Chitarrista classico e compositore tra i più apprezzati in Italia ed all’estero, Bruno Battisti D’Amario, vanta una lunghissima carriera artistica che lo ha portato a lavorare a lungo per il cinema con Ennio Morricone, Nino Rota e Fiorenzo Carpi, per il teatro al fianco di Armando Trovajoli, nonché a collaborare con Fabrizio De André, ed Umberto Bindi. Parallelamente molto intensa è stata anche la sua attività didattica nei più importanti Conservatori italiani, e quella compositiva con la scrittura di diversi brani per chitarra sola, chitarra ed orchestra, e la pregevole opera dedicata agli Arcani Maggiori dei Tarocchi. Lo abbiamo intervistato per ripercorrere insieme a lui la sua lunga carriera, soffermandoci sulle sue attività di strumentista, di compositore e di insegnante.
La musica fa parte del tuo DNA musicale da sempre, essendo la tua una famiglia di musicisti, ma come nasce, invece, la tua passione per la chitarra?
Mio padre era il primo violino dell’orchestra B della Rai di Roma: da piccolissimo quando lui studiava ero sempre con lui ad ascoltare . Devo dire che sono nato con la musica . Un giorno andai a casa di mio nonno materno che mi volle far ascoltare un brano suonato da lui con la chitarra: avevo 8 anni, ma ancora rivivo intensamente la dolcissima sensazione che quel suono magico e dolce mi ha procurato. Da allora ho cominciato a studiare da solo (e mio padre era contrario!) il mio strumento.
Ti sei formato nello storico Consevatorio di Santa Cecilia di Roma, insieme a Benedetto Di Ponio e Mario Ganci. Cosa ricordi di quel periodo?
Dopo molti anni venni a sapere che il Conservatorio di S.Cecilia aveva aperto un Corso Sperimentale di chitarra classica: naturalmente feci la domanda per essere ammesso. Il Maestro Di Ponio non voleva farmi suonare perché sosteneva che per la chitarra io avevo le mani troppo piccole: mi sono impuntato e, avendo pagato la tassa, volli suonare comunque. Eseguii tutto molto bene: il M° Di Ponio confessò di essersi sbagliato perché io dimostrai come la capacità di apertura delle dita della mano sinistra fosse più importante della lunghezza delle dita stesse. Fu proprio in questa occasione che compresi la grandezza del M°Di Ponio che davanti ad una Commissione altamente qualificata aveva ammesso il suo errore. La classe era molto bella, ricordo Oscar Ghiglia, il direttore d’orchestra Gianluigi Gelmetti (allora molto piccolo), la compositrice Giovanna Marini e tanti altri che poi hanno solidamente contribuito all’affermazione dello strumento chitarra. Un caro ricordo devo al M° Mario Gangi che con il suo contributo meraviglioso di docente e concertista portò la chitarra in Italia a livelli mai raggiunti prima.
Quali sono i tuoi riferimenti nella tecnica esecutiva?
Naturalmente la figura di André Segovia è stata fondamentale per tutti noi: le sue innovazioni tecniche, il suo suono irripetibile, la sua musicalità e la sua estetica hanno prodotto frutti che ancora oggi a mio avviso costituiscono un riferimento fondamentale.
Agli inizi della tua carriera ha collaborato a lungo con Ennio Morricone, con il quale hai suonato le colonne sonore di alcuni classici di Sergio Leone come "Per Qualche Dollaro In Più". Ci puoi raccontare di quel periodo?
Negli anni Sessanta non c’era tantissimo lavoro per il mio strumento .In campo classico la musica contemporanea cominciava ad interessarsi alla chitarra ed io e Mario Gangi eravamo i chitarristi più richiesti dai compositori, grazie anche alla grande facilità di lettura che avevamo (in realtà in quel periodo i chitarristi che potevano leggere tutto a prima vista erano pochissimi). Ma il mio incontro alla R.C.A. con un giovane Morricone fu fondamentale .Cominciai a lavorare con lui divertendomi molto anche con la chitarra elettrica (mi ricordo che i puristi della chitarra classica storcevano spesso il naso, non sapendo quanto io mi sia divertito e quanto abbia appreso musicalmente: non a caso Ennio Morricone per un periodo è stato il mio insegnante di Composizione). Quello fu un periodo magico per la musica in Italia sia nel campo classico che in quello così detto leggero (ho sempre pensato che in musica non esistono tante divisioni, ma soltanto la musica bella e la musica brutta!). Gli arrangiamenti che Ennio faceva per i più noti cantanti del periodo e soprattutto le sue colonne sonore erano dei veri capolavori: innovazioni armoniche, una cantabilità esemplare, una ricerca costante nel valorizzare i timbri, una essenzialità pura al di fuori di ogni retorica fanno di Morricone un vero artista dalla creatività e dalla tecnica superlativa
Ricordo con orgoglio le mie esecuzioni solistiche sia con la chitarra classica che con l’elettrica dei film western di Sergio Leone e un mare di altre colonne sonore (Metti una sera a cena, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Sacco e Vanzetti e tantissimi altri). Devo dire che Ennio non faceva una registrazione se non c’ero io alla chitarra, questo fino alla fine degli anni settanta, quando decisi di dedicarmi completamente al concertismo e all’insegnamento della chitarra classica.
