Intervista a Patrizio Trampetti

Storico membro della Nuova Compagnia di Canto Popolare, Patrizio Trampetti, dopo l’uscita dal gruppo ha intrapreso un proprio percorso da solista, sia come autore sia prettamente cantautorale. Lo abbiamo intervistato in occasione della pubblicazione del suo nuovo album, Qui Non Si Muove Mai Niente… 

Partiamo da lontano, come hai mosso i tuoi primi passi nel mondo della musica e soprattutto puoi raccontarci della tua esperienza con la Nuova Compagnia di Canto Popolare? 
Io da ragazzino ho studiato chitarra classica dal maestro Eduardo Caliendo, purtroppo scomparso una decina di anni fa. Era una persona straordinaria sia dal punto di vista umano sia da quello didattico, era un maestro in tutti i sensi. In quel periodo ho conosciuto Eugenio Bennato, che seguiva le lezioni di chitarra insieme a me, e il fratello Edoardo che aveva già terminato gli studi con il maestro Caliendo. Verso i quandici, sedici anni già scrivevo delle canzoni, era il periodo di Per Voi Giovani, c’era solamente una radio dove sentire le canzoni, c’erano i dischi che all’epoca costavano tanto, ed io li compravo a Forcella, dove gli americani vendevano gli lp che arrivavano dagli States e quindi costavano di meno. C’era un commercio poco pulito, perché i militari americani li compravano alla base Nato e poi li rivendevano. Lì ho comprato il live dei Canned Heat, quello dove c’è On The Road Again, e che era un disco che non si trovava. Io sentivo i brani per radio e poi cercavo i dischi. Ne ho comprati centinaia all’epoca. Avevo un gruppo di musica rock e una Fender Stratocaster, e suonavo a volte con Giorgio Bennato, il più piccolo dei tre, che era un grande appassionato dei Rolling Stones e dei Beatles. Un giorno incontrai Eugenio che mi disse: “vieni con me, c’è il Maestro De Simone a cui manca un elemento perché Carlo D’Angiò non può venire a Roma”. Gli chiesi che musica facessero, e lui mi rispose “facciamo musica popolare”. Sicchè dissi: “ma che è questa musica popolare?”. Insomma andai dal Maestro De Simone e mi ritrovai quasi per caso in questa bella storia che è durata un bel po’ di anni, visto che io ne avevo solo diciotto, ero un ragazzetto. L’avventura con la Nuova Compagnia di Canto Popolare è stata un esperienza bellissima di vita, molto formativa. De Simone è un grandissimo maestro e posso dire solo che mi si è aperto un mondo che non conoscevo. Poi abbiamo fatto tanti dischi, tante tourneè all’estero, la Gatta Cenerentola che è un pilastro del teatro e della musica popolare italiana. Essendo napoletani, come tutti i sogni si scioglie prima di tutti gli altri, perché siamo poco pragmatici, forse anche un po’ stupidi, un po’ rissosi. Del resto molti gruppi dopo dieci, dodici anni si sciolgono. Le band si sciolgono, c’è anche un disco di Carboni che lo dice. 


Hai vissuto, insomma, il periodo d’oro della Nuova Compagnia di Canto Popolare…
 
Ho vissuto il periodo, perché dopo è stata qualcosa di diverso. E’ un discorso questo molto particolare. Proprio oggi ho visto un manifesto dove in un teatro napoletano si esibiva la Nuova Compagnia di Canto Popolare, ho visto tutte facce che non conosco, tranne quella di Fausta Vetere. Lo spettacolo che propongono si chiama Li Sarracini Adorano Lu Sole, come il disco che abbiamo inciso nel 1974. Stiamo parlando di trentotto anni fa. Insomma se è novità questa... Viva Dio. Questo non lo dico per parlarne male, ma quando i gruppi originari diventano altri gruppi, e non c’è più nessuno della formazione iniziale… beh bisognerebbe cambiare nome. Non so perché lo mantengono, credo che non abbiano grande fantasia per cercarne uno nuovo. Io sono uscito dal gruppo nel 1982 in silenzio, in amicizia con tutti, non ho mai voluto fare polemica, perché non mi interessa. Non mi stimolava più quel discorso. Sono stato fermo a lungo e poi ho cominciato a fare, con grande fatica, teatro e non ho lavorato per un paio d’anni. E’ una questione di scelte, di carattere. Non voglio criticare nessuno, perché questo mestiere mi interessa solo se riesco a proporre delle cose che sento, altrimenti non mi piace. Già questo lavoro non mi piace perché non ho un grande narcisismo a stare sul palco, preferisco scrivere, quindi ripetere Tammuriata Nera per tutta la vita, sinceramente non mi interessava… 

