Raccontare la storia degli Agricantus vuol dire raccontare anche un pezzo importante della world music in Italia, il loro percorso artistico, cominciato a Palermo nel 1979, è stato caratterizzato da una continua tensione verso la ricerca di sonorità che mescolassero la tradizione siciliana e più in generale quelle del Mediterraneo con il rock e l’elettronica, il tutto condito da una particolare cura nella scelta e nell’utilizzo degli strumenti tradizionali. Il loro percorso artistico si era però improvvisamente arrestato dopo la pubblicazione di “Habibi” nel 2005, a distanza di quattordici anni due dei membri fondatori del gruppo, Mario Crispi e Mario Rivera hanno deciso di riprendere il discorso interrotto, e grazie al produttore Paolo Dossena, hanno ridato linfa vitale al progetto, con l’ingresso nel gruppo della talentuosa vocalist e musicista Federica Zammarchi, e con il supporto di Giuseppe Grassi e Giovanni Lo Cascio. Dopo diversi concerti insieme, è nata l’idea di realizzare un disco, e così ha preso vita “Turnari”, la pubblicazione di questo come back album, è stata l’occasione per intervistare Mario Crispi, con il quale abbiamo ripercorso le tappe della reunion, ed approfondito la genesi e i temi del disco.
Com'è nata l'idea della reunion con gli Agricantus?
Questa idea è nata dal fatto che il gruppo originario si è smembrato nel 2008, e a me personalmente non piaceva affatto che potesse andare a finire in questo modo. Ad un certo punto mi sono rincontrato con il nostro produttore storico, Paolo Dossena, che ci ha seguito e prodotto per molto tempo, e ragionando sull'ipotesi di riprendere l'attività con Agricantus è nato un progetto di ricoinvolgimento di un po' tutti noi e di quanti avevano in passato svolto un ruolo creativo importante, sia interno al gruppo, sia esterno o molto affine, per storia e contenuti. Così mi sono risentito con Mario Rivera ed insieme a lui abbiamo provato a coinvolgere inizialmente anche Tonj Acquaviva e Rosie Wiederkehr, che però non hanno voluto aderire. Al contrario hanno accettato di buon grado sia Aldo De Scalzi che Pivio, importanti autori di alcuni nostri successi come “Amatevi”, “Com'u Ventu”, “Istanbul Uyurken”, o anche Giuseppe Panzeca, per molti anni nostro mandolinista ufficiale, intervenuto poi solo a livello discografico. Paolo Dossena ci ha poi proposto Federica Zammarchi come nuova vocalist, termine riduttivo perché lei è una musicista a 360°. L'abbiamo conosciuta, abbiamo iniziato ad avvicinarci musicalmente, e ne è nato un ensemble importante, allargato poi a Giovanni Lo Cascio alla batteria, che, oltre ad essere un amico, è anche un musicista a noi affine, con cui avevamo lavorato sia io che Mario Rivera, e Giuseppe Grassi, pugliese, nonchè egregio virtuoso di mandola e mandoloncello. Inoltre, l'amicizia con Nello Mastroeni, autore e musicista dei Kunzertu, ci ha permesso anche un suo coinvolgimento nella produzione discografica con alcuni input autoriali, realizzatisi con “stu jardinu si tu”. E questo in onore ad un periodo che aveva visto nascere contemporaneamente ed in maniera analoga le due band siciliane etno-rock rivelatesi poi le più famose, la nostra ed appunto i Kunzertu, in due aree geografiche della stessa isola: noi a Palermo e loro a Messina.
