Mediterraneo Video Festival, Agropoli (SA), 20 – 22 Settembre 2013

Transiti Sonori Cilentani

Raccontare la realtà della musica attraverso l’occhio dei cineasti. Musica in transito è stato il tema della XVI edizione del festival organizzato dall’associazione culturale MedfestOnlus, andato in scena nella Sala Polifunzionale Giovanni Paolo II di Agropoli, con il sostegno dell’amministrazione locale e dell’Ente Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. Un concorso internazionale del docufim che rivolge l’attenzione a quelle pellicole che riflettono sulle diversità culturali, privilegiano la comprensione delle differenze, mettono al centro l’identità dei luoghi ma favorendo, al contempo, pluralità e dialogo interculturale. Transito come dinamismo culturale, innovazione delle espressioni musicali tradizionali, ma anche declinazione del viaggio e della de-territorializzazione di musiche e musicisti. Nel panorama nazionale, il Mediterraneo Video Festival è portavoce di un genere che deve avere il suo spazio nelle programmazioni (chissà che il successo di “Sacro Gra”, vincitore del Leone D’Oro a Venezia non faccia da catalizzatore), ma è anche un modello di resistenza culturale, esempio di volontà ostinata – soprattutto quella della direttrice artistica, Maria Grazia Caso – di dare dimora a chi descrive la realtà con le immagini. Indotto negli anni a cercarsi nuove sedi di proiezione, sulla base delle oscillanti politiche culturali delle istituzione pubbliche, il festival ha conservato la magnifica ambientazione cilentana, trovando sponda in una terra antica, di fama storica, architettonica e ambientale. 
Otto i film selezionati per il concorso dell’edizione da poco conclusasi, aperta per la sezione extra da “Kamanché”, il video registrato da Gianna Nannini nel 2007, nel corso di un suo viaggio in Iran condotto per il progetto Opera Pia De’ Tolomei. Quest’anno una giuria composta da Tony Shargool, Jamal Ouassini e Alessandro Pesci ha assegnato il premio come miglior documentario a “Jazzta Prasta or where are the Bulgarian Notes” (2013), di Andrey Slabakov: non solo un magnifico ritratto sulla vita artistica del fisarmonicista Martin Lubenov – più volte visto in Italia dal vivo, dal friulano Folkest al toscano Sentieri Acustici – impressionante virtuoso dello strumento, artista che dal linguaggio di tradizione si muove sul versante dell’improvvisazioni jazzistica, mostrandosi aperto combinare differenti grammatiche sonore. Ma ad incantare in “Jazzta Prasta” è la capacita di Slabakov di andare oltre gli stereotipi, raccogliendo le prospettive dei musicisti sul senso del fare musica, su cosa sia la musica tradizionale bulgara, sul ruolo dei musicisti rom nel diffonderla e praticarla. 
La camera entra nei loro villaggi in Bulgaria, segue le audizioni di giovani musicisti, incontra il clarinetto incandescente di Ivo Papasov e di altri musicisti noti e meno noti: pensiamo ai due suonatori vlach di tambour e gajda che dividono il palco con l’ensemble folk-jazz di Lubenov. Forte senso del ritmico per tutti i 56 minuti della pellicola. Proseguendo sul fronte dei riconoscimenti, menzione speciale per il lussemburghese “ Cello Tales” (2013) di Anne Schiltz: esemplare ed avvincente per il tessuto narrativo e per la caratura tecnica. Elogio dell’arte violoncellistica attraverso le storie di musicisti, liutai, compositori e di un prezioso Testore del 1700, rubato e ritrovato dopo quattro anni di indagini. 
Folta la rappresentanza italiana con esperienze filmiche anche molto differenti, nelle quali si è colto il senso di appartenenza locale, l’interesse verso la custodia di saperi musicali e contadini, il rapporto tra note e asserzione della presenza sotto occupazione militare. Così “Aria Tammorra” (2011), dell’italo-belga Andrea Gagliardi, ci porta nelle campagne vesuviane, dando voce agli ultimi testimoni contadini del ballo sul tamburo: sono i loro volti e le loro storie che hanno anche più presa della musica in sé in questa pellicola che è un omaggio alla terra. Invece, “1982 l’Estate di Frank” (2012), di Salvo Cuccia, si muove lungo l’asse USA-Palermo-Partinico, tra ricordi migranti, memorie paterne e “ritorno” alle origini siciliane di Dweezil e Diva Zappa, figli del grande Frank, che in compagnia di Massimo Bassoli visitano i luoghi aviti, tra aneddoti, stupore, stereotipi e memorie di quel concerto interrotto a Palermo per le cariche della polizia. 
Il nesso tra musiche di tradizione orale, identità locali, cambiamento e linguaggi contemporanei è alla base di “Tradinnovazione – Una musica glocal” (2011) di Piero Cannizzaro, occhio di documentarista attento al mondo della musica, alla spiritualità, al rapporto tra cibo, luoghi e appartenenze. Qui ricordiamo anche “Il Cibo dell’anima”, realizzato andando alla ricerca di tradizioni celate tra conventi di clausura, comunità sikh, islamiche, valdesi, ebraiche. Cannizzaro ha indagato le manifestazioni musicali, privilegiando il rapporto tra musica e territori. Ha girato “Ritorno a Kurumuny” e ritratto la neo-tradizione salentina e il fenomeno “Notte della Taranta”, in grande anticipo rispetto all’interessa dei media. Ad Agropoli, Cannizzaro ci ha condotti in un bel viaggio lungo la Penisola: dall’Occitania piemontese di Sergio Berardo, alla Sardegna dei rapper in limba sarda al Salento di Canzoniere, Mascarimirì, Anna Cinzia Villani, Zoè. 
