Uribà – QB (FolkClub Ethnosuoni)

Il quartetto del ponente ligure ha scelto come nome il termine dell’alloro usato nei dialetti dell’area che va tra Albenga e Andora. Uribà fa propri sia documenti d’archivio raccolti nella “Liguria sconosciuta” , quella dell’entroterra valligiano, nel corso della seconda metà del XX secolo da diversi studiosi, Alan Lomax, Giorgio Nataletti, Paul Collaer e Mauro Balma, sia repertori ripresi da volumi antologici. Davide Baglietto (musette, whistle, rhodes, ceccola polifonica), Alessandro Graziano (voci, cori, chitarra), Federico Fugassa (basso elettrico e contrabbasso), Davide Bonfante (batteria) costituiscono un ensemble ben congegnato che pratica un folk elettro-acustico che predilige un’estetica rock e pop nella ritmica nelle armonizzazioni, nel profilo melodico e vocale. Lontani da intenti filologici o dal ricalco pedissequo delle fonti originali, i quattro mettono a frutto i propri trascorsi musicali (classica, jazz, rock, pop, elettronica), introducendo nella ricetta anche un’abbondante dose di ironia, a cominciare dalla copertina del disco, quanto di più disgiunto dal cliché folk-revivalista: “Quanto Basta”, appunto, per risultare gradevole al palato. Cosicché, l’apripista “Vaggu aa fera” è una filastrocca a propulsione funk, animata dal clarinetto mediterraneo del primo ospite del CD, Edmondo Romano. Il canto lirico monostrofico “Mamma io voglio andare sul monte Zemolo”, diffuso fin nell’Oltrepò pavese, mette in primo piano il passo leggiadro della band. Dopo due rondò d’autore (“Tacabrighe: Che or era sull’Orera – Tavabrighe”), usciti dalla penna di Baglietto, dove collidono ritmica rock, musette, violino e chitarra, si cambia registro con la ninna nanna “Adormite cuumbu”, proveniente dalla Valle Armea, sposata ad valzer (“Varzumbu”), nobilitato dagli ottimi Liguriani. Immancabile un canto di questua pre-pasquale di influenza piemontese, che trova la complicità della ghironda di Walter Rizzo. Scorrono piacevolmente le strofette di “La pulayera”: su una ritmica morbida fornita da batteria e contrabbasso, musette e violino guidano la melodia. Uno dei passaggi migliori del disco è un’altra filastrocca: “Puve de l’oru”, rivestita in foggia ritmica balcanica, che si avvale del contributo di un altro stimato ligure, Marco Fadda, alle tabla. Nella canzone “E laggiù in fondo in quel boschetto”, riletta come una scottish, entra una ceccola polifonica. Pulsa il basso elettrico nella ninna nanna corsa “’O ciucciarella”, soggetta ad un trattamento trip-hop, ed interpretata dalla voce di Marta Giardina degli A Brigà, formazione da cui 3/4 degli Uribà provengono. La reprise dei rondò di “Tacabrighe”, guest la musette in Sol di Fabio Rinaudo, è un take nato durante la session di registrazione, perfino sovrastante la versione proposta in precedenza, mentre si muove con andatura blues la conclusiva canzone “Stanco di pascolar le pecorelle”, segnata da vocalità un po’ troppo gentile. 


Ciro De Rosa
Nuova Vecchia