Dopo la tua uscita dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare, hai chiuso, insomma, il capitolo della musica popolare… 
La musica popolare va molto anche oggi, Eugenio è stato bravissimo ad esempio nel dare vita al fenomeno Taranta Power. Penso però che qualsiasi tipo di musica quando diventa di maniera non ha più quella forza originaria. La musica popolare negli anni settanta era un grande veicolo di rottura in quella società che andava modificandosi, oggi come oggi è anche gradevole per il ballo, ma non ha più quei contenuti, è maniera. Lo stesso accade per la musica classica, per il rock se perdono la loro anima diventano orpelli, e non hanno più la loro forza delle origini. Mi interessa poco la musica popolare, a volte la canto pure per divertirmi, ma non mi stimola più. 

Ciò non ti ha impedito però di lavorare con Lino Cannavacciuolo e Peppe Barra…
Assolutamente… ho fatto molte cose con Ambrogio Sparagna e con altri musicisti come Mimmo Maglionico che ha un bel gruppo con cui a volte faccio dei concerti. Quindi io ci sono sempre, quando mi chiamano e lo faccio con grande entusiasmo, ma se devo pensare ad un progetto sulla musica popolare, penso che ho già dato tanto con le villanelle nel periodo di De Simone. Ho già dato tutto quello che avevo e soprattutto ho dato il ricordo della mia voce, perché ogni tanto incontro persone che mi dicono: “eh Patrizio, però la tua voce…”. Ad esempio su interent c’era una versione di Si Te Credisse che era un brano della Nuova Compagnia ed era cantato da un altro gruppo e mi hanno detto che c’era un commendo che diceva “Aridatece Trampetti”. Questa per me è una soddisfazione perché la mia voce è arrivata a toccare i sentimenti di tante persone. Penso che cantare sia principalmente questo, più che avere una voce esteticamente bella o con una grande estensione. Cantare è soprattutto comunicare quello che si ha dentro, se ci sono riuscito o se ci riesco è questo il mio obiettivo.

Tornando al periodo sabbatico, hai fatto cenno alla tua esperienza teatrale… 
Ho fatto molto teatro con lo Stabile di Torino, con Peppe Barra… 

Personalmente avuto modo di vederti proprio insieme a Peppe Barra in Le Follie del Monsignore al Comunale di Caserta… 
Ho interpretato per molto tempo questo personaggio, che tra l’altro era un personaggio reale della Napoli del Settecento, e mi sono divertito molto e mi diverto molto, se mai dovessimo rifarlo ancora. Il teatro è un’altra mia passione… 

Passando alla scrittura come nasce il Patrizio Trampetti cantautore… 
Mi piace molto scrivere le canzoni, quando mi vengono eh! Purtroppo non so scrivere pezzi commerciali. Una volta mi chiamò Eduardo De Crescenzo per scrivere delle canzoni di un suo album, però dopo una settimana mi disse: “Patrizio tu scrivi canzoni troppo facili”… Io pensavo il contrario, e non se ne fece niente. Edoardo è un grande cantante e un carissimo amico… però per lui le mie canzoni erano troppo facili. Vorrei ricordare però un’altra cosa importante, Mia Martini, per la quale purtroppo non ho mai scritto nulla, mi disse una volta che io ero un po’ il Paolo Conte del Sud. 

Tu hai scritto uno dei pezzi più belli del repertorio di Edoardo Bennato, ovvero Un Giorno Credi… 
E’ uno dei più famosi e questo soprattutto per merito di Edoardo, con cui l’ho scritta e che l’ha portata al successo, e di Roberto De Simone che fece un arrangiamento straordinario. Noi gli dicemmo: “Roberto ascoltati Penny Lane dei Beatles e usa un trombino barocco per l’arrangiamento”. Lui dopo due ore fece l’arrangiamento e c’è questo trombino finale splendido nella versione di Edoardo logicamente. 