Insomma, nomi ben noti ai lettori di Blogfoolk. Per la cronaca, il lavoro di indagine di Cannizzaro nel mondo del folk si è già arricchito di due nuovi capitoli veneti, con Gualtiero Bertelli e Calicanto. Ad Agropoli, menzione speciale per “Just Play” (2012) di Dimitri Chimenti, una produzione Italia/Francia/Palestina, che ha scelto di raccontare il lavoro di Al Kamandjati, l’associazione culturale che porta le sue scuole di musica nei campi dei rifugiati palestinesi in Libano e nella striscia di Gaza. Emozionante, pieno di tensione, asciutto nel dare voce (e note) a uomini, donne e bambini che attraverso la musica esprimono anelito di libertà e senso di liberazione, in luoghi dove anche il muoversi – nella propria terra, la Palestina – è legato alla concessione di un permesso di “transito” israeliano. 
Forti le suggestioni de “ll lupo sul tamburo. un viaggio tra i musicisti Kazaki” (2012), di Nello Correale, premiato dalla giuria popolare del festival. Seguendo l’impegno del compositore di colonne sonore Carlo Siliotto (i più lo ricorderanno come uno dei componenti del Canzoniere del Lazio), chiamato anni fa a scrivere la colonna sonora del kolossal kazako “Nomad”, dopo il successo del film Siliotto ritorna in Asia su invito delle autorità locali per presentare dal vivo la sua opera, costituendo un’orchestra che dovrà rappresentare la sua composizione. Il film è un’immersione nell’antica cultura musicale kazaka, nei repertori di formidabili solisti di musica dell’Asia centrale. Tamburi a cornice, kobis e dombra, canto di gola e pratiche sciamaniche. Dal conservatorio di Almaty (dove si studiano anche gli strumenti locali) alle steppe, dai ricordi degli esperimenti nucleari sovietici sul lago D’Aral, a rischio disseccamento, alla frontiera cinese; uno sguardo poetico per una pellicola che qualcuno, per quella mania di ridurre tutto al già ha visto, ha voluto paragonare al “Buena Vista” wendersiano. A completare il programma, abbiamo ammirato l’estetica del tango di “Tango, No Todo Es Rock” (2013) di Jacques Goldestein.  Ancora fuori concorso, introdotti da Jamal Ouassini, compositore e violinista della Tangeri Cafè Orchestra (protagonista nel finale di una jam session con Daniele Sepe, premiato anche come autore di colonne sonore, ma soprattutto come compositore che porta inscritto nella sua cifra stilistica l’attraversamento di linguaggi musicali) lo splendido “Tambours Battant” (1999) di Izza Genini, parte degli 11 cortometraggi di “Maroc Corps et Ame”, che la regista marocchina ha girato sulle tradizioni musicali del suo paese e “Rolling Stones in Marocco”, l’incontro tra i rocker inglesi e Maestri di Joujouka. 
Altro premio speciale del Medfest 2013 assegnato a Marco Missano, autore di videoclip (soprattutto per ”Welcome to Babylon” degli A Toys Orchestra, vincitore del Premio PIVI 2012 come migliore regia). Fuori concorso abbiamo visto anche anche “Exodus – Finding Shelter” di D’Elia e Bonanni, che racconta la migrazione “forzata” del Reggae Sunsplash Festival da Osoppo, in Friuli, Benicàssim in Spagna. A margine, ma non meno importanti, la mostra sugli strumenti antichi “Il canto, il battito, la memoria”, curata da Ciro Caliendo, liutaio e già componente dello storico Teatro Gruppo di Salerno, e il viaggio letterario “Transiti in Marocco”, condotto da Giovanna Napolitano, entrambi allestiti nel nobiliare Palazzo Verrone di Rocca Cilento, borgo dominato da un maestoso maniero. È stata dunque l’occasione per un’escursione nell’entroterra, salendo lungo i tornanti verso il Cilento Antico: il vero Cilento, lontano dalle offese paesaggistiche perpetrate nelle marine, lontano dal turismo di massa perfino becero (quello che ha scoperto Castellabate solo dopo “Benvenuti al sud”), da Sessa, da S. Mango fino Serramezzana e Valle; sono i luoghi degli austeri rituali confraternali del Venerdì Santo alle pendici del Monte Stella, dove d’estate si prova a coniugare cultura, teatro, musica, scienza ed ambiente (penso a “Segreti d’autore”, festival curato dal regista Ruggiero Cappuccio), senza rincorrere a modelli triviali; territori di pregevolezze naturalistiche, suggestioni (ti affacci da un’altura e puoi “vedere” la via che dall’antica culla filosofica di Elea raggiungeva la piana di Paestum), di formidabili memorie storiche, perché no, di ormai rare prelibatezze eno-gastronomiche, di borghi spesso semi-abbandonati, ma che conservano ancora un’innocenza, come ci ricorda Franco Arminio in Terracarne. Anche questo un pregio del MVF. 


Ciro De Rosa
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