Tra le altre collaborazioni prestigiose della tua carriera, c'è anche quella con Armando Trovaioli per la realizzazione di "Rugantino". Ce ne puoi parlare?
Ho accennato come gli anni sessanta siano stati magici per la musica in Italia e naturalmente non posso non ricordare altri grandi musicisti con i quali ho collaborato: ricordo le mie partecipazioni solistiche tra gli altri con il grande maestro Nino Rota (tra cui “Giulietta e Romeo” di Zeffirelli), Riz Ortolani (tra cui “San Francesco”), Fiorenzo Carpi (tra cui “Pinocchio”), Armando Trovaioli (tra cui “Rugantino”). Quest’ultimo purtroppo è scomparso recentemente. Musicista straordinario ricordo di lui una orchestrazione lussuosa e una concezione armonica molto evoluta. Tra l’altro volle che io fossi presente con la mia chitarra classica per tutti i sei mesi della programmazione al Teatro Sistina di Roma dove ho potuto veramente apprezzare grandi personaggi come Nino Manfredi, Aldo Fabrizi, il cantante Lando Fiorini, Lea Massari e tutti gli altri. Potrei parlare molto di più di tutte queste esperienze che mi hanno formato e arricchito, ma forse dovrei scrivere un libro!
Dalla musica classica, alle colonne sonore, arriviamo ora alla canzone d'autore di Fabrizio De Andrè con il quale hai lavorato alla realizzazione di "Non al denaro, non all'amore né al cielo" e "Storia di Un Impiegato". Com'è stato lavorare con Faber?
Anche l’esperienza con De André è stata particolarmente bella: un autore dall’intelligenza viva che attraverso le sue canzoni ci raccontava la vita, i sentimenti, le istanze sociali con una visione artistica improntata alla solidarietà e alla ricerca interiore. Gli piaceva contornarsi di musicisti veri (ricordo per esempio il grande violista Dino Asciolla e il pianista Arnaldo Graziosi) e questo è un ulteriore segno di intelligenza ed umiltà.
Di grande importanza è anche la tua esperienza come insegnante nei principali conservatori italiani. Ci puoi parlare del tuo approccio alla didattica e dei tuoi metodi di insegnamento della chitarra?
Ho insegnato nei Conservatori di Pescara (L.D’Annunzio) Napoli (San Pietro a Maiella), Firenze (Luigi Cherubini) e Roma (Santa Cecilia). Esperienze molto importanti che mi hanno permesso anche di studiare le varie differenze culturali e di approccio alla musica delle diverse regioni dove ho lavorato. Alla grandissima innata sensibilità dei napoletani si contrappone un approccio allo studio più severo e razionale (ma sempre musicale) dei fiorentini, un’ umile serietà e una rara istintività e duttilità dei pescaresi, una fantasia scansonata antica e moderna dei romani. Ho sempre cercato di dare ai miei allievi (che ormai sono veramente tanti, molti dei quali ora insegnanti validissimi di Conservatorio!) le mie esperienze più nascoste, una dolce severità, la conoscenza musicale al di fuori della stessa chitarra, la consapevolezza di sentirsi fortunati per essere a contatto con una cosa così grande come la musica e, soprattutto, la capacità di staccarsi dal Maestro per proseguire sicuri con le proprie gamba.
Da insegnante, quali sono i consigli che ti senti di dare ai giovani chitarristi?
