Le giornate del bağlama a Istanbul – Religioni, Rivoluzioni e Colascioni
Il Conservatorio di Stato dedicato allo studio della musica turca e operante nell'ambito della Università tecnica di Istanbul organizza ogni anno in Aprile le “Giornate del bağlama" aggiunto nel 2012 un simposio internazionale sul bağlama intitolato al grande musicista Nida Tüfekçi.
Il congresso musicologico e il festival sono focalizzati su un preciso strumento dall'enorme valore simbolico su piani diversi: musicale, storico, religioso e politico. Le risonanze argentine del bağlama sono infatti quelle che accompagnano tradizionalmente la voce dei trovatori erranti dell'Asia Minore, gli aşık – letteralmente gli innamorati, ma di un amore non terreno, di una passione verso l'Amico. La maggioranza di questi poeti popolari appartiene alla comunità degli Alevi turchi, diversi sia dagli Sciiti (con cui hanno in comune il culto di Ali) che dagli Alawi della Siria. Descritto spesso come una “minoranza” o come una “comunità eretica”, l'Alevismo rivendica invece la sua fedeltà ai valori originari dell'Islam e a una linea discendente direttamente dalla famiglia di Maometto, troncata per lotte di potere a Kerbela, dove nel 680 le truppe di Yazid massacrarono Hüseyin, figlio di Ali e nipote del Profeta. Sposati in un sincretismo unico alle tradizioni delle comunità nomadi turkmene e influenzati dal pensiero greco-platonico e cristiano trovato in Anatolia, i principi dell'Alevismo sono quelli di una moralità semplice e diretta, del rifiuto delle religioni organizzate, e di una sorta di comunismo rurale autogestito, in cui gli alevi hanno vissuto per centinaia di anni prima che la migrazione verso le città trasformasse la socità turca.
Oggi quartieri alevi si trovano in tutte le megalopoli turche, e le loro società culturali operano in moltissime città europee, tedesche e olandesi soprattutto. Non riconoscendo imam e moschee sone sempre stati mal tollerati, malgrado la loro consistenza numerica sia notevole – si sta parlando di dieci o quindici milioni di persone. Il loro “culto” a carattere assembleare ha luogo in saloni chiamati cemevi, ed è caratterizzato dal semah, una danza circolare cui partecipano uomini e donne e che è stata considerata orgiastica, oggetto di volgari battute in televisione fino a non molto tempo fa.
Il governo turco, legato a doppio filo al clero sunnita, boicotta per quanto può l'esistenza di questa comunità, costruendo enormi moschee nei villaggi alevi dove magari manca o è fatiscente la scuola e inviandoci (a spese dello stato) imam che restano soli e abbandonati (l'aneddoto umoristico, una tradizione della letteratura turca e tipicamente alevita, abbonda di esilaranti esempi al riguardo). Nel corso delle campagne elettorali a tutt'oggi questi temi vengono sottilmente agitati per spaventare l'elettorato sunnita moderato, ma la ferita ancora aperta nella socità turca è quella dell'ultimo massacro in ordine di tempo perpetrato contro la comunità alevi: a Sivas nel 1993 una folla assetata di sangue e incitata dai locali capi sunniti attaccò e bruciò l'Hotel Madimak dove si teneva un congresso culturale alevi, sotto gli occhi impassibili di polizia ed esercito. 37 persone morirono bruciate, altre furono salvate a stento dal linciaggio, tra cui lo scrittore umoristico Aziz Nesin, che aveva tradotto e pubblicato alcuni estratti dei “Versetti Satanici” di Salman Rushdie.
Il processo mai concluso ai responsabili – uno, formalmente ricercato dall'Interpol ha in realtà vissuto tranquillamente a Sivas morendo nel 2011 - è andato in prescrizione poche settimane fa, tra vibranti proteste della comunità alevita e di tutti i democratici turchi; molti degli avvocati che difendevano gli integralisti siedono oggi in parlamento nei banchi del partito di maggioranza, o sono addirittura ministri.
