Luisa Del Giudice is an Independent Scholar who has been a university academic (UCLA, Addis Ababa University, Ethiopia), public sector educator (Founder-Director of the Italian Oral History Institute), community activist (interfaith and intercultural peace and justice), and through these multiple activities has sought to bridge various roles and audiences. She has published and lectured widely and is internationally known for her work on Italian and Italian American and Canadian folklife, ethnology, oral history, and has produced many innovative public programs on Italian, Mediterranean regional and folk culture, and local history, in Los Angeles (e.g., Performing Ecstasies: Music, Dance and Ritual in the Mediterranean; Italian Jews: Memory, Music, Celebration; Italian Los Angeles: Celebrating Italian Arts, Local History and Life in Southern California; Essential Salento: A Festival of Salentine Culture, etc.). Among her monographs and sound recordings are: Cecilia: Testi e contesti di un canto narrativo tradizionale; Studies in Italian American Folklore; Italian Traditional Song; Il canto narrativo al Brallo; Imagined States: Nationalism, Utopia, and Longing in Oral Cultures; Performing Ecstasies: Music, Dance, and Ritual in the Mediterranean; Oral History, Oral Culture and Italian Americans. Forthcoming In Search of Abundance: Paesi di Cuccagna and Other Gastronomic Utopias; Sabato Rodia's Watts Towers: Art, Migrations, Development. She was President of the Kommission für Volksdichtung, member of the SIEF Executive Board, and on the Executive Council of the American Italian Historical Association. She has co-convened (with Sabina Magliocco) the Mediterranean Section (formerly Italian Section) of the American Folklore Society for many years. In October, 2008 she was named a Fellow of the American Folklore Society, and was Knighted (Cavaliere) by the President of the Republic of Italy.
Fondatrice dell'Istituto di Storia Orale Italiana ed ex-docente presso la UCLA, Luisa Del Giudice è da anni impegnata in un intenso percorso di ricerca attraverso la cultura e la tradizione orale italiana, abbiamo avuto il privilegio di intervistarla e con lei abbiamo approfondito diversi argomenti spaziando dal suo percorso di studi al folk revival per finire alla sua opera più recente Oral History Oral Culture and Italian Americans.
Come è nata la sua passione per lo studio della cultura e della tradizione orale italiana?
Prima di tutto, e' la mia cultura natale, essendo figlia di padre contadino e pescatore terracinese; vale a dire e' una cultura vissuta in (quasi) tutti i suoi aspetti--culinari, musicali, rituali, e attraverso altre tradizioni tipiche del basso Lazio--pero' vissute nella diaspora, a Toronto, nel Canada, nel Dopoguerra, dove siamo immigrati nel 1956. Ho iniziato il "ritorno alle origini" comunque, con una prima visita in Italia negli anni '70. Appena uscita dal liceo, mi ero messa a studiare l'italiano all'universita' di Toronto, , con un corso per dialettofoni (in casa si parlava solo il terracinese). Solo dopo un decennio di studi universitari, pero'--all'Universita' della California, a Los Angeles, per essere precisi--ho fatto la grande scoperta che si poteva studiare (anche) la cultura contadina, operaia, e le tradizioni orali italiane seriamente (purtroppo, mai in un dipartimento d'italianistica)--e che non ero costretta a ripetere soltanto studi letterari. Cosi' ho cominciato a fare una scoperta dopo l'altra, ad ascoltare, a raccogliere, a studiare questa cultura, fuori di ogni curriculum d'Italianisti. Finalmente mi ero preparata le orecchie per l'ascolto del mio proprio passato, cioe', attraverso la cultura e la storia orale. Sono strati di cultura a cui gli immigrati raramente hanno/avevano accesso. Il fascino era, nel frattempo, anche diventat un impegno, ovvero una missione personale: studiare e presentare questa cultura popolare italiana, cosi' poco conosciuta, e farmene portavoce. Rompere un silenzio insomma.
Qual è stato il suo percorso di studi e quali sono state le sue principali ricerche nell'alveo della musica tradizionale italiana?
