellini
Roberto Michelangelo Giordi - Il soffio (Odd Times Records/Egea, 2015)
Cantautore tra più originali emersi negli ultimi anni dal mondo della canzone d’autore italiana, Roberto Michelangelo Giordi, vanta un solido percorso artistico nel corso del quale ha dato alle stampe due album “Con il mio nome” nel 2011 e “Gli amanti di Magritte” nel 2012. Proprio quest’ultimo gli ha consentito di raccogliere grandi apprezzamenti dalla critica, non solo per la sua particolare struttura suddivisa in due parti o lati come un vecchio lp (“racconti d’amore” e “racconti di guerra”), ma anche per il riuscito intreccio tra canzone d’autore e sonorità etniche, classiche ed elettronica che lo caratterizzava. A distanza di tre anni lo ritroviamo con “Il Soffio” disco che raccoglie dodici brani prodotti da Gigi De Rienzo, e caratterizzati da una grande eleganza interpretativa unita ad arrangiamenti che rimandano ora alle sonorità ethno-world ora alla migliore tradizione cantautorale italiana. Quasi fosse un concept album, il disco ruota intorno al tema del ricordo e della memoria, viste come il bagaglio fondamentale da portare con sé alla ricerca di nuove frontiere dell’anima. Emerge così tutta la sensibilità di Giordi nel raccontare le emozioni della vita, la complessità del rapporto tra l’uomo e la Terra, ma soprattutto l’esternare l’esigenza di ritrovare come riferimento gli elementi della Natura, l’unica che sfugge allo scorre del tempo. Durante l’ascolto emergono così brani come la poetica “Il Vecchio e Il Mare” e la suggestiva “Il Soffio”, cantata in duetto con Annalisa Madonna e scelta come singolo apripista dell’album. L’album regala un susseguirsi di brani pregevoli come “Polvere di Stelle” e “D’Amore Mariù”, ma il meglio arriva quando Giordi si confronta con altri artisti come Amelie nella splendida “L’amore nell’era glaciale” e Thieuf ne “Il Temporale”. Insomma “Il Soffio” è un disco tutto da ascoltare tanto per la cura realizzativa che ne caratterizza gli arrangiamenti, quanto per la scrittura originale e densa di poesia di Giordi.
Denis Guerini – Vaghe Supposizioni (Volume! Records, 2014)
Denis Guerini è un cantautore dalla formazione poliedrica spesa tra l’etno-folk dei Krosmos al grunge dei Karnea, spaziando per l’intreccio tra jazz, funk e klezmer dei Betty Bop, fino ad approdare alla canzone d’autore con il suo debutto “Paesaggi da guardrail” del 2007. Dopo aver dato alle stampe “I Giorni della Fionda” contenente sei brani tratti dallo spettacolo di teatro-canzone “È facile smettere di essere ottimisti (se sai come farlo)” di Emanuele Mandelli nel 2012, lo ritroviamo a due anni di distanza con “Vaghe Supposizioni”, disco che raccoglie nove brani, frutto di una continua ricerca sia in ambito musicale, sia in quello visivo, non a caso sono stati proposti dal vivo con i video creati da Elisa Tagliati. Dall’ascolto emerge come il songwriting di Guerini miri a superare la forma canzone per aprirsi ad un dialogo continuo con il teatro, ma ciò che colpisce in modo particolare è la sua capacità di saper dosare intimismo ed ironia nell’affrontare temi come l’amore, le relazioni di coppia, il quotidiano e la memoria. Così, animato dal dubbio come un’indagatore senza risposte sicure, Guerini ci racconta di una scarpa che sbuca dal ciglio della strada nella penombra notturna (“La Scarpa”), di crisi sentimentali vinte con l’oroscopo e il vino (“Il Max”), di giochi con l’immaginazione (“L’esercito di grando”), e dei contrasti interiori (“L’orgia dell’esplicito”, “La Terrazza”). Sul finale colpiscono le immagini di una vacanza in Sardegna de “Il maestrale”, la poesia de “Il merlo e la gazza”, ma soprattutto quel gioiellino che è la conclusiva “Notte Insonne”, che suggella un disco di ottima fattura in cui si intrecciano canzone d’autore e teatro.
