Newpoli – Tempo Antico (Beartones, 2013)

I Newpoli sono una formazione che produce musica internazionale di matrice “folcloristica”. Sono nati nel 2003 grazie a Carmen Marsico e Angela Rossi - le due cantanti del gruppo - e nel loro decimo anniversario hanno pubblicato “Tempo Antico” (Beartones Records), il loro terzo disco, dedicato, come gli altri, alle musiche popolari del sud Italia. A chi è abituato a confrontarsi con produzioni musicali riconducibili al vasto genere “neo-tradizionale”, che al livello internazionale è convenzionalmente ricondotto alla cosiddetta world music, i tredici brani di “Tempo antico” evocheranno scenari nuovi e allo stesso tempo conosciuti, tutti rappresentativi di una storia musicale - quella cioè delle aree più mediterranee dell’Italia - molto radicata nell’immaginario collettivo. Dicendo “musica di matrice folcloristica” ho voluto svincolare la produzione musicale di questo gruppo di migranti - che ha base negli Stati Uniti, dove alcuni dei membri fondatori si trasferirono dall’Italia per studiare jazz al Berklee College of Music - dai cliché più magmatici cui rimanda il termine “folclore”, o “folk”. In altre parole vorrei allontanare i Newpoli da un genere che - nonostante gli studi e le analisi critiche di cui è stato ed è oggetto in tutto il mondo - mantiene un’irriducibile impermeabilità, dovuta al contesto di produzione entro cui le combinazioni dei suoni hanno significati (e sono stati determinati da fattori) impliciti e non sempre rappresentabili e, quindi, decifrabili. Il “folclorismo” di questo ensemble, invece - che riscuote successi anche al di fuori dei circuiti world e che annovera non solo musicisti italiani e suonatori di strumenti popolari (come la tammorra, suonata da Fabio Pirozolo, o la ciaramella, suonata da Dan Mayers) ma anche musicisti con differenti background, come il chitarrista (classico) Bjorn Wennas, il contrabbassista Kendall Eddy, il flautista Geni Skendo e la violinista Megumi Sasaki - riflette uno sguardo più ampio sui repertori di tradizione orale. E si svincola, senza scadere in una rappresentazione leziosa, da quella gravità che spesso si insinua nelle interpretazioni più pretenziosamente esegetiche. Di qui emerge una visione che caratterizza i Newpoli come elastici e dinamici. Come cioè un gruppo nella cui sperimentazione convergono due caratteristiche distintive dei repertori (e delle culture) popolari. Appunto elasticità, dinamicità e, quindi, cambiamento, selezione, tradizione. E non si può escludere (pur cedendo a una visione forse troppo radicale) che queste caratteristiche derivino dalla posizione dalla quale il gruppo osserva e ascolta le musiche che ripropone. Cioè dall’estero, da uno spazio sufficientemente distante da non incollare le esecuzioni a un’idea statica di “popolarismo” e, allo stesso tempo, sufficientemente estendibile verso una forma di rappresentazione libera ma attenta, accurata. Quest’ultimo aspetto, detto tra parentesi, è tutto merito della loro bravura (tecnica e non solo), grazie alla quale questi otto musicisti riescono a elaborare una sintesi nuova sia dei classici della tradizione “alto-popolare” napoletana, come “A serenata e Pulecenella” e “Dicitencello vuje”, sia dei masters musicali della tradizione orale salentina, come “Pizzicarella” e “Mamma la rondinella”. La posizione dei Newpoli non indebolisce la riproposta, anzi rinforza le interpretazioni, che si inseriscono in uno scenario inedito, dentro il quale la parabola delle musiche tradizionali assume una nuova spontaneità, la cui efficacia ci trasporta fin dal primo ascolto. A questa solidità di impianto si aggiunge, infine, un approccio colto e selettivo, grazie al quale si affida alla gamma armonica degli archi e dell’accordion un lavoro di tessitura che imbraca i virtuosismi delle due voci femminili e le percussioni tradizionali. L’equilibrio perfetto tra questi elementi è raggiunto in “Trapanarella”, “Funtana che ddaje acqua” e “Sia benedetto ci fici lo mundo”, il brano di chiusura del disco.


Daniele Cestellini
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