La lettura di questo volume è un passaggio obbligato per chi si occupa di canzone napoletana, da studioso o, più semplicemente, da melomane. Il lavoro di Vacca è un ulteriore segno tangibile di una svolta nelle analisi musicologiche, già avviatasi con le monografie di Pasquale Scialò, Anita Pesce, Simona Frasca, tra gli altri, e, non da ultimo, con “Studi sulla canzone napoletana classica”, sostanzioso volume uscito per lo steso editore LIM, con la curatela di Enrico Careri e di Pasquale Scialò, che già accoglieva un saggio dello stesso Vacca.
Come sottolinea nella prefazione Francesco Giannattasio, con “Gli Spazi della Canzone” ci si mette finalmente alle spalle, non senza passare attraverso una puntuale quanto necessaria rassegna critica, la voluminosa trattatistica di stampo storico-cronologico, spesso encomiastica e agiografica – aggiungiamo noi –, volta a percorre la genesi e l’evoluzione delle forme musicali, analizzandone i testi, ma collocandosi tutta all’interno di modelli di matrice idealista, miranti ad esaltare la napoletanità, se non addirittura la “mediterraneità”, ma “senza afferrare la complessità del fenomeno”, rimarca ancora l’etnomusicologo romano nella prefazione.
Conosciamo Vacca in qualità di ricercatore della cultura popolare campana, già autore dello studio su ’Zezi “Il Vesuvio nel motore” (1999), della densa ricerca antropologica confluita ne “Il corpo della tradizione” (2004), un passato di autore di testi di canzoni per Spaccanapoli e Pietrarsa, ma anche analista della canzone d’autore francese e del folk revival britannico, soprattutto della figura monumentale di Ewan McColl, sul quale è in procinto di uscire un suo contributo, curato insieme al musicologo inglese Allan F. Moore, per l’editore Ashgate.
Ne Gli spazi della canzone, lavoro che beneficia anche della proficua collaborazione tra Fondazione Roberto Murolo e Università Federico II di Napoli, Vacca affronta l’origine della canzone classica attraverso un’indagine comparativa, che mette in relazione le profonde e traumatiche trasformazioni urbanistiche della Napoli post-unitaria (ci si riferisce al grande intervento, noto come Risanamento, che portò allo lo sventramento di storici quartieri con l’edificazione di nuove strade, pizze ed edifici) con la “costruzione” delle forme e delle tematiche della canzone napoletana. L’accento è posto sul ruolo egemonico acquisito dal genere musical e canoro come grande narrazione identitaria della metropoli del Sud Italia; uno snodo cruciale che fotografa la reinvenzione dell’immagine dell’ ex-capitale borbonica dopo il declassamento succeduto all’unità italiana, da parte di ceti emergenti.
Indispensabile, come si è già detto, l’esame dei limiti dell’effluvio di parole speso sulla canzone napoletana d’autore, segno di un ritardo con cui gli studi di popular music si sono interessati del genere, ma anche dei limiti interpretativi di molti testi di matrice storico-idealistica o giornalistica (ad eccezione dei sempre profondi ti interventi di Roberto De Simone).
Ponendosi in una prospettiva che coglie le analogie nello sviluppo della società di massa con la nascita di coevi generi di musica urbana altrove nel mondo, da Lisbona a Parigi, da Atene a Buenos Aires, Vacca mette al centro del discorso la modernità della canzone come genere che nasce all’interno di nuovi rapporti sociali e di spazi sociali e simbolici (“Città moderna e industria dello spettacolo: la nascita dei generi urbani e la differenza napoletana”). Successivamente nel capitolo (“Due pasi indietro”) l’autore analizza i repertori popolareschi precedenti lo sviluppo della canzone napoletana, diffusi attraverso i fogli volanti e gli album da salotto borghese (si pensi ai “Passatempi Musicali” di Cottrau) , mediante i quali, tuttavia, si possono rintracciare gli elementi della musica popolare urbana anteriori all’avvento della canzone stessa. Vacca presenta i luoghi di produzione del nuovo genere, ne riconosce i padri nobili, i diversi autori di rilievo, osserva le liriche con acume analitico testuale e musicologico, svelandone anche l’ideologia sottesa (“La conquista del tono e la formulazione del canone: Muore il canto popolaresco artigianale nasce la canzone napoletana”). Lo studio percorre gli anni d’oro della canzone (“Da una guerra all’altra: l’apogeo della canzone napoletana”), gettando lo sguardo fino ai giorni nostri, e sfiorando finanche aspetti del fenomeno neomelodico (“Declino e ricomposizione di un genere”). Non meno accomodanti le “Conclusioni”, nelle quali Vacca mette a fuoco la carica mitopoietica e polisemica della canzone napoletana. A completamento dell’opera è una breve nota discografica, che, evitando di provare a mettere ordine ad una immensa quanto caotica discografia sulla canzone napoletana, si limita a fornire consigli per un ascolto ragionato, che consenta di cogliere il fenomeno nella sua complessità. Anche le immagini a corredo seguono il filo narrativo del volume.
Gli spazi della canzone è l’esito di un fertile orientamento interdisciplinare e di una lettura obbligatoriamente, per fortuna, politica del multiforme fenomeno denominato canzone napoletana classica.
Ciro De Rosa
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