Da alcuni anni, il Comune di Milano patrocina con successo incontri culturali a favore della conoscenza del flamenco, arte interculturale e pluridisciplinare che dal 16 novembre 2010 è stata inserita nella “Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità” stilata dall’UNESCO.
Organizzato dall’Associazione culturale “Punto Flamenco”, il Festival, oltre che dal Comune, ha ricevuto il patrocinio del Ministero della Cultura Spagnolo, dell’ “Oficina Cultural” (Ambasciata di Spagna a Roma) e del Consolato Generale di Spagna a Milano. La prima edizione si è svolta nel 2008. Questa settima edizione è stata dedicata alla memoria di tre illustri maestri: Francisco Sánchez Gómez, in arte Paco de Lucía (si veda la retrospettiva pubblicata su Blogfoolk n. 158), Pastora Imperio (1887-1979) e Carmen Amaya (1918-1963).
Pastora Imperio è stata una delle più rappresentative ballerine di flamenco, omaggiata da artisti (ad esempio il pittore Julio Romero de Torre), musicisti (a lei s’ipirò Manuel de Falla per “El Amor Brujo”) e registi.
“Bailaora” e interprete d’eccezione, Pastora Imperio si distinse nella vita come donna moderna, fuori dagli schemi convenzionali, indipendente e innovatrice, particolarmente apprezzata per la sensualità dei lenti movimenti, rafforzata dall’eleganza degli abiti, tra cui la cosiddetta “bata de cola”, un attillato vestito con strascico.
A lei nel Festival è stato dedicato, in prima nazionale, lo spettacolo “Cartas a Pastora”, diretto dal “bailaor” Ángel Rojas, affiancato dalla Compagnia di Susana Lupiáñez, con Curro de María alla chitarra, Antonio Campos e Antonio Núñez “El Pulga” al canto, Nelson Doblas al violino e David Galiano alle percussioni. Carmen Amaya, estrosa e scattante ballerina di origine gitane (cresciuta a Barcellona nel barrio “Somorrostro”), apprese la conoscenza del flamenco in famiglia e passò alla storia per aver personalizzato con stile la tradizione, evidenziando vigore nel movimento del corpo, con energiche contorsioni e ritmici “zapateados” (battiti dei piedi). Il suo stile avvincente e spettacolare continua a essere riferimento per numerose danzatrici contemporanee. Alla sua memoria nel Festival milanese è stato riservato lo spettacolo “Carmen Amaya cien años y un día de baile”, nel quale la danza è stata concepita in interazione con la narrazione e la proiezione di vari filmati.
Alla realizzazione hanno partecipato Manuel Curao (di “Canal Sur”), la “bailaora” Ana Calí, Alfredo Mesa alla chitarra e Juan Angel Tirado al “cante”. Oltre agli spettacoli rappresentati presso il Piccolo Teatro Studio-Teatro Strehler, nel Festival sono stati realizzati un Laboratorio didattico, a cura di Silvia Marín (presso l’Istituto “Cervantes”, in collaborazione con la “Fundación Antonio Gades”); “Dedicado”, lo spettacolo ideato dal “Punto Flamenco Ensamble” a favore dei detenuti della Casa Circondariale San Vittore e diversi workshop flamenco curati da Manuel Liñán (presso la Sala Punto Flamenco di via Carlo Farini). Tale ballerino e coreografo è stato anche il realizzatore dello spettacolo in prima nazionale titolato “Nómada“, nel quale attraverso il movimento ha voluto far riflettere sull’attualità del nomadismo anche in termini emozionali. Nello spettacolo Manuel Liñán è stato accompagnato da un gruppo di “bailaores” (Anabel Moreno, Águeda Saavedra, Inmaculada Aranda, Jonathan Miró, Adrián Santana), dai chitarristi Fran Vinuesa e Víctor Márquez, e dai cantanti Miguel Ortega, Miguel Lavi, David Carpio.