Come nascono ne tue canzoni, qual è il tuo processo creativo? 
Io scrivo delle cose che mi vengono in mente, delle cose che vedo per la strada o in televisione, o che sento in radio, o anche leggo nei libri. Mi vengono dei pensieri e li scrivo, da qui nascono le canzoni, la musica nasce dopo, mai prima. Questo tranne nei casi come quello di Eduardo quando avevamo una musica e io ho adattato delle cose mie scritte. In genere però scrivo, scrivo migliaia di cose, alcune le perdo pure. Quello che scrivi non te lo ricordi più dopo, quando hai perso una frase, c’è una magia in quel momento e poi dopo non la recuperi più. Scrivo quando mi sento di scrivere, per cui non credo alle scuole di scrittura per le canzoni, tipo quella di Mogol, lui è un grande autore non perché è stato ad una scuola. Lui aveva una grande ispirazione, una grande sensibilità. Al di là del talento, è necessario qualcosa di più intimo. Imparare a scrivere canzoni o il corso di scrittura, beh non so a cosa possano servire… 

Da dove trai le tue ispirazioni? 
Penso che sia importante la fantasia che ognuno ha. Se uno ha una fantasia delirante, soprattutto se delirante, riesce a scrivere cose magnifiche. Un giorno credi, ad esempio falso incidente è un neologismo. Io sto parlando bene di me, ma in genere non lo faccio, mi ritengo molto minimalista in questo senso. Una volta stavo a Corfù in vacanza, avevo diciotto, diciannove anni e incontrammo un ragazzo americano e parlando mi chiese che cosa facevo nella vita, ovviamente gli risposi che cantavo. Lo dissi in modo talmente piccolo che lui mi chiese: “In A Restaurant?” e io gli dissi: “Eh.. vabbè… si in un ristorante”. Quindi non mi so vendere molto, e questo è un mio limite perché in questo mondo di apparenza bisogna sempre essere al di sopra delle righe. Vai dai discografici, una volta quando c’erano, i giornalisti, i produttori. Io invece ho un carattere molto schivo, che in questo senso non funziona molto. 

Parlando dei tuoi dischi, com’è nato Come I Fiori Tra I Marciapiedi con i Letti Sfatti? 
A me piace molto collaborare con chi mi da delle belle sensazioni. Incontrai Gennaro alla conferenza stampa di presentazione di un libro su Mia Martini e ci ripromettemmo di incontrarci per fare qualcosa insieme. E così è stato. Abbiamo fatto questo disco rock che volevo fare da ragazzo, ma che purtroppo non sono riuscito a fare perché ero impegnato con la musica popolare che mi ha bloccato (ride)… Abbiamo fatto un pezzo con Erri De Luca, che è uno scrittore che io conoscevo un po’ e che quando gli telefonai fu entusiasta di scrivere un pezzo con noi. 

Molto bello è anche Meno Male, dove c’è la splendida Portugal, che tra l’altro hai ripreso anche nel tuo nuovo album… 
Portugal nacque ai tempi dell’esplosione del fenomeno della Lega Nord e pensai di scrivere una canzone che si potesse cantare con un dialetto del sud e uno del nord. Due città di mare, Napoli e Genova, e la proposi a Francesco Baccini che scrisse la parte in genovese. La incidemmo e andò in un suo disco che si chiama Nudo, era un disco molto commerciale e quindi questo pezzo fu un po’ messo da parte, non fu promossa. Era un grande pezzo e quando conobbi Arthur Maia, che bassista di Djavan e gli chiesi se poteva fargliela sentire perché mi interessava cantarla in napoletano e brasiliano, in modo che avrei fatto scrivere il testo in portoghese da un mio amico. La portammo a Djavan, che era a Roma per un paio di concerti, ma per due giorni di seguito dormiva sempre fino alle tre di pomeriggio. Arthur Maia che era anche il bassista di Gilberto Gill, mi disse che gliel’avrebbe fatta sentire una volta arrivato in Brasile. Così poi l’ho cantata con Gill. 

