Quintetto Nigra - Sonno Fortunato (Felmay, 2013)

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Cinque voci nude e nient’altro: a costo di sembrare ripetitivi, eccoci alle prese con un altro bell’esempio di sensibilità artistica e ricerca musicale in un Paese musicalmente più vivace e variegato di quanto ci dicano i media mainstream. Sotto il titolo di “Sonno fortunato” un quintetto, non di primo pelo, riplasma all’insegna della polifonia l’enorme patrimonio orale piemontese del canto narrativo, con qualche divagazione oltralpe e nella contemporaneità. Il nome dell’ensemble deriva dal folklorista, filologo, poeta e diplomatico canavesano Costantino Nigra (1818-1907), autore della celebre ed imprescindibile raccolta di canti epico-lirici, opera notevole, seppure traboccante di ideologia patriottica nazional-piemontese. Maria Adelaide Negrin (la ricordate nel CD “Beica”, firmato dal magnifico trio vocale femminile Ariondela sul finire degli anni ’90?) e Devis Longo, storiche voci del revival folk piemontese, portano a compimento un progetto che da tempo coltivavano, unendosi a Maria Teresa Negri, Giulia Marasso, Luciana Fava, per dare vita ad un eterogeneo gruppo vocale che sposa efficacemente modi colti e popolari. 
Timbri molto diversi, squisita tecnica canora per produrre incastri vocali ben riusciti, con arrangiamenti che in maniera originale mischiano rigore contrappuntistico e gioiosi passaggi più ritmati, vocalismo contemporaneo e bordoni popolari e da musica antica, senza privarsi dell’orecchio rivolto ai moduli transalpini. Quattordici brani interpretati in italiano, piemontese, occitano, franco-provenzale e francese, scelti tra ballate e canzoni ben note, tra cui ”Baron Litron”, “Dona bianca”, “Cadrega fiurìa”, “Le nozze dell’alpigiano”, “Sento il fischio del vapore”, o meno conosciute, come la danza rituale occitana “Les jeux d’amour”; sono composizioni che raccontano amori, sofferenze, lavoro, sfruttamento, desideri e sogni. Notevoli i trattamenti dell’antico canto medievale occitano “Lou Bouier Corale – Lous Plegrins Fuga” e del canto dell’Auvergne “Uno jionto postouro”. 
Qualcuno potrà obiettare alla quota eccessiva di pulizia di suono che prende il sopravvento quando l’impronta classica rivisita il patrimonio popolare, castigandone l’immediatezza; per contro, noi pensiamo che il quintetto, proprio in virtù della sua versatilità e della cifra artistica, riesca a conservare lo spirito dei canti e dei temi narrati, anzi a restituirceli con notevole verve, senza farsi mancare scintille di garbata ironia, come avviene nel trattamento vocale di “Më séou chatà ‘n mariì”, nella sestrina di Maurizio Martinotti, dedicata al pifferaio Stefano Valla – com’è noto, due giganti del revival nord-italiano – o ancora nell’irresistibile chiusura con virata caraibica di “Bagna Caoda Calypso Dixie”, già nota dai tempi di Ariondela. Un booklet trilingue (italiano, inglese, francese), contenente note e testi, accompagna questo gustoso lavoro dei piemontesi, che sarebbe un delitto se restasse confinato nella cerchia musicale revivalistica o subalpina. 

Ciro De Rosa
Nuova Vecchia