Ai giovani chitarristi posso dire di studiare con attenzione e non superficialmente, di essere costanti e sviluppare il proprio orecchio e la capacità di autocritica. Se tu lasci la chitarra lei ti lascia. Liszt diceva: se per un giorno non suono me ne accorgo io, se non suono per due giorni se ne accorge il pianoforte, se non suono per tre se ne accorge…. il pubblico! Studiare la musica in tutte le sue espressioni, avvicinarsi con l’ascolto ai repertori degli altri strumenti, alla musica da camera e sinfonica. Fondamentale trovare occasioni per suonare insieme ad altri strumenti e (importantissimo per un chitarrista) sviluppare l’orecchio armonico. Avvicinarsi sempre a musicisti più bravi di noi!
Come giudichi la scena delle sei corde in Italia, e questo dalla musica classica al folk, passando per il pop?
Mi sembra che oggi il mondo della chitarra classica ha raggiunto (grazie anche ad un’opera straordinaria delle Edizioni Musicali) una vera eccellenza: tecnicamente la chitarra è cresciuta moltissimo, non ci sono più problemi che non vengano risolti da testi illuminati. Credo che le stesse considerazioni vadano fatte per la musica pop e folk: in particolare mi sembra che questa ultima stia crescendo molto anche per la presenza nel territorio di ottime scuole e di ottimi esecutori.
Tornando alla tua carriera, ci puoi raccontare la tua esperienza con i Marc 4?
Ho collaborato in diverse occasioni con il gruppo formato da grandi professionisti (ricordo con piacere il pianista Antonello Vannucchi, il bassista Maurizio Maiorana, il batterista Roberto Podio, il collega chitarrista Carlo Pes ed altri). Armando Trovaioli in particolare, per le sue musiche, cercava sempre la collaborazione del gruppo. Era un piacere suonare insieme a loro: intenzioni musicali condivise, il piacere di fare musica, una sperimentazione intelligente e sempre coerente con il genere musicale che si interpretava erano le caratteristiche principali dei Marc4.
Tra i dischi cult della chitarra in italia ci sono certamente quelli che hai firmato per Phase 6 Super Stereo, sottoetichetta della Vedette di Armando Sciascia. Hai mai pensato di ripubblicarli?
Le esperienze con la Vedette Record (negli anni sessanta/settanta) sono rimaste un po’ fini a se stesse. In quel periodo furono considerate all’avanguardia e, ancora oggi, riascoltandole, mi accorgo di aver anticipato suoni e colori della chitarra di oggi. Mi sono divertito molto anche a fare gli arrangiamenti, ma non ho mai pensato (questo è il mio limite) di sfruttare il mio lavoro commercialmente. So comunque che parecchi miei dischi della Vedette sono stati ristampati e venduti (naturalmente a mia insaputa) soprattutto in Giappone, dove sembra che io sia molto famoso.
Venendo alla tua attività di compositore, ci puoi parlare del tuo processo creativo? Quali sono le tue ispirazioni?
Ho scritto molto e nei più diversi generi: ricordo con piacere “I Tarocchi” (forse la mia opera più importante)per chitarra e nastro magnetico, il quintetto per chitarra e quartetto d’archi, il concerto “Il Canto delle due terre” per chitarra e orchestra, “Cubana” per chitarra e percussioni, ecc. ecc.: ho cercato sempre di essere coerente soprattutto con me stesso e con la concezione interiore che mi accompagna da sempre. Credo che noi siamo formati da più “io”, e ogni volta che io ne scopro uno nuovo cerco di tradurlo in musica avendo sempre il dubbio: ci sono riuscito o no? Ma non ha importanza: credo di aver lavorato sempre sinceramente in sintonia con il mio precetto più importante: “Conosci Te Stesso”.
Concludendo, per Gangemi Editore hai pubblicato una splendida opera sui Tarocchi. Ci puoi parlare di questo progetto e della sua ideazione?
Ho composto “I Tarocchi” per chitarra (che è il mio strumento e rappresenta me stesso) e un nastro magnetico che con i suoi suoni a volte caotici descrive tutto quello che mi influenza dall’esterno. I Tarocchi sono come un libro sapienziale antichissimo e che da sempre hanno suscitato riflessioni di tipo iniziatico. Ho immaginato di compiere un viaggio dentro me stesso cercando di riconoscere le energie che le figure degli Arcani ispirano e che sono dentro e fuori di me: l’amore (l’Innamorato) la tolleranza (la Temperanza), la cattiveria (la Torre), la superstizione (il Diavolo) ecc., fino ad arrivare a cercare di comprendere il Sole e la Luna per poi tornare nel Mondo.
Salvatore Esposito
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