Questa nuova line-up degli Agricantus, si configura come una sorta di ensemble aperto, un laboratorio in cui sperimentate varie collaborazioni…
Già l'anno scorso, prima che uscisse il disco, abbiamo fatto dei concerti in Sicilia e in Calabria, dove abbiamo coinvolto anche Massimo Laguardia, che fa parte del gruppo dei fondatori degli Agricantus avendo suonato con noi fino al 1987, quando prendemmo strade differenti. Io e lui avevamo già suonato insieme nel mio progetto Arenaria, però in questa occasione, parlandone con Mario, ci è sembrato giusto che si riprendesse anche con lui. Allo stesso modo è accaduto con Enzo Rao che, pur non avendo fatto mai parte del gruppo, era una nostra vecchia conoscenza, prima, al tempo dei Rakali, e poi con Shamal, e con cui avevamo condiviso esperienze importanti nell'ambito della musica fatta in Sicilia negli anni '80. Entrambi sono stati coinvolti inizialmente nel repertorio dal vivo e poi in studio in alcune sessioni di registrazioni. Periodicamente suoniamo insieme quando facciamo concerti in cui possiamo avere anche la loro disponibilità, come accadrà in agosto quando suoneremo in Sicilia.
Federica Zammarchi è un po' il valore aggiunto di questo progetto di reunion degli Agricantus…
Innanzitutto Federica ha una sua storia che la vede partire dal rock, toccare il jazz e diventare poi insegnante di voce, arrangiamento e composizione. È un artista a tutto campo, e quando abbiamo iniziato a collaborare insieme, lei si è subito sintonizzata sulla direzione del nostro progetto. Il disco “Turnari” vede la sua presenza non solo come cantante ed interprete, ma anche come compositrice, avendo scritto un brano, che speriamo tutti sia il primo di una lunga serie. Il fatto di iniziare a suonare insieme a noi, in un contesto completamente nuovo per lei, ha richiesto un certo periodo di tempo per studiare insieme a lei il modo in cui comporre, come e cosa cantare, cosa e come proporre idee e spunti. E lei, oltre ad avere le qualità da grande interprete e cantante, ha anche un grande talento musicale. Tutti elementi che all'interno di una band come la nostra arricchiscono il progetto, perché ti consentono di perseguire arrangiamenti particolari, interventi musicali che possono far prendere ai brani altre direzioni, anche inusuali.
Quali sono i temi del disco?
“Turnari” è una riflessione sulla ciclicità del tempo, ovvero i tempi segnati dalle stagioni, dai cicli del sole e della luna, che si ripetono da sempre e sopravvivono comunque alle nostre vite. Ogni volta che ritorna l'estate o l'inverno e sembra tutto uguale, in realtà tutto è diverso. Questi ritorni hanno componenti simili a quelle precedenti, però ci sono in più le esperienze, la vita che si è vissuta. Questo ritorno ciclico va concepito quindi come una rinascita continua. Quando ci siamo posti il problema su cosa volevamo comunicare con questa “reunion”, e abbiamo cercato di trovare un leit motiv per i testi, la cosa che emergeva era il voler raccontare questo nostro riprendere il viaggio, l'importanza di ritrovarsi e di suonare insieme, di avere un atteggiamento positivo verso la vita. Ad esempio brani come “'Nzemmula”o “Manu su manu” affrontano questo semplice concetto: sebbene da soli si possa intraprendere un percorso che ci fa credere di essere liberi e padroni di noi stessi, qualora tale percorso si riveli accidentato, la nostra scelta ci costringerà, nel bene e nel male, a cavarcela da soli, mentre invece, se le avversità le si affrontano insieme, queste ultime potranno essere superate in maniera molto più leggera. Altri brani invece sono un po' più classici, parlano del sentimento verso la persona amata, come nel caso della title track dove l'amore verso una persona è così sublime al punto che, se si tratta di rinascere, ci si augura di reincontrarla nuovamente. O ancora temi a carattere sociale come “Cantu Errami” dedicato a chi affronta la morte per attraversare deserti di sabbia e di mare, nell'anelito di vivere una vita migliore per se e per i suoi cari. A queste migliaia di disperati va la nostra ammirazione per il coraggio e la determinazione e, al tempo stesso, esortiamo i nostri compaesani occidentali a non divenire giudici di questi uomini accogliendoli invece solidarmente. Ricordiamoci infatti che non riusciamo minimaente ad immaginare le condizioni subumane e di terrore da cui loro partono.