Uno scorcio dell'enorme meeting di protesta contro la prescrizione del processo per la strage di Sivas, nel piazzale di Kadikoy, nella parte asiatica di Istanbul, dà la misura della situazione.
Il convegno di Sivas era dedicato a Pir Sultan Abdal: bardo anatolico del XV secolo, le sue canzoni fanno parte ancora del repertorio dei cantanti odierni, e il pubblico può ad ogni momento mettersi a cantare in coro i suoi versi – come se in Italia un pubblico potesse cantare un sonetto del Petrarca assaporandone il gusto della lingua; e nei concerti tenuti presso la ITU non sono mancate le sue ballate, “firmate” come tradizione, inserendo il proprio nome nel primo verso dell'ultima strofa:
Pir Sultan Abdal'ım can göğe ağmaz / Io sono Pir Sultan Abdal e la mia anima non fugge
Haktan emir olmazsa irahmet yağ / Senza l'ordine del Signore la grazia non scende dal cielo
Şu illerin taşı hiç bana değmez / Le pietre di questi stranieri non possono toccarmi
İlle dostun gülü yaralar beni / E' solo la rosa dell'Amico che mi ferisce.
Questa immagine da un sito alevi rappresenta Pir Sultan Abdal che brandisce il bağlama come un'arma, circondato da trentasette rose che rappresentano i martiri di Sivas. Tra essi Muhlis Akarsu, aşık egli stesso e componente insieme a Arif Sağ e Musa Eroğlu di Muhabbet, il “superguppo di aşık” che ha segnato negli anni Ottanta con una serie di registrazioni diffuse in cassetta l'inizio della riaffermazione della identità alevi nel contesto metropolitano ed europeo. Ed il bağlama rappresentato nella grafica è infatti molto probabilmente diverso da quello del 1500: si tratta di un modello a manico corto, popolarizzato durante il revival alevi ma che musicisti di formazione rurale e tradizionale non hanno accettato, preferendo la classica ed elegantissima forma del bağlama che in questa immagine si vede, di fronte e di profilo, durante il concerto di Erkut Ozkan alla ITU.
Per motivi di intonazione molti solisti di bağlama utilizzano infatti due strumenti. Lo strumento ha varie dimensioni, e molte variazioni nel numero di corde e nella accordatura: dalla versione più semplice a due corde, l'ikitelli, capace di sorprendente varietà espressiva nelle mani dei musicisti della provincia di Burdur, fino al monumentale onikitelli (dodici corde, numero che aggiunge al valore simbolico del bağlama il numero degli imam riconosciuti dagli alevi) oggi praticamente estinto. Nella versione più diffusa ha tre cori di corde, due doppie e una tripla; l'accordatura potrebbe essere definita “rientrante” (La Re Sol) con il coro centrale che fa da bordone e quello più alto che viene usato per la melodia con l'uso del pollice, non fosse che la terza corda del coro superiore è accordata una ottava più bassa delle altre due, complicando così la classificazione. Questa accordatura è chiamata “bozuk” e da questa parola turca (spezzato) deriva il nome greco dello strumento, bouzuki. In Grecia è diventato molto popolare, con il nome di baglamades, la versione più piccola, chiamata in Turchia “cura”.
In questa foto del quintetto di bağlama della università di Smirne, che si è esibito all'ITU in un brillante repertorio di arrangiamenti di melodie tradizionali della regione dell'Egeo, si vedono in ordine le tre principali taglie dello strumento: divan, bağlama, e cura. Esistono altre variazioni nella forma della cassa armonica, che cambia anche il timbro dello strumento, che pur avendo la stessa lunghezza è detto tambura. Inoltre la parola saz, che in turco significa strumento, è usata per indicare l'intera famiglia dei bağlama e la loro versione elettrificata (elektrosaz).
