Situata sull’antica via consolare Appia, tra un’ampia zona collinare e la fertilissima “Piana del Garigliano, Sessa Aurunca, è uno dei comuni più importanti della provincia di Caserta, tanto per la sua storia, quanto per le sue tradizioni. Già importante insediamento dell’antico popolo italico degli Aurunci, questo centro, conobbe il suo splendore in epoca Romana, diventando sede arcivescovile agli albori del Cristianesimo. Il suo tenimento si estende sino alle pendici del Massico, laddove veniva prodotto l’antico Falerno, vino tanto decantato nell’antichità da essere ritenuto un dono di Dioniso, il pregevole olio d’oliva delle Terre Aurunche e la mozzarella di bufala. Ancorché immeritatamente trascurata dai circuiti turistici mainstream, Sessa Aurunca è un gioiello incorniciato tra intonaci color pastello e cupole maiolicate, ma ciò che la contraddistingue oltre alle sue bellezze monumentali sono le tradizionali cerimonie religiose della Settimana Santa, che impegnano l’intero paese in un crescendo di partecipazione e tensione emotiva.
La Settimana Santa
Risalenti ai primi anni del Cinquecento, ovvero al periodo della dominazione spagnola, la storia e le origini delle celebrazioni religiose della Pasqua, si intrecciano con la nascita delle Confraternite nei primi vent’anni del XVI Secolo. Proprio queste ultime rappresentano l’elemento centrale delle celebrazioni della Quaresima, che si apre ufficialmente con l’esposizione durante i venerdì di marzo dei cinque “misteri”, statue lignee e in cartapesta raffiguranti i Misteri Dolorosi del Santo Rosario. Il calendario della Settimana Santa, immutato da quattro secoli, è scandito dalle Processioni Penitenziali delle sei Confraternite, che seguendo un turnazione, dovuta probabilmente all’epoca di fondazione, partono dalle rispettive chiese per raggiungere la Cattedrale ed assistere all’adorazione del Santissimo Sacramento. Ognuna di esse si contraddistingue per il colore della mozzetta, che viene indossata su un saio bianco, tenuto in vita da una cordone dello stesso colore della mozzetta, a cui si accompagna un cappuccio bucato all’altezza degli occhi, in segno di penitenza. A fare eccezione è il saio nero indossato dall’Arciconfraternita del S.S. Crocifisso, che rimanda alle origini francescane di questa istituzione religiosa, mentre sul cappuccio, molto lungo a sostituire la mozzetta, recano uno stemma che rimanda alla crocefissione.

Il Martedì Santo, l'Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso e Monte dei Morti, partendo dalla Chiesa Francescana di San Giovanni a Piazza, raggiunge a sua volta la Cattedrale, mentre nel pomeriggio partecipa ai riti penitenziali l'Arciconfraternita della Santissima Concezione, che un tempo partiva dalla Chiesa dell'Immacolata, annessa al convento. L’ultimo giorno delle Processioni Penitenziali è il Mercoledì Santo, che si apre con la Confraternita di San Carlo Borromeo, che ha sede nella Chiesa di San Carlo e che si caratterizza per le mozzette color rosso vermiglio, mentre a chiudere è l'Arciconfraternita della Vergine del Rosario, che parte dall'oratorio dell'ex convento di San Domenico e si contraddistingue per le mozzette di raso nero. Un tempo sembra che il privilegio di chiudere i riti penitenziali spettasse alla Confraternita del Santissimo Rifugio, in quanto istituzione più giovane, ma poi l'Arciconfraternita della Vergine del Rosario, che era la congrega dei nobili di Sessa Aurunca, acquisto questo privilegio da quest’ultima.
La sera di Mercoledì Santo, ritiratasi l’Arciconfraternita della Vergine del Rosario, si prepara quello che è considerato il momento più importante della Settimana Santa a Sessa Aurunca, ovvero l’Ufficio delle Tenebre, meglio noto come “O’ Terramoto”, che si svolge nella Chiesa dei Frati Minori a San Giovanni a Villa. Si tratta di un rito, dalla grande tensione drammatica, da cui emerge tutto il dramma e la sofferenza del mondo per la morte del Figlio di Dio. Protagonista della celebrazione è l’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso, i cui confratelli vestiti di nero siedono in fila ai lati dell’altare. Nel presbiterio, di fronte all'altare, è collocata la "Saetta", un grande candeliere a forma triangolare, sul quale ardono quindici candele. Il rituale, seguendo una precisa partitura scenica, scandita dal progressivo spegnimento delle quindici candele, ricalca l’antico canone liturgico dei Mattutinum Tenebrarum (Feria V, in Coena Domini), composto da tre Notturni, con nove Letture, tratte da vari testi sacri, tra cui le Lamentazioni di Geremia, i Trattati di sant'Agostino e le Epistole di San Paolo, e diversi sermoni, letti e cantati in latino a più voci, con l'accompagnamento dell'harmonium, da vari lettori e cantori. Il momento musicalmente più intenso è quello delle Lezioni, intercalate dai Responsori, con il Primo Notturno che riprende le “Lamentationes Jeremiae Propheatae” (Le Lamentazioni del Profeta Geremia), la cui prima lettura è documentata nel secondo disco allegato al libro di Piero G. Arcangeli et al. “Canti Liturgici di Tradizione Orale”.