Da siciliani che ormai vivono lontano dalla loro terra, “Turnari” è anche la metafora del desiderio di tornarci…
Io dalla Sicilia non mi sono mai staccato. Ho vissuto per un lungo periodo a Roma, e negli ultimi tempi mi divido tra la capitale e la Sicilia. Mario Rivera, partito tanti anni fa da Palermo, ci torna spesso per gli affetti familiari o per lavoro. In qualche maniera il nostro lavoro artistico è strettamente collegato alle stratificazioni che sono presenti nella nostra cultura da cui proveniamo, ma anche dall'incontro tra le varie culture e quella siciliana. E preferiamo parlare sempre di “incontro” e non di “scontro” tra culture.
Come si sono svolte le sessions?
Abbiamo fatto varie sessioni di prove lo scorso anno, durante le quali abbiamo ripreso alcuni brani tratti dal nostro repertorio storico, anche per trovare le coordinate con i nuovi musicisti. Successivamente abbiamo cominciato a scrivere i brani nuovi, testi e musiche, e con Mario li abbiamo arrangiati e completati nella forma. Questo ci ha consentito di elaborare il repertorio da proporre. Poi ovviamente in fase di produzione discografica abbiamo messo a punto i vari dettagli, e là sono intervenuti Federica con i synth, coloriture e soluzioni di arrangiamento, Giovanni Lo Cascio con tutto il suo drumming e la sua grande conoscenza di percussioni del mondo. Quello che abbiamo realizzato è suonato praticamente al 90%. Anche Giuseppe Grassi ha dato un suo contributo importante con la sua mandola e il mandoloncello. Il ricoinvolgimento di Pivio e Aldo De Scalzi, con cui ci lega un grande intesa artistca, ha avuto pure una sua gestazione, nel senso che il brano che loro ci hanno proposto, aveva originariamente un testo in turco ed un arrangiamento diverso dalla nostra versione. Nell'arco di un anno infatti il brano ha avuto una serie di modifiche che l'hanno portato poi alla versione Agricantus, quella pubblicata sul disco.
Quali sono le differenze sostanziali tra questo nuovo disco e i precedenti con la vecchia line-up?
Le persone sono importanti. Ci sono due persone con cui non lavoriamo più e che davano un diverso imprinting sia dal punto di vista vocale, sia da quello dei suoni, e delle modalità musicali. Con questa nuova line-up diciamo che la costruzione del sound è dettata dai musicisti che suonano, nel senso che le basi, da noi utilizzate per costruire un sound che richiederebbe un ensemble troppo vasto, servono semplicemente da contorno, poi tutto il resto viene creato da noi musicisti. E questa è una dimensione importante, che stiamo cercando di affinare sempre di più, perché, se è vero che suoniamo da tanti anni, non si finisce mai di imparare anche da se stessi e le potenzialità espressive si moltiplicano.
Dopo la fine dell'esperienza con la vecchia line-up, avete intrapreso altri progetti, quanto vi hanno arricchito nell'ottica di questa nuova esperienza?
Dal 2002 fino a qualche anno fa, ho personalmente fatto molti viaggi: in Nord Africa, Medio Oriente, Asia, Kenya, Stati Uniti. Alcuni di questi viaggi sono stati fondamentali dal punto di vista musicale. Ad esempio, il viaggio in Iran nel 2005, e quello nel 2006, in Pakistan, mi hanno aperto un mondo sulla “concezione della musica”, e soprattutto il rapporto tra e con chi la fa. In Iran ho incontrato i cantori che giornalmente, per passione, si ritrovano sotto al Pol'e Kajou, Ponte Kajou, a Isfahan. Suonando con loro, mi sono reso conto che il condividere musica insieme, a prescindere dall'etnia e in un contesto completamente svincolato dalle normali regole di mercato e dello spettacolo, ovvero di chi si deve esibire di fronte a chi deve ascoltare, mi ha fornito una concezione diversa del fare musica. La stessa cosa mi è capitata in Pakistan dove sono andato a suonare in un festival, al tempo in cui ancora non erano esplosi i problemi recenti. Incontrare circa cinquecento artisti che venivano da tutte le parti del mondo e lavorare con alcuni di loro in maniera estemporanea è stato molto importante e formativo. Esperienze analoghe le ha vissute Mario Rivera che ha girato gran parte dei paesi del Mediterraneo, insieme ad altri musicisti, insieme alla Piccola Banda Ikona, di cui fa parte e dove anche lui ha maturato una serie di rapporti con le“musiche altre”. Giovanni Lo Cascio ha maturato invece una grande esperienza con il suo progetto degli Slum Drummers (già Juakali drummers) in Kenya a Nairobi, dove fa spesso full immersion nella cultura africana e dove ha sviluppato una sua didattica musicale per il recupero dei ragazzi provenienti dagli slums. Il discorso del viaggio è quindi per noi fondamentale, perché lo concepiamo sia a livello mentale, sia, di fatto, nella realtà.
