BF-CHOICHE: Antonio Castrignanò – Fomenta – Ilenu De Taranta

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Voce storica dell’Orchestra de La Notte Della Taranta e percussionista tra i più apprezzati della scena musicale salentina, Antonio Castrignanò vanta una solida formazione musicale maturata sin da giovanissimo in gruppi storici della riproposta, quali il Canzoniere Grecanico Salentino, Aramirè e il Canzoniere della Terra d'Otranto, e una lunga serie di collaborazioni con artisti come Stewart Copeland, Mauro Pagani, Giuliano Sangiorgi, The Chieftains, Goran Bregovic, Ballakè Sissoko, e Ludovico Einaudi. La sua intensa attività live in Italia come all’estero, lo ha condotto negli anni a diventare uno dei personaggi simbolo della riscoperta tradizione musicale del Salento, così come grande apprezzamento hanno riscosso le sue colonne sonore per i film “Nuovomondo” di Emanuele Crialese, Leone d'Argento alla Mostra del Cinema di Venezia 2006 e “Bellas Mariposas” di Salvatore Mereu. A quasi quattro anni di distanza dal suo disco di debutto “Mara La Fatìa”, Antonio Castrignanò ritorna con “Fomenta – Ilenu De Taranta”, nato dalla collaborazione con Mercan Dede, e caratterizzato da un incrocio tra i moduli della tradizione della penisola pugliese e la contemporaneità elettronica del musicista e produttore “electro-sufi”. Lo abbiamo intervistato per ripercorrere brevemente insieme a lui il suo percorso artistico, ed approfondire la genesi e le tematiche del disco. 

Prima di addentrarci a parlare del tuo nuovo disco, mi piacerebbe che raccontassi ai nostri lettori, il tuo percorso di avvicinamento alla musica popolare… 
Sostanzialmente tutto nacque agli inizi degli anni Novanta, in quel periodo in Salento c’era un gran fermento ed un energia particolare. C’era l’esigenza di raccontare con forza la nostra identità, e la voglia di riscatto sociale era tanta. Si voleva mostrare al mondo esterno che esiste un lembo di terra a sud dell’Italia che ha cultura e dignità… La spinta era appena cominciata con i Sud Sound System che coniugavano il raggamuffin con l’uso “consapevole” del dialetto. Io gravitavo in quel circuito che maturava dentro tutto questo, ma l’incontro con Luigi Chiriatti fu la svolta. Lo andai a trovare a casa, chiedendogli di insegnarmi a suonare il tamburo, e lui racconta che lo minacciai di tagliarmi la mano se non l’avessi imparato. Poi da quel momento per me si aprì un mondo. Luigi è un autorevole ricercatore, ha una importante casa editrice, Kurumuny, che pubblica libri sulla musica tradizionale salentina. Lui mi diede la possibilità di frequentare costantemente e approfonditamente i protagonisti della nostra tradizione, i famosi “alberi di canto”. Gli Ucci al completo per esempio, con Uccio Aloisi, Uccio Bandello, e gli altri anziani musicisti di Cutrofiano che andavano ancora a suonare nelle piazze, e noi con loro. In campagna da Uccio Aloisi e nella barberia di Luigi Stifani nacquero incontri e ricerche fissate poi nei dischi e nei libri “Gli Ucci”, “Li Culuri De La Terra” e “Io Al Santo Ci Credo” pubblicati con Aramirè Edizioni. Sono stati anni bellissimi ed intensi che mi hanno dato molto e che mi lasciano la ricchezza di un esperienza immensa e di un altro Salento. 

Il tuo nuovo album “Fomenta – Ilenu De Taranta” nasce sul palco del Festival La Notte Della Taranta, in occasione di un progetto speciale che ti ha visto protagonista insieme al DJ e produttore turco Mercan Dede… 
Quello sul palco della Notte Della Taranta è stato il nostro primo incontro. E’ stato un progetto speciale nato in modo molto fortuito perché avevo già preparato e provato lo spettacolo con i Chieftains, che a causa di un problema non riuscirono a raggiungere il Salento. Poi in poche ore, nacque l’idea coinvolgere sul palco Mercan Dede che era lì per il Concertone di Melpignano e che accettò la scommessa. Fu un concerto del tutto improvvisato ma che, come spesso succede, come per magia, ha dato frutti sorprendenti tanto per energia espressa sul palco, quanto per l’apprezzamento del pubblico. 