Alla UCLA negli anni 80' dov'ero venuta a fare un Ph.D. su Boccaccio (dopo 5 anni all'Univ. di Toronto; piu' 2 anni all'Univ. di Firenze), ho scoperto invece il Folklore e l'Etnomusicologia. In queste materie sono auto-didatta. Sono stata Research Assistant (ricercatrice), presso il Medieval and Renaissance Studies Center della UCLA, per uno studioso di ballate anglo-irlandesi, D.K.Wilgus (per dare una mano a sistemare il suo catalogo di ballate). Mi son detta: ma questo lo posso fare anche per la cultura orale italiana! Ho frequentato per la prima volta un convegno internazionale sulla ballata (Kommission fuer Volksdichtung, della SIEF) a Dublino nel 1984, e ho continuato a frequentarli (e ne sono diventata vice-presidente, poi presidente), a: Crete (1986), Freiburg (1989), Québec (1989), Bergen (1990); Los Angeles (1993), Faroe Islands (1994), Brittany (1995), Wales (1996), Slovenia (1997), Aberdeen (1999), Bucharest (2000), Budapest (2001), Leuven (2002), Austin (2003), Riga (2004). Ho fatto ricerche sul campo per la Regione Lombardia sul canto narrativo a Brallo (Appennino Pavese), e mentre avevo una Fulbright presso l'univ. di Pavia ho cominciato a pubblicare, poi ad insegnare e ad organizzare convegni ed eventi--sempre tra l'accademico ed il pubblico generale, e finalmente ho fondato l'istituto per la storia orale italiana (chiuso nel 2007). Alcuni scritti: Performing Ecstasies: Music, Dance, and Ritual in the Mediterranean, a cura di LDG e Nancy Van Deusen, Ottawa: Institute for Medieval Music, 2005; Cecilia: Testi e contesti di un canto narrativo tradizionale, Brescia: Grafo, 1995. Italian Traditional Song (antologia sonora di canti popolari italiani con libro di testi tradotti in inglese), Los Angeles: Italian Heritage Culture Foundation e l'Istituto Italiano di Cultura, 1989, 2a ed., 1995; Canto narrativo al Brallo (lp), Ricerche etnomusicologiche, Archivio Sonoro 7, Milano: Albatros, 1990. Ho pubblicato articoli su vari aspetti della tradizione orale italiana, tra cui: i canti narrativi, il canto a ballo, Costantino Nigra, il foglio volante, le ninne-nanne, il neo-tarantismo, il folk revival nel Salento, e ho collaborato a varie produzioni sonore del gruppo Aramire' nel Salento e del Lomax Collection negli Stati Uniti. Su altri aspetti della cultura orale italiana invece (cito solo volumi e non articoli): Imagined States: National Identity, Utopia, and Longing in Oral Cultures, a cura di LDG e Gerald Porter, Logan: Utah State University Press, 2001, e recentemente: Oral History, Oral Culture and Italian Americans, ed. LDG, New York: Palgrave Macmillan, 2009.
Nel corso della sua attività accademica ha avuto modo di studiare anche il fenomeno del folk revival. Come lo giudica?
Si', particolarmente il revival della musica salentina, attraverso il "neo-tarantism" e la pizzica, sia nel Salento che come fenomeno del World Music. Trovo il fenomeno del revival (e la musica stessa, ovviamente, compresa la pizzica), affascinante, una musica forte, coinvolgente. Ho avuto modo di contribuire al suo revival qui a Los Angeles ed indirettamente, dunque, negli Stati Uniti, portando avanti anche quello che era stato fatto prima degli anni 90 (e.g., Alessandra Belloni, John La Barbera, e i Giullari di Piazza, di New York, cominciando negli anni 70), con l'aggiunta dell'attivita' piu' recente di Enzo Fina, Roberto Catalano di Musicàntica qui a Los Angeles. Ne scrivero' nel prossimo volume sul Folk Revival in Italia, a cura di Goffredo Plastino e Franco Fabbri.
Si può parlare ancora nel 2012 di autenticità nella canzone tradizionale?
