Francesco Turrisi – Songs of Experience (Taquin Records)

Il pianista piemontese trapiantato in Irlanda ritorna con un album dal titolo blakiano, personale ed intimo nelle motivazioni compositive che lo hanno generato, a cui Turrisi accenna nelle brevi note introduttive al disco. Dopo i capitoli Tarab e Zahr, ecco un lavoro ascrivibile in maniera preminente alla matrice jazz (anche se il termine sta un po’ stretto al musicista dublinese di adozione), suonato in collaborazione con il connazionale, residente a Londra, Fulvio Sigurtà (tromba, flicorno soprano) e il portoghese João Lobo (batteria), apprezzatissimo e attivissimo nella scena jazz europea. Turrisi è musicista che merita attenzione per la sua scrittura originale, colta, coesa pur nell’articolata tessitura che scaturisce dalla composita formazione e attitudine del compositore e dalla libertà improvvisativa con cui è costruita questo nuova opera. Dal jazz nord-europeo di “Nel mezzo”, composizione che si impone per le linee chiare e gli slanci della tromba, i calibrati ostinato del piano e il felpato drumming, si passa al caldo duetto flicorno-piano di “Uppon Lamire”, un minuto e cinquantadue secondi di rielaborazione di un brano anonimo della prima metà del Cinquecento, probabilmente una trascrizione di un'improvvisazione organistica sul basso ostinato. Invece, inizialmente raccolta e lirica è "Le (Lullaby for Aoife Naima)"; nella parte centrale si produce una compenetrazione più intensa del trio, che non rinuncia ad impennate di tromba, poi il finale è risolto dal ritorno alla tempra più posata dell’incipit. L’umore cambia con il tagliente sordinato di “Incubo n.1” e ancora con “Toccata Arpeggiata nello Stile Cromatico”, dai forti richiami al retroterra colto di Turrisi . Emana un fascino profondo "Incubo n.2", dove le note scolpite da Turrisi incontrano il linguaggio melodico minimale di Sigurtà e l’essenzialità percussiva di Lobo. Si volta ancora pagina con “Birth” – con i suoi dieci e passa minuti è il brano più lungo del disco – dai molteplici riferimenti estetici: l’impronta blues, il senso meditativo, il dialogo ispirato tra le frasi melodiche di tromba e tasti del piano. Tratteggi inquieti e trame oscure in “Incubo n. 3”, che come nel precedente “Incubo n.1” si basa su improvvisazioni ispirate a “Uppon Lamire”, mentre il conclusivo “Canto” si affida prima a richiami mediorientali, per poi aprirsi ad ampi spazi dinamici e ariosi cui segue un improvviso minuto di silenzio , poi la ripresa con la nitida pronuncia di Sigurtà e il pianismo caldo di Turrisi. 


Ciro De Rosa
Nuova Vecchia