Dal palco la vostra collaborazione si è spostata poi in studio… 
Da questa esperienza è nata, insieme all’etichetta Ponderosa, l’idea di una collaborazione più profonda, che oggi trova la sua piena realizzazione in questo disco “Fomenta – Ilenu De Taranta”. Sul palco, quando si condivide la stessa energia e l’istinto comanda, tutto è molto più semplice rispetto a quello che è il lavoro in studio. In studio, per come la vedo io, c’è bisogno di un progetto e di un idea chiara, un obbiettivo da raggiungere: la “morale della favola”! Essendo coinvolti mondi ed esperienze diverse è stato comunque un rischio; questo anche dal punto di vista prettamente logistico, visto le distanze che ci separano. Mercan Dede è turco, come altri due musicisti presenti nel disco, ma vive in Canada, Alberto Fabris che ha avuto un ruolo importante nella produzione era a Milano, mentre noi eravamo qui in Salento. C’è stato uno scambio di materiali, tracce, provini, registrazioni, idee che avvenuto attraverso la velocità di internet. 

Il vostro lavoro non è stato però tutto a distanza… 
Ovviamente no, perché nella mia idea di musica ha sempre grande importanza l’incontro, guardarsi negli occhi, suonare nella stessa magia, è in quel momento che nasce l’amalgama, quella compattezza di suono che altrimenti non si riesce a trasmettere in un disco già complicato di suo. Nel disco sono presenti anche il percussionista turco Mert Elmas, e Cafer Nazlibas, grande musicista e solista, suonatore di kemane, tipico violino da gamba turco. Con loro abbiamo lavorato in studio insieme ai miei musicisti, Rocco Nigro, Gianluca Longo, Giuseppe Spedicato ed altri… e poi Mercan Dede che ha fatto da collante a tutto. 

Quali sono state le difficoltà che avete incontrato durante le sessions di registrazione? 
Le registrazioni di questo disco non sono state una passeggiata. Lavorare a distanza per trovare un suono, coniugare certi ritmi non è sempre cosa facile, anche perché bisognava raggiungere quel famoso obbiettivo, è lui che mi suggeriva il percorso. Poi gli addetti ai lavori sanno che lavorare a distanza richiede la ricerca di un binario comune su cui muoversi, in cui tutti possono sovraincidere, quindi è necessario lavorare per forza servendosi del click, cosa che io odio e che nel disco precedente non avevo affatto usato. In questo senso ho cercato di trovare un compromesso, lasciando molte parti libere, o usando cambi di tempo e altri stratagemmi che complicano e rallentano il percorso ma che danno poi i risultati sperati. Questo ci ha permesso di trovare quell’amalgama, quell’elastico che a volte la musica elettronica per natura non ha e non produce, correndo in rischio di mostrarsi statica. 

Come avete scelto i brani presenti nel disco? 
La scelta dei brani è stata essenzialmente una scelta personale, infatti sono presenti alcuni brani autografi che ho scritto appositamente, come “Fomenta” che è il singolo del disco, “Nu Me Lassare”, “Core Meu”,“La Ciuccia Nera”,“Li Culuri de la Terra” ecc, mentre altri sono delle rielaborazioni di brani tradizionali, in altri ho scritto melodia e testo inserendoli in brani tradizionali…. è molto vario, come piace a me. 