Sul concetto di "autenticita'" ed ideologie/retoriche di purismo dobbiamo stare molto attenti (come folkloristici ci avvertono da decenni). Evito quel termine: la tradizione stessa e' sempre stata un flusso di conservazione ed innovazione. Durante i periodo di fervore revivalistico, c'e' una energia che mette i due poli particolarmente in evidenza: ne risulta dunque un stretto rapporto di ritorno e partenze, di sperimentazioni, di fusioni. Anche se l'incontro informale tra amici, tra compaesani e' una cosa, ed il palcoscenico e' un'altra: resta chiaro che i due poli hanno scopi, pratiche musicali, raison d'être, diversi. Forse gli archivi esistono anche per questo: tracciare la storia dei gusti, delle musiche, e delle pratiche musicali, e degli ambiente e delle comunita' in cui vivono, e nei vari contesti in cui si esporta. Ho partecipato da vicino sia all'ambiente piu' locale di famiglia, di paese in cui si trova questa musica, che quello piu' mondiale. Qualche volta con sorprendenti cambiamenti positivi e negativi, a seconda dei gusti, e destinatari, dimostrando tuttavia che la musica e', in effetti, ancora vitale. Ci dovrebb'essere posto per tutti, senza neo-purismi esclusionari. E' inutile insistere sull'"autenticita'" se poi corrisponde ai gusti di nessuno o di pochi oggigiorno. D'altra parte, non sono musicista, solo ascoltatrice di questa musica!
Quanto è stato importante l'influsso della tradizione e della cultura orale italiana nella cultura americana, e viceversa?
E' stata importante negli anni '60 e '70, per chi ha fatto l'esperienza diretta dell'emigrazione del secondo Dopoguerra, ma a dire la verita' poca influenza sulla cultura americana in modo diretto. Ovviamente, ovunque sono emigrati italiani, a partire dal fine 800, hanno portato la cultura che conoscevano, quella tradizionale (visto che la stragrande percentuale erano contadini e braccianti), e cosi' anche la tradizione lirica, ed in minor modo, il canto tradizionale italiano (praticato soprattutto in famiglia e tra co-paesani). Questo patrimonio pero' non ha avuto una vita lunga poiche' si e' persa la lingua italiana, dialettale degli immigrati stessi (per una serie di motivi socio-politici). E' un lavorio che bisogna fare, da capo, purtroppo. Sono nei discendenti degli immigrati, e attraverso gli appassionati non-italiani della musica tradizionale, che si potra' avere un influsso, oggi. Attraverso il nuovo revival, a partire degli anni '90, direi, che si verifica un piu' ampio interesse per le musiche indigene di tutto il mondo, e tra queste, la musica tradizionale italiana. Attualmente, siamo in pieno revival con l'esportazione di musiche italiane prevalentemente mediterranee (salentina, campana, anche siciliana), sui palcoscenici di New York, Los Angeles, e nelle grandi metropoli della diaspora italiana.
Com'è nato il libro Oral History Oral Culture and Italian Americans che Lei ha curato?
Nel 2003 mi e' stato chiesto di organizzare il convegno annuale dell'American Italian History Association (adesso "Italian American Studies Association") a Los Angeles. Ho accettato l'invito perche' potessi scegliere il tema. Il convegno "Speaking Memory: Oral History, Oral Culture and Italians in America" tenutosi a Los Angeles, e' stato il primo incontro di quest'associazione (il maggiore gruppo accademico che si dedica alla storia, cultura, e letteratura della migrazione italiana in questo paese, forse il mondo) ad aver luogo nella California del Sud, e la prima volta che affrontasse il tema dell'oralita'.
Lei ha diretto l'Istituto Italiano di Cultura Orale dal 1994 al 2007 ci può parlare di questa importante esperienza?
All'inizio si chiamava "Italian Oral History Project" ed era sorto dal mio insegnamento sulla cultura popolare italiana e della diaspora, presso il dipartimento d'Italianistica alla UCLA, perche' insistevo che ogni studente facesse ricerca sul campo. Insieme e' nato un piccolo archivio ed attivita' di storia orale locale, inoltre al sito web: italianlosangeles.org. Nel 2000, visto che l'appoggio per quest'attivita' didatica (con la nuova direzione del dipartimento), veniva meno, ho fondato (come California educational non-profit institution) l'Italian Oral History Institute (IOHI), per poter occuparmi sia della parte accademica che di quella pubblica della storia e cultura orale italiana, in collaborazione con vari enti universitari, museali, istituzionali. Un'operazione sull'orrizonte della culturale italiana in ambito locale, devo dire, abbastanza innovativa e di successo! Abbiamo creato convegni universitari e festival multimediali (con concerti, mostre, workshops, ecc.) intorno a vari temi: sulla musica, danza, e ritualita' nel Mediterraneo (Performing Ecstasies: Music, Dance, and Ritual in the Mediterranean, sugli ebrei italiani (Italian Jews: Memory, Music, Celebration), sugli italiani di Los Angeles (Italian Los Angeles: Celebrating Italian Arts, Local History and Life in Southern California), sulla cultura salentina (Essential Salento: A Festival of Salentine Culture, con la partecipazione del gruppo Aramirè). Poi pero' mi ero stancata di portare avanti quest'attivita', in gran parte, da sola, con pochi appoggi tangibili ed intangibili istituzionali. Ho chiuso l'IOHI, con ramarico, nel 2007.