Come si concretizza tutto ciò nei vostri brani?
Questo emerge un po' in tutti i brani, almeno per quello che mi riguarda. Le influenze che io immetto nelle mie composizioni sono frutto di tutta la sedimentazione delle varie esperienze che ho fatto. Se, ad esempio, devo inserire un ney persiano in un brano, lo suono io e lo suono alla mia maniera, come un siciliano che percepisce l'essenza dello strumento, e quindi con una propria interpretazione. A mio parere, il mondo dei campionamenti si è un pò esaurito, pur continuando a vivere in un certo tipo di musica, come quella techno o elettronica. Dal punto di vista concettuale, quando vennero fuori artisti come Art Of Noise, che facevano un grande uso del campionamento, questo risultava un innovazione dato che si stavano iniziando ad usare nuove macchine e strumenti che consentivano ciò. Oggi è una cosa normale, non rappresenta più una innovazione, anzi la tecnica è ormai consolidata al punto che ogni telefono cellulare può consentire la registrazione e la riproduzione di qualsiasi suono. Noi preferiamo utilizzare strumenti e sonorità che abbiamo raccolto, ma come strumenti reali, che suonano melodie, che interpretano atmosfere. Se devo suonare un duduk armeno, che ha una scala musicale ben precisa, non è che posso suonare agevolmente qualsiasi genere: devo invece pensare che utilizzando le strutture musicali di base fornite dalle culture dove è stato concepito quello strumento, lavoro più facilmente. Quindi il duduk suona meglio su un bordone o su una tessitura armonica non troppo articolata o lontana dalla sua tonalità, oppure devo sapere perfettamente che l'argul egiziano può suonare in una o al massimo due tonalità, e quindi quel brano che voglio comporre deve avere quell'una o quelle due tonalità. L'utilizzo di questi strumenti, mi consente perciò di elaborare composizioni che sicuramente avranno influenze da quelle culture, ma, al tempo stesso, non posso dire di fare “musica egiziana”, musica “armena” o “musica indiana”. Suono questi strumenti ma per la musica che faccio direttamente nei miei progetti musicali o in quelli in cui sono coinvolto. Anche per le melodie, le atmosfere e le tessiture ritmiche avviene la stessa cosa. Tutte le nostre conoscenze apprese durante i nostri viaggi e l'incontro con le culture mediterranee, mediorientali e africane, sovrapposte all'ascolto delle musiche contemporanee occidentali, fanno scaturire la miscela che ha costituito da sempre il filo rosso della musica degli Agricantus. D’altronde la Sicilia è al centro del Mediterraneo.
Qual è il punto di contatto con la tradizione siciliana in "Turnari"?