Come si è evoluto il suono rispetto a “Mara La Fatìa”, che era un disco sostanzialmente acustico? 
Anche questo disco è suonato con strumenti acustici ma il “suono” è la “morale della favola”. Insieme a sonorità elettroniche e mediorientali ho cercato la maturità di un linguaggio del presente, un linguaggio moderno, in grado di toccare le nuove generazioni, ma che avesse comunque una riconoscibilità nella sua matrice tradizionale di origine. Il suono di cinquanta, sessanta anni fa era legato a condizioni sociali e temporali che non esistono più e che non si possono riprodurre e non bisogna creare “fratture”. La musica tradizionale salentina ha bisogno di essere attualizzata, deve essere popolare come altre nel mondo, e penso al reggae ma anche al rock, e questo nonostante il grande consenso che già ha. Diversamente si corre il rischio di confinarla sempre di più ad una nicchia di pubblico e tra qualche anno resterà solo oggetto di tesi di laurea ma fuori dai circuiti della musica mondiale. Non è solo un caso, infatti, che la musica tradizionale molto difficilmente passa in tv o in radio, perché ancora oggi è ritenuta una musica di serie c. 

Ascoltando il disco, la prima impressione è quella che grande attenzione è stata riposta nelle scelta del timbro, e delle ritmiche… 
Nel nostro lavoro di arrangiamento abbiamo cercato di dare la stessa importanza tanto all’impianto ritmico, quanto a quello melodico. La parte ritmica mi tocca da vicino, in quanto suono il tamburo a cornice, e Mercan Dede è stato una svolta in questa direzione inserendo alcuni timbri, alcune scansioni e suddivisioni ritmiche, che hanno permesso di arricchire quella che è la grande potenza ritmica del tamburo salentino. Sul versante della melodia, invece, mi interessava creare qualcosa di nuovo che avesse un background salentino, e quindi padroneggia la scrittura originale come in “Fomenta”, che è una fotografia del Salento attraverso la mia esperienza nella musica, un'istantanea di questi vent’anni, di come siamo cresciuti insieme. Io ho avuto la fortuna di iniziare ad avvicinarmi alla musica tradizionale da giovane, e soprattutto in anni in cui i riflettori erano spenti e si stavano per accendere, e quindi ho voluto raccontare questo Salento che cresce, si riconosce, nonostante le contraddizioni che lo caratterizzano spesso. 

Quali sono i temi che animano i brani di “Fomenta”? 
Le ispirazioni, e la spinta che ti spinge a scrivere, non sono cose che si decidono a tavolino. E’ sempre un susseguirsi di istinto, intuizioni ed esigenze creative, che le metti li nel cassetto e poi vengono raccolte in un disco. Quello che mi interessava dal punto di vista della scrittura era raccontare delle storie ma anche “suggestioni” come negli strumentali “Sciamune” che è una pizzica d’impatto, e “Terraferma” che evoca il dramma dell’immigrazione, con i profughi che spesso approdano sulle nostre coste. Questo brano per esempio l’avevo scritto per l’ultimo film di Emanuele Crialese, “Terraferma” appunto, che per certi versi ha anticipato la tragedia accaduta nel Canale di Sicilia con gli oltre trecento immigrati il cui viaggio è finito con un naufragio. Il brano non ha trovato spazio nella pellicola ma ho voluto tenerlo con me per regalare la forza, il coraggio e la speranza che dal Medio Oriente arriva in Salento. 

Tra i brani presenti in scaletta c’è “Pizzica di Uccio”… 
Questo brano non è ovviamente la versione della “Pizzica Degli Ucci”, ma è filtrata attraverso il mio gusto attuale, che non può essere lo stesso di Uccio Bandello o di Uccio Aloisi ma che vuole creare la stessa “trance” ritmica. Oggi è necessario riconoscersi non solo in quello che è stato ma anche in quello potrà essere, raccontando alle nuove generazioni l’energia, la passione, i colori e le sensazioni che sono racchiuse in questo repertorio di canti tradizionali. Gli animali si adattano allo spazio e al tempo per sopravvivere senza mutare alcuni aspetti fondamentali della loro esistenza. Scavando nell’istinto primordiale. La musica tradizionale deve fare altrettanto. Questo è un lavoro che va fatto, per mantenere in vita ancora a lungo la bellezza di questa musica. 