Venendo più direttamente a Qui Non Si Muove Niente, come nasce questo disco? 
E’ nato dall’idea che mi sarebbe piaciuto cantare canzoni mie ma anche quelle di autori sconosciuti, che si sforzano molto più di me, spesso senza una lira e facendo altri mestieri, talenti come ce ne sono tanti, spesso giovani, che non so se emergeranno mai in questo paese, così unico, soprattutto per la musica, dove non si vive più con la musica. Quindi sentendo molti provini che arrivavano dai Letti Sfatti, perché loro ogni anni fanno una rassegna che si chiama Dietro La Nuca della Città, mi sono incuriosito. Così ho messo insieme alcuni di questi, altri scritti con Gennaro, e ho voluto allargare il giro anche ad interpreti sconosciuti e così è nato questo disco. Il titolo è lapalissiano, è l’Italia di oggi, purtroppo e anche la title track sebbene non parli direttamente del nostro paese, è evidente che ci sia una chiara allusione. 

Non è il solo pezzo dedicato all’Italia… 
Si infatti, c’è Italian Caos che ho cantato con gli ‘A67 che è un gruppo delle barricate napoletane. E’ un pezzo molto surreale, molto onirico, io difficilmente vado nella cronaca. 

Molto bella è anche Al Mercato delle Parole… 
Questo è un brano di un cantautore di Treviso, e qui ho avuto una bella idea, ovvero quella di far suonare la tromba a David Larible, che è un clown straordinario, forse il più bravo del mondo. Sono andato da lui al teatro Bellini e gli chiesi se voleva suonare nel brano. Lui mi disse subito di mandargli un mp3 e così dopo averla sentita, siamo andati a registrarla a Roma, perché lui intanto si era spostato lì in tournée. 

Al disco partecipa anche la giovannissima Silvia Romano… 
Vacalebre a rigurardo in un suo articolo sul Mattino ha scritto che “mineggia”, usando una bella espressione. 

Ne La Faccia Sicura ospiti invece Dario Sansone dei Foja… 
La volevo cantare con Baccini, ma era talmente impegnato che mi ha detto se potevamo farla fra due, tre mesi. Così gli ho risposto: “Francè… nun è cos”… 

Mena Casoria duetta con te in Perdere Tempo… 
Anche lei è molto brava, in genere fa la corista di Peppino di Capri e Nino D’Angelo, oltre a cantare suona anche il flauto. 

Con i Letti Sfatti hai invece interpretato Scappo di Casa di Ivan Graziani… 
Ho voluto farla con I Letti Sfatti perché è un pezzo rock, ma è un brano particolare perché appartiene a quelli meno noti di Ivan. Lui scriveva i testi in una maniera delirante, sono dei testi che non hanno ne’ capo ne’ coda, nel senso bello del termine. Insomma mi ha intragato molto fare questa canzone che abbiamo poi presentato al Premio Pigro qualche giorno fa. E’ una bella manifestazione, c’erano cantautori, gruppi emergenti, ognuno di loro faceva un pezzo loro e una cover di Graziani. Poi c’era Finardi che chiudeva la serata, io e un altro ospite. Ho cantato questa canzone e una del disco. 

Come si è evoluto il tuo stile cantautorale in questi anni… 
Spero solo che si sia evoluto e non involuto, perché se restavo nella Nuova Compagnia di Canto Popolare, penso che avrei cantato quelle canzoni per tutta la vita. Almeno dal punto di vista emotivo e fantastico, senza dubbio c’è stata un evoluzione. 

