L’Arpeggiata è un ensemble elastico e aperto, composto da musicisti di varia estrazione e coordinato da Christina Pluhar, musicista, conduttrice di orchestra e suonatrice di tiorba, un liuto a manico lungo conosciuto anche come chitarrone. Il nome de L’Arpeggiata - che la Pluhar ha fondato nel 2000 - coincide anche, e in modo sempre più convincente, con una progettualità musicale differenziata che, sebbene sia principalmente ispirata alla musica barocca (con un’attenzione particolare alla tradizione italiana del primo Seicento e a Monteverdi), si muove tra generi differenti e, a volte, molto distanti tra loro. Un movimento che contribuisce a definire il profilo di una narrativa musicale senza dubbio originale - spesso imperniata su soluzioni sottili, apparentemente stridenti e agli antipodi - nella quale convivono i repertori, le tecniche esecutive, gli strumenti della tradizione barocca (chitarra barocca, violino barocco, arpa, clavicembalo, cornetto) e una progettualità “contemporanea” che, oltre ad abbracciare culture e generi diversi, organizza una grammatica nuova, legata all’improvvisazione e alla strumentazione moderna e “trasversale” (clarinetto, chitarra elettrica, acustica e battente, piano, contrabbasso). L’idea di tratteggiare un orizzonte esecutivo più esteso ha attraversato tutta la ricca discografia dell’ensemble - all’interno della quale troviamo anche “La Tarantella: Antidotum Tarantulae”, disco del 2002 con Lucilla Galeazzi e il tenore napoletano Marco Beasley, dedicato alla danza e al repertorio musicale di tradizione orale legato al tarantismo - e ha raggiunto una forma compiuta in “Music For a While. Improvisations on Purcell”, il nuovo album di cui parliamo in queste righe. La forma ci appare compiuta sopratutto perché il risultato, oltre a essere gradevole all’ascolto e non soccombere al manierismo “colto”, è sorprendente sul piano delle sonorità (ricche, articolate, originali, equilibrate), degli arrangiamenti (vivaci, sperimentali, profondi), delle esecuzioni (lineari, “spontanee”, partecipate) e, in generale, del flusso musicale, del ritmo, dell’andamento. Un flusso continuo e coerente, nel quadro del quale si sviluppano interazioni tra suoni bilanciati (“Music for a while” e “Now that the sun hath veiled his light” ne sono ottimi esempi). Un flusso musicale estremamente “morbido”, come “morbide” sono le voci enigmatiche e seducenti dei cantanti Raquel Andueza, Vincenzo Capezzuto e Dominique Visse, così come “morbidi” sono gli spettri sonori che si sviluppano nelle interazioni degli strumenti. Nel sottotitolo “Improvisations on Purcell” viene dichiarato l’intero progetto. Innanzitutto la provenienza, la sorgente: sedici delle diciassette tracce di cui è composto l’album sono tratte dal repertorio del compositore inglese Henry Purcell (1659-1695) (l’ultimo brano è “Hallelluja” di Leonard Cohen, cantato dalla voce fascinosa e ambigua di Vincenzo Capezzuto, il quale compare in tre dei dischi precedenti a questo: “Via Crucis”, “Los Pajaros perdidos” e “Mediterraneo”). Il secondo elemento annunciato - e che, insieme all’interazione tra strumenti e linguaggi contrassegna il progetto e lo stile de L’Arpeggiata - è l’improvvisazione. Un elemento che, forse in misura maggiore degli altri di cui si è detto, definisce l’interpretazione di un repertorio “aperto” e, in questo senso, originale e rinnovabile. Come ha sottolineato la stessa Paulher, “i musicisti di quell’epoca sapevano improvvisare. Quelli che come me si dedicano a quel repertorio sono arrivati all’improvvisazione per gradi. Prima, e penso alle generazioni dei nostri maestri, è stato necessario approfondire lo studio sul repertorio, sulla tecnica, sulle caratteristiche degli strumenti. Ora, grazie proprio a quegli studi e al tipo di formazione resa possibile dall’impegno di quei maestri, possiamo andare oltre: possiamo improvvisare, cercando di capire come lo si può fare secondo i canoni dello stile barocco”.
Daniele Cestellini
Tags:
Musica Antica