TestoIncipit Lamentatio Jeremiae Prophete ALEPHQuomodo sedet sola civitas plena populo:Facta est quasi vidua domina Gentium:Princeps provinciarum facta est sub tributo. BETHPlorans ploravit in nocte, et lacrimae ejus in maxillis ejus:Non est qui consoletur eam ex omnibus caris ejus:Omnes amici ejus spreverunt eam, et facti sunt ei inimici.
Quando tutte le candele sono tutte spente, tranne una, simboleggiante il Cristo Crocifisso, quest’ultima viene presa dal cerimoniere, tolta dalla Saetta e tenuta accanto all’altare, mentre viene eseguita l’antifona del Benedictus.
Il Miserere
Segue poi la recita del “Miserere”, tratto dal Salmo 50, durante la quale il cerimoniere si allontana nascondendo dietro l’altare il cero ancora accesso. La chiesa resta così nel buio assoluto, e così ha inizio il canto del Miserere. Si tratta dell’unico esempio di polivocalità in Campania, nel quale le voci dei tre cantori dell’Arciconfraternita, una alta, una media ed una bassa, si fondono dapprima in uno struggente impasto sonoro quasi fossero il vibrato di un organo, poi si dividono in tre cercandosi attraverso appoggiature e ritardi, per trovarsi in fine in triadi “perfette”, modulate con una tecnica strabiliante, senza essere collegate tra loro da alcuna alcuna “logica armonica” tonale o modale. L’ascolto dolce ed armonico, coinvolge completamente l’ascoltatore, evocando le melodie arabe ed andaluse, fino a commuovere per la fortissima carica emotiva che imprime nell’animo su senso di rapimento ed inquietudine. Per giungere ad una così perfetta resa esecutiva è richiesto agli esecutori un affiatamento ed una preparazione che viene conseguita solo dopo anni di prove dedicate all’impostazione del tono, alla modulazione e alla dominanza dell’interpretazione. Dal punto di vista prettamente tecnico è caratteristica la chiusura delle vocali nella cadenza finale di ogni strofa, il cui attacco invece è dato dalla voce alta corrispondente alla nota Re. La terza voce tonica, il basso, corrispondente al sol, funge da sostegno armonico alla seconda voce, corrispondente al Si. La seconda e la terza si muovono così per linee parallele, armonizzandosi con intervalli irregolari. Il Trio ufficiale è attualmente composto da: Antonio Aurola (voce alta - Prima voce), Vincenzo Ago (voce media - Seconda voce) ed Emilio Galletta (voce bassa - Terza voce).
Dal punto di vista dell’origine del “Miserere” e delle “Lamentationes” ciò che colpisce è la differenza profonda che li separa musicalmente. “Queste ultime, infatti, sono intonate su un impianto melodico che immediatamente evoca una situazione operistica ottocentesca. La melodia è molto bella e per nulla banale, ma le sue radici sono, senza alcun dubbio, moderne. Di contro il Miserere suggerisce sia per il suo impianto, sia per il suo modo davvero straordinario con il quale è cantato impressioni di grande “arcaicità”. Le descrizioni e i tentativi di analisi a proposito di questo brano che conosciamo”, non soltanto non suggeriscono fondate ipotesi sulla sua origini, ma anzi, propongono elementi di forte problematicità. Non c’è dubbio che si tratti di uno dei documenti più intensi della tradizione liturgica e che il modo con il quale è realizzato dai cantori di Sessa Aurunca influisce in modo determinante a proporre ascendenze forse più antiche di quanto in realtà questo “Miserere” abbia. L’intervento popolare è stato certamente molto forte se la matrice del canto fosse, poniamo, cinquecentesca. L’esecuzione del “Miserere” è strettamente “professionale”. L’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso è “depositaria” del canto ed ogni cantore si incarica di insegnare la sua parte ad un allievo, per assicurare la trasmissione in modo corretto. Ciò è evidentemente richiesto anche dalla specificità esecutiva che impone una competenza assoluta e una forte immedesimazione nel particolare modo con il quale sono articolate le parole (il testo verbale viene quasi completamente “inglobato” nelle soluzioni sonore, fino a diventare pressoché incomprensibile) e si realizza l’emissione della voce.
Tratto da Piero G. Arcangeli et al., Canti Liturgici di Tradizione Orale, Nota 2012
Testo1 Miserere mei Deus, secundum magnum misericordiam tuam2 Et secundum multitudinem miserationem tuarum, dele iniquitatem meam3 Amplius lava me ab iniquitate mea: et a peccato meo munda me4 Quoniam iniquitatem meam ego cognosco: et peccatum meum contra me est semper5 Tibi soli peccavi, et malum coram te feci:..