Nel disco è presente poi una splendida versione di “Luna Otrantina” di Rina e Daniele Durante… 
“Luna Otrantina” è differente da tutti gli altri brani del disco anche perché scritta in italiano, ed è un arrangiamento del brano di Daniele Durante, con testo di Rina Durante. Questo brano racconta la presa di Otranto da parte dei Turchi, e mi sembrava un sigillo azzeccato per questo connubio tra il mondo salentino e quello turco rappresentato da Mercan Dede, che qui non arriva con le armi ma in segno di pace per proporre cultura, musica, incontro tra tradizioni differenti. 

Una delle tue caratteristiche artistiche peculiari, è il tuo saper stare sul palco. Come porterai in concerto questo disco dalle sonorità così particolari? 
Forse non sarà un impresa semplice, ma a me piacciono molto le scommesse… Sono sicuro che rispetto al lavoro fatto in studio sul palco sarà una passeggiata! 

Sul palco hai incontrato spesso Mauro Pagani, ricordo a esempio un concerto davvero molto bello ad Alessano in cui avete suonato insieme. Ci sarà una prossima collaborazione in studio con lui? 
Con Mauro ci incontriamo spesso, la scorsa estate siamo stati in Tour negli Stati Uniti con un progetto de La Notte Della Taranta di cui lui è stato Maestro Concertatore. Anche in questo disco c’è qualcosa che rimanda al suo lavoro con Fabrizio De Andrè in “Creuza De Ma”. Queste esperienze nel corso degli anni si sono consolidate e mi hanno dato maturato musicalmente al pari anche gli altri Maestri Concertatori. 

Parlando dei Maestri Concertatori che hai incontrato, chi è stato quello che ti ha dato di più a livello musicale? 
Non dico una bugia nell’affermare che da ognuno ho avuto modo di imparare molto, con loro il mio bagaglio esperienziale si è arricchito. C’è chi ha privilegiato in maniera metodica la cura del suono, chi l’impatto energetico, chi ha lavorato su nuove composizioni, e chi invece ha sperimentato sonorità world. 

Cosa è necessario cambiare, secondo te, de La Notte Della Taranta? 
Squadra che vince non si cambia! (ride). La Notte Della Taranta dovrebbe sempre puntare alla qualità, all’eccellenza. Forse dovrebbe scommettere di più sulle nuove generazioni. Comunque dovrebbe sempre di più carpire cosa sul territorio si sta muovendo nella giusta direzione e quindi valorizzarlo al massimo. Per fare questo serve un lavoro costante e competente: e una Fondazione può farlo. 

Concludendo, quali sono le contraddizioni del fare musica tradizionale oggi? 
Contraddizioni non so. Quando una cosa funziona ci sono sempre due facce della medaglia. Alcune cose sono discutibili nel senso che è facile commercializzare qualsiasi cosa o approcciarsi in modo superficiale uno strumento tradizionale come il tamburo a cornice. Spesso dispiace molto trovare sulle bancarelle tamburi fatti di carta velina con la taranta disegnata. Tutto diventa marketing, e dispiace vedere che magari chi commercializza questi tamburi a cornice, fino a cinque o sei anni fa non sapeva nemmeno l’esistenza non solo di questo strumento, ma neanche della profondità del repertorio di canti della musica tradizionale. Ma sono anche convinto che poi chi ha voglia di approfondire riesce a farlo e prova poi una gran soddisfazione quando arriva alla “fonte” 