La tradizione siciliana in questo disco è entrata in modo naturale. Ci sono venuti in aiuto gli studi e delle ricerche fatte sul campo, che anni fa feci per conto del Folk Studio e dell'Università di Palermo, e che mi hanno permesso di entrare in contatto con “informatori” e tradizioni orali ben precise. Esse, oltre ad avermi affascinato, sono diventate immediatamente dei veri e propri riferimenti stilistici e compositivi come ad esempio “il canto alla carrettiera” diffuso a Bagheria ed in provincia di Palermo, e che continua ad essere per me un faro dal punto di vista dell'ispirazione. È un faro perché, nell'ambito di tanta musica di tradizione orale ascoltata, quella modalità di canto ha una marcia in più, in quanto affonda nei tempi più remoti della musica di Sicilia. Esempio musicale che, a mio parere, va studiato in maniera seria e approfondita. È per questo che, quando posso, frequento molto volentieri i “carrettieri”, partecipo alle loro riunioni conviviali, li ascolto. Ed anche la modalità di composizione di alcuni brani e di alcuni testi è tutta basata su alcune tecniche ben precise, come ad esempio l'uso dell'endecasillabo. Il recuperare questa forma metrica è stata un operazione importante, perché significa cogliere le tecniche della tradizione orale e farle proprie, così molti testi di “Turnari” sono scritti in endecasillabo, con rima baciata o alternata. Alla fine anche questa struttura metrica diviene il punto di contatto con la tradizione orale. Questo ci ha consentito di elaborare brani che suonano popolari da un certo punto di vista, ma poi vengono arricchiti da tutta una serie di sonorità provenienti dal mondo contemporaneo, da culture analoghe o anche molto diverse. Questa miscela è per noi la nostra linfa, perché non vogliamo abbandonare l'arcaico, ne rinunciare alle possibilità espressive del mondo in cui viviamo.
Quali sono state le difficoltà che avete incontrato nella registrazione di questo disco?
In realtà non ci sono state difficoltà particolari. Semplicemente abbiamo voluto prenderci il tempo necessario per fare questa operazione, perché ovviamente ricostruire un percorso e ridargli in qualche maniera quella dimensione che avevamo anni fa, è stato un lavoro interiore, un lavoro di riflessione, che inizialmente era necessario che io facessi insieme Mario: sia per rimodularci nel rapporto personale, e sia per elaborare un percorso da condividere con tutte le altre persone, tanto con quelli con cui avevamo già lavorato, quanto con chi sarebbe stata la prima volta con cui collaborare. In realtà questo non è stata una difficoltà ma un rapporto sereno con il tempo. Questo ci ha consentito di ponderare ogni cosa che volevamo inserire in questo disco e nel nostro lavoro in generale.
C'è un pò di delusione nel non essere riusciti a ricostituire la line-up originale degli Agricantus?
Ci sono delle componenti umane che dispiacciono quando delle storie si interrompono. Al tempo stesso però bisogna prendere atto che, a volte, una eccessiva diversità dei punti di vista crea l'impossibilità oggettiva a riprendere un lavoro insieme. Per quello che mi riguarda, e lo stesso vale anche per Mario Rivera, l'idea di riprendere Agricantus era quella di“ri-coinvolgerci” a vicenda, il più possibile, e tutti, indipendentemente dalle storie e dalle vicissitudini che ci avevano anche separato. Non essendo pertanto questa una operazione verticistica, volevamo ritrovare quella scintilla iniziale che, ben presente quando eravamo adolescenti, ci ha consentito di arrivare fino a questo punto. Qual era questa scintilla? Quella di sentirsi un gruppo, un collettivo, come dire: una somma di energie. Quindi non un gruppo con un qualcuno che “dall'alto” calava questo o quel pensiero, questa o quella proposta, questo o quel testo, senza condivisione o limitando al massimo l'interazione tra i protagonisti. Avendo vissuto, nostro malgrado, per troppo tempo questa dimensione ed in maniera progressiva, avremmo auspicato che le persone con cui avevano condiviso una parte importante degli ultimi anni condividessero naturalmente con noi questi presupposti, facendo così tornare questa scintilla, rimettendosi in gioco, con gioia ed entusiasmo.
Questo non è avvenuto, e allora via con la “rinascita” con chi ci sta.
Concludendo, come saranno i concerti della reunion di Agricantus?
Tengo a precisare che “reunion” è stato il progetto artistico con cui abbiamo voluto sancire la ripresa di attività della band che è e continua ad essere appunto Agricantus. Il nostro pubblico deve quindi aspettarsi certamente un aggancio naturale alla nostra storia: il nostro lavoro passato non poteva essere certamente buttato a mare perché il nucleo di musicisti sarebbe risultato diverso da quello originario. Abbiamo ripreso quindi da dove ci eravamo lasciati con il nostro pubblico. Con una energia rinnovata, tesa a rinnovare anche le emozioni con antiche e nuove atmosfere, nuovi e storici musicisti, nuove e consolidate melodie. Nella scaletta abbiamo inserito perciò pietre miliari del nostro repertorio storico, affiancandole a nuovi brani, nuove cose da dire, nuove sonorità, nuove interpretazioni. E la cosa più importante è che, divertendoci, tutto ciò è stato fatto con tutti noi stessi, senza artifici o mediazioni, con estrema dedizione e consapevolezza, e, soprattutto, con l'impegno che tutto ciò arrivi direttamente alla testa, al cuore e alla pancia di chi ci segue.