I suoi studi non si limitano alla musica ma si estendono anche alle tradizioni popolari in generale, quanto è importante un'approccio globale allo studio etnografico?
Io ho sempre trovato abbastanza naturale che allo studio etnografico ci si avvicinasse in modo globale poiche' e' in questa maniera che si vive questa (ed altre) realta'. La cultura non si presenta divisa per genere. La cultura popolare e' collegata come esperienza vissuta, e cosi' mi sono trovata portata in varie direzioni legate tra di loro: musica, alimentazione, ritualita', architettura, e cosi' via.
Quali sono i suoi metodi di ricerca sulle fonti popolari siano essi musicali, culinari o folklorici in genere?
La ricerca sul campo come primo. La ricerca storica archivistica e bibliografica secondo. Mi avvicino ad ogni argomento in maniera tridimensionale: il vissuto, la storia, l'apparato critico. Ci vuole spessore storico in ogni cosa, secondo me.
Lei vive negli Stati Uniti da molti anni, come è considerata la tradizione popolare italiana?
La tradizione popolare, per alcuni aspetti culturali, va richiamando attenzioni sempre maggiori, particolarmente negli ultimi decenni, grazie anche alle attivita' delle rappresentanze italiane, attraverso le camere di commercio, gli istituti di cultura, gli enti di turismo. Per quel che riguarda la cucina (che pare il nostro impatto maggiore sulla cultura americana), c'e' stata la scoperta della "cucina rustica," dei prodotti e vini regionali radicati del territorio italiano. Tutto questo grazie anche al turismo crescente, cosicche' gli americani hanno scoperto l'Italia dei paesi e delle regioni, per via diretta--e dunque, insieme alla cucina tradizionale (libri di cucina ormai senza fine...), altri aspetti della cultura popolare italiana, compresa la musica, le feste, e cosi' via.
Negli ultimi anni si è assistito ad uno sbocciare di festival come la Notte della Taranta. Quanto sono importanti questi eventi per consentire al grande pubblico di approcciare la musica tradizionale?
I festival sono essenziali, e comunque rappresentano l'approccio di piu' ampio raggio per raggiungere un pubblico generale. Certo non sono gli accademici, in generale, a poter raggiungerlo! So pero' che la Notte della Taranta, e' anche un'operazione polemica, dal punto di vista dei musicisti/operatori culturali salentini locali. Certo che lo strepitoso successo di questo evento, porta questa musica e soprattutto la pizzica (piu' o meno tradizionale) all'attenzione del grande pubblico--con tutti i pro e i contro che tale esplosione comporta. Certo che ai giovani, il grande concerto, l'effetto media, sembra attirare attenzione. Poi pero' bisognerebbe fare anche capire cos'e' e cosa e' meno, parte della tradizione piu' locale, di questa musica, come la si suonava, a cosa serviva--l'aspetto storico etnografico piu' approfondito, insomma. E da qui forse invogliare le autorita' ad appoggiare iniziative per l'insegnamento, l'apprendimento di tale materia, gli archivi sonori e multimediali di questa cultura, qualcosa che resta sul territorio locale, per le generazioni future. Non deve finire in una vampata, insomma, come avvertiva gia' molto tempo addietro, Luigi Chiriatti. E quando non ci sara' piu' la Notte della Taranta, cosa restera'?
Concludendo, quali sono le ricerche in cui è impegnata attualmente?