Sebbene l’argomento sia stato trattato nel precedente numero di Blogfoolk, ricordo che durante il Festival è stato proiettato il film-documentario dedicato al chitarrista di Algeciras: “Francisco Sanchez - Paco de Lucía” (in lingua originale con sottotitoli in inglese). L’organizzazione del Festival è senza dubbio meritevole e gli spettacoli sono stati seguiti con interesse da un pubblico eterogeneo. Tuttavia pare opportuno evidenziare il ruolo svolto dall’Associazione culturale “Punto Flamenco”, la quale è impegnata tutto l’anno per promuovere, organizzare e realizzazione attività e iniziative artistico-culturali relative al flamenco, con corsi didattici, stages, esposizioni, conferenze, spettacoli e rassegne, spesso coinvolgendo artisti di rilievo internazionale. Ideatrice e figura di spicco dell’Associazione è la ballerina Maria Rosaria Mottola, la quale conduce corsi di “baile” flamenco a tutti i livelli potendo vantare una lunga esperienza professionale anche in Spagna. Il repertorio è estremamente vario e richiede l’apprendimento di tecnica corporea, tecnica percussiva dei piedi, ritmo (tipico è l’accompagnamento con il battito delle sole mani) e coreografia.
Nell’Associazione si svolgono anche corsi di canto e, a richiesta, di chitarra. Nel periodo gennaio-maggio 2015 sarà allestito un laboratorio di approfondimento mensile, condotto dalla “bailaora” Maria Jose’ Soto. Gli stili del flamenco, detti “palos”, sono più di cinquanta. Orientarsi non è impresa semplice e per divenire professionisti sono richiesti anni e anni di costante applicazione e studio. I “palos” sono prevalentemente suddivisi in base a principi musicali e alle loro accentazioni, dette localmente “compás”. Canto, strumento e ballo sono tre componenti che nel flamenco si fondono inestricabilmente, richiedendo ai singoli artisti di manifestare il “duende”, ciò che viene da dentro, l’anima di ciò che si esprime. Senza entrare troppo nei dettagli, si possono identificare due macro aree tematiche: del “cante jondo” (canti “profondi”, drammatici, di sofferenza e solitudine) e del “cante chico” (canti “piccoli”, più allegri e tipici della festa come ad esempio i vari tipi di “tangos”). Gli stili più antichi sono i “romances” (XV secolo) e i “tonas” (XVIII secolo), da cui derivano “martinete”, “mancelera”, “debla”.
La “siguiriya” (o seguiriya) è un canto di “sofferenza”, da cui derivano “liviana” e “serrana”. Da “soleares” (“soledad” significa solitudine) derivano “alboreà”, “bamberas”, “bulerias”, “caña”, “polo”, “petenera”, “cantiñas”, “alegrías” etc. I “tangos” sono i tipici canti della “fiesta” e variano a seconda della zona di origine (tango de Jerez, de Granada, de Malaga etc.). Dai “tangos” derivano “tientos”, “tanguillos”, “marianas”, “garrotìn”, “farruca”. Dai canti “de Malaga” derivano “malagueña”, “fandagos abandolados” “rondeña”, “verdiales”. I cosiddetti “cantes de Levante” sono quelli delle aree geografiche intorno a Granada, Almeria e Murcia. Inoltre vi sono i “cantes de las minas” riferiti ai minatori: “granaina”, “mineras”, “taranta”, “media granaina”, “taranto”, “cartageneras”. Per quanto incompleta, la carrellata dei nomi vuole indurre a riflettere sulla vastità degli stili canoro-coreutici del flamenco nel quale numerosi sono gli influssi arabi. In proposito ricordava in un’intervista Paco de Lucía: « Siamo stati dominati da loro per diversi secoli, e loro vivono anche in Spagna, specialmente in Andalusia.
C’è la loro cultura, e non solo in musica, ma in molte altre cose: l'architettura, il linguaggio, molte parole spagnole derivano dall’arabo. Anche la mentalità in Andalusia è vicina a quella araba».