Molto interessante e ricco il convegno, che ha spaziato dall'uso del bağlama nella educazione musicale sia in Turchia che nelle comunità turche d'europa, alle tecniche di costruzione, alla storia e alla attualità dello strumento. Strumenti analoghi o antenati del bağlama si trovano infatti in molte altre tradizioni asiatiche ed orientali, dall'Azerbajan all'Iran, da cui viene Farhad Sifdar che si è esibito in concerto con la versione iraniana dello strumento, come si vede abbastanza diversa.
Di particolare interesse per noi l'intervento del musicologo turco-tedesco Nevzat Ciftçi che ha rintracciato importazioni e permanenze nella musica europea dopo il 1500 di strumenti della famiglia del bağlama; si tratta di influenze molto più tarde di quelle che hanno avuto luogo circa cinquecento anni prima e grazie anche alla civiltà dei Mori hanno introdotto l'ud (liuto) in Europa. Tra queste tarde permanenze si trova il colascione o calascione, popolare a Napoli dove si diceva fosse stato introdotto da prigionieri turchi sulle galere spagnole, e che si ritrova con lo stesso nome anche in Francia e Germania; un dizionario tedesco dell'epoca lo identifica correttamente come “kopuz” - forma primigenia del bağlama nella tradizione nomade turca – e in particolare con la forma detta “kolça kopuz” in cui furono per la prima volta verso il 1500 usate corde metalliche, e descritto con questo nome nel poema epico di Dede Korkut, base della cultura turkmena in Azerbaijan e in tutte le repubbliche turchiche. Dalla parola kolça o kolca (pronunciata colcia o colgia) deriva colascio, colascione, probabilmente per il lungo manico sproporzionato rispetto alla tradizione del liuto e della chitarra; a due o tre corde, scavato in un blocco unico di legno come molti cura e kopuz, il colascione aveva come tutti i bağlama una tastiera mobile, fatta di corde legate (oggi di nylon) che possono essere fatte scorrere sul manico; da qui il nome, che significa “legatura” in turco.
Il convegno è stato coordinato e ispirato dal direttore della sezione di musica turca del conservatorio, Erol Parlak, che è anche uno dei maggiori solisti dello strumento e che ha creato un proprio innovativo quintetto; accanto a lui, e oltre quelli già citati, bisogna consigliare l'ascolto di Ramazan Güngor, per l'uçtelli, versione a tre corde; di Neşet Ertaşù popolari oltre che di stupefacenti improvvisazioni vocali nello stile bozlak, a tempo sospeso; di Erdal Erzincan, dalle vaste collaborazioni internazionali su etichetta ECM, di Ümit Yilmaz, che ha una straordinaria capacità di alternare uno stile chitarristico/accordale al fraseggio a corde singole; di Okan Murat Ozturk sia in solo che con il suo trio Bengi, di cui fa parte Erdem Şimşek, stella nascente dello strumento specialmente nella tecnica şelpe, cioè senza plettro. Ma sarebbero dozzine i nomi da citare in una tradizione ricchissima che tutt'oggi riesce a sopravvivere alla omogeneizzazione forzata e alla dominanza dei modelli occidentali grazie anche alle profonde radici culturali e al significato identitario della musica e che nelle giornate dei bağlama alla ITU trova una benvenuta sponda nell'ambito accademico.
Il congresso musicologico e il festival sono focalizzati su un preciso strumento dall'enorme valore simbolico su piani diversi: musicale, storico, religioso e politico. Le risonanze argentine del bağlama sono infatti quelle che accompagnano tradizionalmente la voce dei trovatori erranti dell'Asia Minore, gli aşık – letteralmente gli innamorati, ma di un amore non terreno, di una passione verso l'Amico. La maggioranza di questi poeti popolari appartiene alla comunità degli Alevi turchi, diversi sia dagli Sciiti (con cui hanno in comune il culto di Ali) che dagli Alawi della Siria. Descritto spesso come una “minoranza” o come una “comunità eretica”, l'Alevismo rivendica invece la sua fedeltà ai valori originari dell'Islam e a una linea discendente direttamente dalla famiglia di Maometto, troncata per lotte di potere a Kerbela, dove nel 680 le truppe di Yazid massacrarono Hüseyin, figlio di Ali e nipote del Profeta. Sposati in un sincretismo unico alle tradizioni delle comunità nomadi turkmene e influenzati dal pensiero greco-platonico e cristiano trovato in Anatolia, i principi dell'Alevismo sono quelli di una moralità semplice e diretta, del rifiuto delle religioni organizzate, e di una sorta di comunismo rurale autogestito, in cui gli alevi hanno vissuto per centinaia di anni prima che la migrazione verso le città trasformasse la socità turca.