Raffaele Tedesco – Che Mondo Sei (Ara music, 2014)
Raffaele Tedesco è un giovane cantautore lucano con alle spalle un intenso percorso formativo ed artistico speso tra il C.e.t di Mogol, e l’attività di compositore di colonne sonore per la Rai. Negli anni la sua attività musicale si è indirizzata sempre verso una attenta ed accurata ricerca sonora, volta all’arricchimento della sua personale cifra stilistica nella quale fanno capolino diverse influenze ispirative. Dopo aver dato alle stampe già tre dischi come solista, tra cui il più recente “Ho Un Nome Live”, lo ritroviamo alle prese con “Che Mondo Sei” disco, realizzato con il sostegno di Apt Basilicata e Lucana Film Commission, e nel quale ha raccolto nove brani scritto con Angelo Parisi, attraverso il quali ha compiuto un viaggio di ritorno verso l’essenza della forma canzone. Ad affiancarlo in questo nuovo episodio discografico è un gruppo di ottimi musicisti, supervisionati da Daniele Chiariello, e composto da Francesco Canzoniero (batteria), Domenico Dalessandri (basso), Rocco Lapadula (chitarra elettrica), e Franco Frezza (piano). Ciò che emerge, durante l’ascolto, è l’approccio al songwriting di Raffaele Tedesco, il quale spaziando attraverso generi musicali differenti, ci racconta le difficoltà, le gioie, le delusioni, e i sentimenti più nobili della nostra anima, astraendole dalla vita virtuale che l’uomo vive in questi tempi aridi. La sua voce diretta ed intensa ci regala così alcune piccole perle di puro pop-rock come nel caso dell’iniziale “Cocci di dolore”, delle canzoni d’amore “E’ solo una pazzia” e “Ti Voglio Accanto”, ma soprattutto la conclusive “E ritrovo la vita”, uno dei brani migliori del disco, in cui emerge il lato più introspettivo del suo fare canzone. Insomma “Che Mondo Sei” è un altro tassello importante della carriera di Raffaele Tedesco, che siamo certi in futuro saprà ritagliarsi un posto di rilievo nella scena musicale italiana.
Mike 3rd – In The Wood (MaRaCash Records, 2014)
“A un certo punto della tua vita se ti dedichi anima e corpo all’arte e alla musica, è naturale sentire di doversi abbandonare all’esigenza creativa che ti porta ad esplorare in libertà. Questa è la forza guida. Poi decidi di chiedere ad amici collaboratori che stimi in modo incondizionato di condividere con te un percorso emozionale come quello di un disco. In The Wood rappresenta il mio essere uomo di passioni, di istinto, riassume in tutte le sfumature chi sono, come sono, cosa mi piace”, così Mike 3rd presenta il suo quarto disco come solista “In The Wood”, nel quale ha messo a frutto le sue precedenti esperienze artistiche, dando vita ad una raccolta di undici brani all'insegna di un sofisticato ed elegante rock acustico. Registrato completamente in analogico presso i Prosdocimi Recording Studios, privilegiando l’approccio esecutivo piuttosto che l’impatto sonoro, il disco è un indagine sull'essenza del suono e sulla natura delle vibrazioni che corde, pelli e bicchieri di cristallo generano nella costruzione delle melodie. In questo senso fondamentale è stata la scelta di farsi accompagnare da un gruppo di strumentisti diverso per ogni brano, lasciandosi guidare dall’atmosfere e dall’intensità del momento. Così al suo fianco troviamo ben tre batteristi ovvero i grandi Pat Mastelotto e Benny Greb e l’amico di sempre Alberto, nonché una parata di stelle in cui spiccano Scott Steen, Kicco Montefiori, Roberta Canzian, Alessandro Arcuri, Giulio Campagnolo, Sofia Borgo e il quartetto d'archi composto da Francesco De Santi, Matteo Graziani, Andrea Scaramella e Maurizio Galvanelli. Sin dal primo ascolto, ciò che colpisce è come le atmosfere rock dei suoi lavori precedenti abbiano lasciato il posto ad un sound morbido in cui spiccano melodie ricercate in cui fanno capolino influenze soul, blues, folk e jazz. Se da un certo punto di vista si potrebbe parlare di un album di impostazione prog-acustica, andando più a fondo si scopre come gli spazi strumentali mirino alla valorizzazione della forma canzone, piuttosto che a ritagliarsi uno spaccato lirico autonomo, come nel caso dell’iniziale “Shine a Light”, o delle splendide “Queen Of The Night” e “Joy”, due tra i migliori episodi di tutto il disco. Con la complicità di Ronan Chris Murphy, che lo ha coadiuvato nella produzione, Mike 3rd ha dato vita ad un disco di grande suggestione, nel quale la cura compositiva si unisce ad un approccio illuminato negli arrangiamenti. Per gli amanti dell’immarcescibile Lp è disponibile una versione in serie limitata - artigianale e numerata a mano - in Vinile 180 grammi con copertina in legno di ciliegio, schede su carta pregiata e compact disc in busta di carta cedro incluso.