Lasciando agli esperti l’approfondimento teorico e pratico dei “palos”, vorrei concludere ricordando che solo alcuni professionisti hanno la fortuna nella vita di potersi dedicare a tempo pieno al ballo. Ciò non toglie la possibilità di cimentarsi amatorialmente nell’apprendimento dei singoli stili, divertendosi, stando in compagnia ed esprimendo attraverso la gestualità e il ritmo le proprie emozioni. Sono peraltro noti i benefici psico-fisici e affettivi riferiti al ballo in generale. Il “Milano Flamenco Festival” ha sicuramente meriti artistico-culturali e ritengo sia stata efficace la scelta di proporre agli auditori una visione integrata del flamenco: ascoltandolo, guardandolo, ma anche praticandolo nei laboratori e nei workshop associati agli spettacoli teatrali. “Hasta luego” alla prossima edizione!
A lei nel Festival è stato dedicato, in prima nazionale, lo spettacolo “Cartas a Pastora”, diretto dal “bailaor” Ángel Rojas, affiancato dalla Compagnia di Susana Lupiáñez, con Curro de María alla chitarra, Antonio Campos e Antonio Núñez “El Pulga” al canto, Nelson Doblas al violino e David Galiano alle percussioni. Carmen Amaya, estrosa e scattante ballerina di origine gitane (cresciuta a Barcellona nel barrio “Somorrostro”), apprese la conoscenza del flamenco in famiglia e passò alla storia per aver personalizzato con stile la tradizione, evidenziando vigore nel movimento del corpo, con energiche contorsioni e ritmici “zapateados” (battiti dei piedi). Il suo stile avvincente e spettacolare continua a essere riferimento per numerose danzatrici contemporanee. Alla sua memoria nel Festival milanese è stato riservato lo spettacolo “Carmen Amaya cien años y un día de baile”, nel quale la danza è stata concepita in interazione con la narrazione e la proiezione di vari filmati.
Foto di Celia de Coca |
Sebbene l’argomento sia stato trattato nel precedente numero di Blogfoolk, ricordo che durante il Festival è stato proiettato il film-documentario dedicato al chitarrista di Algeciras: “Francisco Sanchez - Paco de Lucía” (in lingua originale con sottotitoli in inglese). L’organizzazione del Festival è senza dubbio meritevole e gli spettacoli sono stati seguiti con interesse da un pubblico eterogeneo. Tuttavia pare opportuno evidenziare il ruolo svolto dall’Associazione culturale “Punto Flamenco”, la quale è impegnata tutto l’anno per promuovere, organizzare e realizzazione attività e iniziative artistico-culturali relative al flamenco, con corsi didattici, stages, esposizioni, conferenze, spettacoli e rassegne, spesso coinvolgendo artisti di rilievo internazionale. Ideatrice e figura di spicco dell’Associazione è la ballerina Maria Rosaria Mottola, la quale conduce corsi di “baile” flamenco a tutti i livelli potendo vantare una lunga esperienza professionale anche in Spagna. Il repertorio è estremamente vario e richiede l’apprendimento di tecnica corporea, tecnica percussiva dei piedi, ritmo (tipico è l’accompagnamento con il battito delle sole mani) e coreografia.
Nell’Associazione si svolgono anche corsi di canto e, a richiesta, di chitarra. Nel periodo gennaio-maggio 2015 sarà allestito un laboratorio di approfondimento mensile, condotto dalla “bailaora” Maria Jose’ Soto. Gli stili del flamenco, detti “palos”, sono più di cinquanta. Orientarsi non è impresa semplice e per divenire professionisti sono richiesti anni e anni di costante applicazione e studio. I “palos” sono prevalentemente suddivisi in base a principi musicali e alle loro accentazioni, dette localmente “compás”. Canto, strumento e ballo sono tre componenti che nel flamenco si fondono inestricabilmente, richiedendo ai singoli artisti di manifestare il “duende”, ciò che viene da dentro, l’anima di ciò che si esprime. Senza entrare troppo nei dettagli, si possono identificare due macro aree tematiche: del “cante jondo” (canti “profondi”, drammatici, di sofferenza e solitudine) e del “cante chico” (canti “piccoli”, più allegri e tipici della festa come ad esempio i vari tipi di “tangos”). Gli stili più antichi sono i “romances” (XV secolo) e i “tonas” (XVIII secolo), da cui derivano “martinete”, “mancelera”, “debla”.
Foto di Celia de Coca |
Foto di Celia de Coca |
Foto fornite dall'Ufficio Stampa del Milano Flamenco Festival
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