Agricantus – Turnari (Compagnia Nuove Indye, 2014)
Anticipato dal grande successo riscosso durante l’esibizione al Concerto del Primo Maggio 2014, “Turnari” è il disco che segna il ritorno degli Agricantus, un atteso come back album, che non solo riannoda i fili con il passato del gruppo recuperando lo spirito e la ricerca sonora che aveva animato i loro primi album, ma soprattutto rappresenta un importante base per il futuro, contendo i semi per un percorso del tutto nuovo, e certamente diverso dal punto di vista della ricerca sonora rispetto agli ultimi dischi con Tonj Acquaviva e Rosie Wiederkehr. Forza motrice di questa nuova fase del gruppo siciliano sono Mario Crispi (duduk, ney, basuri, maui xaphoon, didjeridoo, ciaramella, zummara, arghul, marranzanu, synth e voci) e Mario Rivera (basso, programmazione e voce), già fondatori del gruppo, a cui si è unita la talentuosa Federica Zammarchi (voce, synth, piano, programmazione), nonché Giuseppe Grassi (mandola, mandoloncello, e mandolino), e Giovanni Lo Cascio (batteria, qrqeb, riq, darbuka e cajon). Se rispetto al passato gli ingredienti sono rimasti gli stessi ovvero la contaminazione tra suoni e suggestioni differenti, questo nuovo album recupera innanzitutto l’uso esclusivo della lingua siciliana, ed in particolare dell’endecasillabo e della rima strofica, e affonda le sue radici nella tradizione orale e nella poesia siciliana. Non casuale, inoltre, è stata anche la scelta di tornare ad una musica più suonata, riducendo al minimo l’apporto dei campionamenti, ed in questo senso fondamentale è stata la scelta di allargare l’organico con l’aggiunta di alcuni ospiti come Aldo De Scalzi (chitarra, synth), Massimo Laguardia (tamburi a cornice), Giuseppe Panzeca (mandolino e guimbri), Pivio (synth) e Enzo Rao (violino elettrico). Composto da undici brani inediti, “Turnari”, come suggerisce già la copertina ispirata ai calendari perpetui che fino al secolo scorso scandivano le stagioni e i cicli della terra, è un concept album sulla ciclicità del tempo, intesa non solo come eterno ritorno ma soprattutto come rinascita continua. Una rinascita che per gli Agricantus è soprattutto musicale, infatti l’ascolto è sin da subito coinvolgente con la trascinante “Qanat”, un sofisticato brano ethno rock in cui spiccano i fiati di Crispi e l’eccellente struttura ritmica costruita da Giovanni Lo Cascio. Si prosegue con la splendida “Nsunnai”, impreziosita da una magistrale interpretazione di Federica Zammarchi, che dimostra di essere perfettamente a suo agio in questa nuova avventura. Se il proto-rap “Cantu Errami” vibra di tensione poetica, unita ad una costruzione sonora ambient, la title-track è uno dei vertici del disco insieme a “Manu Su Manu” con quest’ultima che ci riporta alle atmosfere di “Tuareg” del 1996. Il disco non manca di riservare altre soprese come la suggestiva ballata d’amore “Stu Jardinu Si Tu”, o l’invito al ballo di “Nzemmula” o ancora l’evocativa “Locu” firmata da Federica Zammarchi, ma è sul finale che trovano posto un altro paio di ottimi brani come “Omini”, già ascoltata nel progetto Uommene, e la conclusiva “Sentimentu”. Insomma “Turnari” è un disco di grande pregio, che non deluderà tanto i fan storici degli Agricantus, quanto soprattutto coloro che si avvicineranno per la prima volta alle loro suggestioni sonore.
Salvatore Esposito
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