Antonio Castrignanò – Fomenta – Ilenu De Taranta (Ponderosa Music e Arts/Puglia Sounds Record, 2014) 
A distanza di quasi quattro anni dal disco di debutto come solista “Mara La Fatìa”, il cantante, percussionista e compositore salentino Antonio Castrignanò, torna con “Fomenta – Ilenu De Taranta”, album nato dalla collaborazione con il polistrumentista e produttore turco Mercan Dede, e che segna un importante svolta stilistica nel suo percorso artistico. Laddove, infatti, il precedente si segnalava per le sue sonorità prettamente acustiche incentrate sull’utilizzo degli strumenti tipici della tradizione, questo nuovo album rappresenta una piccola rivoluzione copernicana caratterizzandosi per un sorprendente dialogo tra le sonorità delle radici salentine con i suoni del Mediterraneo, i colori del Medio Oriente e i ritmi della musica turca, il tutto impreziosito dal peculiare approccio all’elettronica del mago dell’electro-sufi. Questo incontro tra Antonio Castrignanò e Mercan Dede, nato in modo quasi casuale sul palco della Notte Della Taranta, ha così dato vita ad una suggestiva alchimia sonora frutto di un intenso lavoro tanto in studio, quanto in fase di arrangiamento, e non ci sorprende che oltre ad alcuni eccellenti musicisti salentini come Rocco Nigro (fisarmonica), Gianluca Longo (mandola), Giuseppe Spedicato (basso), siano protagonisti del disco anche alcuni ospiti d’eccezione come il percussionista turco Mert Elmas, e il grande Cafer Nazlibas, suonatore di kemane, tipico violino da gamba turco. Il risultato è un disco di grande pregio, nel quale sono raccolti dodici brani tra tradizionali e composizioni autografe dello stesso musicista salentino, che nel loro insieme compongono un viaggio tra il presente ed il passato della tradizione popolare salentina. Le incursioni elettroniche di Mercan Dede sono così lo strumento attraverso il quale Antonio Castrignanò riattualizza e rende contemporanea la tradizione, diventando lui stesso parte integrante di essa, raccontando se stesso, le sue esperienze musicali, e le contraddizioni della sua terra. Ad aprire il disco è “Core Meu”, un brano che partendo da atmosfere quasi sognanti esplode in una pizzica di grande impatto con le voci di Castrignanò e di Ninfa Giannuzzi a duettare nel finale. Straordinaria è poi “Funtana Gitana”, rilettura in chiave electro balkan de “L’Acqua De La Funtana”, cantata a due voci con Ninfa Giannuzzi, e che promette di essere uno dei brani cardine dei prossimi concerti del musicista salentino. Il primo vertice del disco arriva poi con il singolo “Fomenta”, una pizzica che si sviluppa in un crescendo travolgente e che brilla per il suo testo nel quale il musicista salentino racconta la riscoperta della tradizioni della sua terra. L’intesa e riflessiva “Culuri De La Terra”, caratterizzata dall’intreccio tra mandolino e beat elettronici, apre poi la strada all’originale versione degli “Stornelli” di Uccio Aloisi, qui proposti in un arrangiamento superbo con Antonio Castrignanò assoluto protagonista al canto, e conditi da una serie di assoli di violino, fisarmonica e fiati. Seguono poi l’evocativa “Furtuna”, intrecciata tra sonorità mediterranee e spaccati lirici tipici della tradizione salentina, quel gioiello che è la pizzica strumentale “Sciamune” e lo struggente canto d’amore “Nun Me Lassare” in cui spicca l’arrangiamento elegantissimo confezionato da Mercan Dede, e in cui la voce di Castrignanò si inserisce in tutta la sua potenza espressiva. La scoppiettante “Ciuccia Nera” ci conduce poi allo strumentale “Terraferma”, scritto per la colonna sonora del film “Nuovomondo” di Emanuele Crialese, e nella quale viene evocato il dramma dell’immigrazione, con i profughi che nel Salento hanno spesso cercato la loro terra promessa. Chiudono il disco la magnifica rilettura in chiave world di “Luna Otrantina” dal repertorio del Canzoniere Grecanico Salentino, e la “Pizzica di Uccio”, in cui tra i beat elettronici fanno capolino le voci dei tenores sardi. Insomma “Fomenta – Ilenu De Taranta” è un disco da ascoltare con attenzione, per coglierne ogni dettaglio, ogni sfumatura, ma soprattutto per comprendere come la tradizione musicale salentina non sia qualcosa di cristallizzato nel passato, ma sia proiettata verso la contemporaneità e il futuro.

Salvatore Esposito
 

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