Interessante è anche quanto scrive Roberto De Simone (che per primo ha fatto conoscere il “Miserere” di Sessa Aurunca): “Esemplare brano di musica polivocale (a tre voci pari), di straordinaria espressività stilistica (…). Dal punto di vista storico ed etnomusicologico, il brano pone diversi interrogativi sui rapporti tra musica d’arte e musica popolare. Innanzitutto, la rilevanza di frequenti “ritardi” armonici evidenzia una pratica inizialmente popolare che, con molta probabilità, influenzò la musica colta. D’altra parte, le brevi cadente modulanti sembrerebbero di origine colta ed acquisite dal mondo folclorico. Purtuttavia, la condotta melodica delle voci presenta passaggi con quarti di tono, effetti di suono strisciati, dinamiche e cadenze che escludono qualsiasi derivazione dall’alto. L’armonia, infine, sembrerebbe far capo a procedimenti polifonici delle “villanelle” cinquecentesche, quantunque il modo parallelo di accordi in secondo rivolto (quarta e sesta) non sia riscontrabile in nessun documento scritto pervenutoci. La tradizione impone che gli esecutori siano solo tre, ciascuno dei quali ha l’onere di insegnare ad altra persona, dotata musicalmente, la propria parte vocale, allo scopo di supplire a qualsiasi defezione dei tre titolari, nel rispetto dello stile vocale”.
Testo tratto da Roberto De Simone, “Son Sei Sorelle – Rituali e Canti della Tradizione in Campania, SquiLibri 2011
Il Terremoto
Recitato nuovamente il Miserere e il relativo Oremus, segue un crepitacolo. E’ la natura che ha raccolto l’ultimo respiro di Cristo, il figlio di Dio, che reagisce, le rocce si spaccano, i sepolcri si aprono. E’ Il Terremoto. Il frastuono termina quando la candela nascosta dietro l’altare riappare, per annunziare la fine dell’Ufficio delle Tenebre. La Gloria di Cristo è eclissata dal dolore del tradimento di Giuda, dall’abbandono da parte degli Apostoli, da Pietro che lo rinnega per tre volte, e dal dolore della Passione che si abbatte sulla Terra.
Il Giovedì Santo, è giorno di lutto e allo stesso tempo di vigilia, che i sessani dedicano a preparare le celebrazioni dei giorni successivi. Si sistemano le luminarie, cominciano i preparativi nelle cucine, ma soprattutto si cominciano a preparare i “carraciuni”, falò purificatori che ogni quartiere accende al passaggio del Cristo Morto. Al mattino in Cattedrale si celebra la Messa Solenne degli Olii, mentre nel tardo pomeriggio si tiene la Messa “In Coena Domini”. Nelle altre chiese del paese sono invece esposti all’adorazione gli “Altari della Riposazione”, i “Sepolcri” allestiti dalle donne e decorati dai ciuffi di grano, fatti germogliare al buio delle case, e che simboleggiano la vita che rinasce, la resurrezione del Terzo Giorno, la Speranza.
La Processione dei Misteri del Venerdì Santo

Deposizione e Resurrezione
Il Sabato Santo, è di nuovo processione, con gli ultimi due gruppi dei Misteri, la Deposizione, che fa capo alla della Confraternita di San Carlo Borromeo e rappresenta Giuseppe D'Arimatea e Giovanni Nicodemo che depongono il corpo di Cristo dalla croce per consegnarlo alle Pie Donne, e la Pietà che invece è della Confraternita del Santissimo Rifugio, e che ritrae Maria mentre tiene in braccio il corpo di suo Figlio. Se un tempo i due cortei procedevano in modo distinto, con la solita andatura “a cunnulella”, dal 1968 uscite dalle rispettive chiese si incontrano in Via Roma. E’ questo l’appuntamento, più vicino al sentire popolare, e forse quello più sentito, dove sono protagoniste le donne. Tutte le donne di Sessa Aurunca, infatti vestono “alluttate” con un grembiule nero bordato di bianco, seguono scalze le statue portando un pesante cero, a ricordare la loro vicinanza a Maria. Al suono della banda le donne lanciano i loro gemiti acuti, i loro lamenti, e così in uno stato di smarrimento generale si compie ancora un giro della città, che dura fino al pomeriggio, allorquando si distribuiscono candele e ramoscelli di ruta, l'erba miracolosa che "ogni male stuta". E’ questo rituale quasi pagano che rappresenta l’ultimo atto della Settimana Santa a Sessa Aurunca, prima che arrivi il giorno della Pasqua, nel quale le solenni celebrazioni in Chiesa precedono pranzi luculliani.
Salvatore Esposito
Bibliografia
P. Perrotta, “La Settimana Santa a Sessa Aurunca”, Ferrara, 1986
S. Biagiola, “Un Miserere Polivocale a Sessa Aurunca”, in Studia Sessuana Vol.2, Scauri 1980
Roberto De Simone, “Son Sei Sorelle – Rituali e Canti della Tradizione in Campania, SquiLibri 2011
Piero G. Arcangeli et al., Canti Liturgici di Tradizione Orale, Nota 2012
Aa.Vv., “Le Tradizioni Popolari in Italia” Electa, 1990