Attualmente, sto curando una raccolta di saggi, derivati da due convegni sulle Torri a Watts dello straordinario Sabato (Sam, Simon) Rodia, le cosidette "Watts Towers"--uno su Arte e Migrazione all'universita' di Genova nel 2009, a cui ho partecipato con organizzatore, insieme ad Alessandro Dal Lago, Serena Giordano, docenti all'univ. di Genova, e Tom Harrison della UCLA; ed il secondo a Los Angeles nel 2010 ("Watts Towers Common Ground Initiative: Art, Migrations, Development" wattstowerscommonground.org). Di prossima pubblicazione dunque: Sabato Rodia’s Watts Towers in Los Angeles: Art, Migrations, Development, a cura di LDG, New York: Fordham University Press. Poi sto raccogliendo i miei propri scritti su alimentazione e tradizioni popolari culinarie italiane in un volume che s'intitolera': In Search of Abundance: Mountains of Cheese, Rivers of Wine and Other Gastronomic Utopias, New York: Bordighera Press (per es. sulle cantine degli immigrati, le tavole siciliane di S. Giuseppe, i paesi di cuccagna, storia della pasta, ecc.) Inoltre, tornero' su un argomento che mi sta molto a cuore: l'etnografia come prassi spirituale, visto che mi occupo anche di iniziative inter-religiose, e di "social advocacy" di vario genere (per es., un tema che ho gia' iniziato a trattare in: “Ethnography and Spiritual Direction: Varieties of Listening,” in Rethinking the Sacred, Proceedings of the Ninth SIEF Conference in Derry 2008, ed. by Ulrika Wolf-Knuts, Department of Comparative Religion, Åbo Akademi University, Religionsvetenskapliga skrifter, 2009: 9-23.)
Oral History, Oral Culture and Italian Americans, a cura di Luisa Del Giudice, Palgrave MacMillan 2009. 269 pp.,$85.00
Ex-professoressa di folklore italiano alla UCLA, nonchè fondatrice e direttrice dell'Istituto di Storia Orale Italiana di Los Angeles dal 1994 al 2007, Luisa Del Giudice è una Indipendent Scholar con alle spalle una lunga carriera accademica durante la quale ha pubblicato numerosi studi riguardo la musica e la cultura popolare italiana. Una delle opere più recenti da lei curate è il libro Oral History, Oral Culture and Italian Americans, pubblicato nel 2009 per Palgrave MacMillan, che raccoglie gli atti del Congresso “Speaking Memory: Oral History, Oral Culture and Italians in America,” tenutosi a Los Angeles dal 3 al 6 Novembre del 2005, con contributi di tredici autorevoli studiosi sia italiani che americani tra cui Alessandro Portelli, Stefano Luconi, Ernesto Milani, Marie Saccomando Coppola, Augusto Ferraiuolo e Michael Di Virgilio. Questo libro è dunque un'opera di altissimo profilo accademico nel quale vengono analizzate le influenze ed i riflessi che la cultura e la storia orale italiana hanno avuto rispetto alla tradizione folklorica americana, con particolare riferimento agli aspetti etnografici, storici, politici, artistici e musicali. Suddiviso in due parti, una dedicata alla storia orale e l'altra alla cultura orale, il libro riporta alla luce le fonti nascoste di una cultura non scritta, che necessita di studio continuo per essere disvelata. Tra i vari saggi oltre a quello di Alessandro Portelli, particolarmente illuminante è quello della stessa Del Giudice nel quale la ricercatrice analizza le stratificazioni della tradizione orale tra le culture americana ed italiana partendo dagli strati sociali più bassi del meridione d'Italia fino a toccare i suoi riflessi sugli italo-americani di terza e quarta generazione anche a livello di subconscio. Emerge così un percorso di analisi profondo sull'evoluzione delle caratteristiche poetiche e performative della cultura orale, ed in parallelo viene toccato con grande dovizia sia il tema dell'autenticità sia quello del potere di della storia orale sull'attualità. Nel complesso quest'opera seppur diretta agli studiosi del folklore e delle tradizioni popolari, si presta anche ad essere un testo divulgativo, l'unico limite per noi italiani resta la lingua inglese in cui sono stati redatti la maggior parte dei saggi, tuttavia è un opera che non dovrebbe mancare assolutamente nella biblioteca di quanti studiano o si interessano di cultura orale sia in ambito musicale che in quello antropologico.
Salvatore Esposito
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