Oggi quartieri alevi si trovano in tutte le megalopoli turche, e le loro società culturali operano in moltissime città europee, tedesche e olandesi soprattutto. Non riconoscendo imam e moschee sone sempre stati mal tollerati, malgrado la loro consistenza numerica sia notevole – si sta parlando di dieci o quindici milioni di persone. Il loro “culto” a carattere assembleare ha luogo in saloni chiamati cemevi, ed è caratterizzato dal semah, una danza circolare cui partecipano uomini e donne e che è stata considerata orgiastica, oggetto di volgari battute in televisione fino a non molto tempo fa.
Il governo turco, legato a doppio filo al clero sunnita, boicotta per quanto può l'esistenza di questa comunità, costruendo enormi moschee nei villaggi alevi dove magari manca o è fatiscente la scuola e inviandoci (a spese dello stato) imam che restano soli e abbandonati (l'aneddoto umoristico, una tradizione della letteratura turca e tipicamente alevita, abbonda di esilaranti esempi al riguardo). Nel corso delle campagne elettorali a tutt'oggi questi temi vengono sottilmente agitati per spaventare l'elettorato sunnita moderato, ma la ferita ancora aperta nella socità turca è quella dell'ultimo massacro in ordine di tempo perpetrato contro la comunità alevi: a Sivas nel 1993 una folla assetata di sangue e incitata dai locali capi sunniti attaccò e bruciò l'Hotel Madimak dove si teneva un congresso culturale alevi, sotto gli occhi impassibili di polizia ed esercito. 37 persone morirono bruciate, altre furono salvate a stento dal linciaggio, tra cui lo scrittore umoristico Aziz Nesin, che aveva tradotto e pubblicato alcuni estratti dei “Versetti Satanici” di Salman Rushdie.
Sivas Miting Kadikoy 2012 |
Pir Sultan Abdal |
Haktan emir olmazsa irahmet yağ / Senza l'ordine del Signore la grazia non scende dal cielo
Şu illerin taşı hiç bana değmez / Le pietre di questi stranieri non possono toccarmi
İlle dostun gülü yaralar beni / E' solo la rosa dell'Amico che mi ferisce.
Questa immagine da un sito alevi rappresenta Pir Sultan Abdal che brandisce il bağlama come un'arma, circondato da trentasette rose che rappresentano i martiri di Sivas. Tra essi Muhlis Akarsu, aşık egli stesso e componente insieme a Arif Sağ e Musa Eroğlu di Muhabbet, il “superguppo di aşık” che ha segnato negli anni Ottanta con una serie di registrazioni diffuse in cassetta l'inizio della riaffermazione della identità alevi nel contesto metropolitano ed europeo. Ed il bağlama rappresentato nella grafica è infatti molto probabilmente diverso da quello del 1500: si tratta di un modello a manico corto, popolarizzato durante il revival alevi ma che musicisti di formazione rurale e tradizionale non hanno accettato, preferendo la classica ed elegantissima forma del bağlama che in questa immagine si vede, di fronte e di profilo, durante il concerto di Erkut Ozkan alla ITU.
Erkut Ozkan, ITU 2012 |
Izmir Quintet, ITU Baglama Gunleri |
Farhad Sifdar, ITU 2012 |
Francesco Martinelli
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