Nicola Barghi – Elettroshock (RockEstra, 2014)
Qualche anno fa nel recensire “Sunny Day” di Nicola Barghi, sottolineammo come questo giovane cantautore toscano fosse riuscito a svelare una interessante connessione tra la canzone d’autore italiana ed il brit pop. A distanza di circa quattro anni lo ritroviamo alle prese con un nuovo album, “Elettroshock” nel quale ha messo in fila undici brani nuovi di zecca, che mettono in luce la sua piena maturazione dal punto di vista compositivo. Il sentirsi maggiormente consapevole delle proprie potenzialità, ha fatto sì che emergesse a pieno l’originalità della sua cifra stilistica, frutto di oltre un decennio di esperienze musicali in ambiti differenti. Il risultato è un disco dal sound vivace e solare, nel quale il cantautore toscano partendo da una matrice pop-rock, si è divertito a contaminarle con spruzzate di elettronica come nel caso della trascinante “A Show”, echi di rockabilly (“Little Girl”), e deviazioni verso il rock (“We Felt Fine”), tuttavia il vertice del disco è da rintracciarsi nei brani cantati in italiano ovvero “Bugie” e “Elettoshock”, nelle quali è più evidente la sua crescita nell’approccio compositivo. Le due belle riletture di “Lonely Boy” dei Black Keys e “Old Brown Shoe” dei Beatles, suggellano un disco dal grande potenziale radiofonico che non mancherà di far divertire quanti gli dedicheranno la propria attenzione.
Il Rebus – A cosa stai pensando? (Volume! Records, 2014)
Nato nel 2009 dall’incontro tra quattro musicisti comaschi Paolo Ghirimoldi, Daniele Molteni, Cristian Oberti e Fabio Zago, Il Rebus, nasce inizialmente come un progetto speciale per proporre dal vivo cover, rilette attraverso un approccio musicale originale, ma già alcuni anni dopo li ritroviamo alle prese prima con l’ep omonimo, che apre la strada alla composizione di brani inediti, e successivamente con un singolo con tre brani realizzato in collaborazione con Filadelfo Castro. La vera svolta nel loro percorso artistico arriva però con “A cosa stai pensando?”, album di debutto sulla lunga distanza, prodotto da Max Zanotti, e nel quale hanno raccolto undici brani di impronta cantautorale, che compongono un viaggio attraverso un’Italia che lentamente sta perdendo la memoria, dove tutto è ostentatamente social, e in cui le parole sono usate per non dire piuttosto che per dire, dove la sostanza è stata sminuita e spogliata a vantaggio della forma. Avvolti da strutture melodiche per nulla scontate i brani spaziano attraverso i temi della denuncia sociale contro la disinformazione (“Quello che non dico”), la corruzione dei politici (“Roma Brucia”), le distorsioni sociali che genera la religione (“La Notte Urla”), e la lotta al razzismo che ritorna nelle intensissime “Nei Ghetti d’Italia” e “… Questo non è Un Uomo”, entrambe ispirata ad un brano di Adriano Sofri, e la drammatica “Vuoti a Rendere”, ispirata all’aggressione ai danni di alcuni braccianti immigrati avvenuta a Rosarno nel 2010. In questo contesto vanno lette anche la bella canzone d’amore “Gerontocomi” che apre il disco, e la riflessiva “Avere Trent’Anni” dedicata a quel momento della vita in cui è necessario decidere se chiudere gli occhi per convenienza o alzare la voce. Sul finale, l’attenzione si sposta poi sulla crisi economica che mette alle strette i piccoli imprenditori rubandogli anche la dignità (“Scie”), le diseguaglianze sociali (“Equità”) e l’arrivismo a tutti i costi (“Sara”), che rappresentano ulteriori tasselli di un ritratto crudo della società Italiana. Insomma “A cosa stai pensando?” sin dal titolo è un invito alla riflessione, declinato attraverso un songwriting originale e per nulla scontato.
Salvatore Esposito
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Storie di Cantautori