Concludendo, oggi leggevo che la SIAE come tanti enti pubblici vedrà i propri fondi tagliati. Che ne pensi? 
La SIAE dovrebbe chiamarsi SICA, Società Italiana Contro Gli Autori, perché è un ente delinquenziale. Noi siamo in un periodo in cui si scoprono molte tombe di questa Italia e la SIAE è una di queste, una di quelle società che fa gli interessi propri, con gente che sta al comando perché è legata a dei carri dove solo loro guadagnano e sfruttano. Ultimamente ne hanno fatta un’altra, cancellando il Fondo di Solidarietà, sono anni che ogni autore paga il 4% senza avere nulla. Io come tanti altri pagavamo per questo piccolo assegno di seicento euro che davano agli autori, non tanto a quelli ricchi, ma a gente anziana, che ha ottanta, ottantacinque anni, gente che ha vissuto di musica e che da un giorno all’altro si è ritrovata senza questo assegno. Si sono trovati nell’era della restaurazione del Governo Monti, che deve risistemare l’Italia per altre cose, e quindi abbiamo gente che va in mezzo alla strada. Questo fondo ha una base di inutilizzato di ottantasette milioni di euro. Sono dei delinquenti. Non si sa cosa faranno. Su internet si possono trovare cose allucinanti. Hanno perso ottanta milioni con il crack di Lehman Brothers. Immobili venduti dai dirigenti della SIAE. Uno schifo, certo gli esodati fanno più rumore perché sono tanti e se ne parla, ma è vergognoso… gente che a ottant’anni non ha nemmeno seicento euro al mese, e saranno mille, duemila persone… Insomma è in linea con quanto sta facendo questo governo. Sono delinquenti legalizzati. 



Patrizio Trampetti – Qui Non Si Muove Mai Niente (Laboratori di Provincia/Fullheads-Audioglobe) 
Ad un anno di distanza dal progetto Questa Città insieme allo scrittore Erri De Luca, Patrizio Trampetti torna con un nuovo album dal titolo Qui Non Si Muove Mai Niente, che raccoglie nove brani più una bonus track. Rispetto al precedente questo nuovo lavoro si muove più verso la canzone d’autore, con il cantautore napoletano impegnato non solo nell’interpretazione di brani composti da lui stesso, ma anche composizione, scovate tra i vari demo che ogni anno i Letti Sfatti raccolgono per un contest per cantautori. Questa scelta ci sembra assolutamente significativa e documenta molto bene quella che per Trampetti è la concezione della canzone d’autore, assolutamente svincolata da qualsiasi condizionamento. In questo senso assumono un senso ben definito anche le varie collaborazioni, e le varie voci che affiancano il cantautore napoletano nel corso del disco, così come il titolo che il titolo si ricollega a questa visione molto aperta del fare canzone, partendo dalla stagnazione culturale e sociale italiane. Ideato, prodotto e mixato da Jennà Romano, che tra l’altro nel disco suona praticamente la maggior parte degli strumenti, il disco vede l’ex membro della Nuova Compagnia di Canto Popolare, accompagnato da altri ottimi musicisti come Carmine Giordano (piano, chitarre e sintetizzatori), M. Del Gaudio (batteria), Dario Casillo (piano), Massimiliano Mauriello (chitarre), R. Marangio (basso), Romolo Morandini (filicorno), Gino Orfitelli (basso), ed Enzo Cangiano (batteria). Ad aprire l’album è la title track, un brano sospeso tra il senso di immobilità che pervade l’Italia e la conseguente precarietà, seguita da La Faccia Sicura in cui Trampetti duettando con Dario Sansone dei Foja, canta dell’arroganza e “di chi sa parlare di niente e ha la faccia sicura”. Tra i brani più intensi del disco vanno certamente menzionate Il Mercato delle Parole, scritta dal napoletano Antonio Nola, e nella quale compare alla tromba David Larible, “il clown dei clown” e Sono Un Animale, ballata rock in duetto con la giovane Silvia Romano. Non mancano i Letti Sfatti con cui rilegge Scappo di Casa di Ivan Graziani e qualche incursione nella scena napoletana con Perdere tempo di Gaetano Orefice e In questo mondo brano del duo di Bagnoli Factotum. Completano il disco Italian Kaos, dove la voce di Trampetti incontra gli A’67 e la splendida bonus track Portugal, cantata in duetto con Gilberto Gill e nella quale si confrontano due lingue e due culture come quella napoletana e quella brasiliana. Qui Non SI Muove Mai Niente è senza dubbio uno dei lavori più riusciti di Patrizio Trampetti ed è certamente quello che meglio cattura il senso del suo fare canzone. 


Salvatore Esposito
Nuova Vecchia