Da diciannove anni per la vasta comunità folk italiana, e non solo, il borgo di Maranola, ubicato sulle colline di Formia, diventa il centro d’irradiazione delle musiche di tradizione orale, portate dai “custodi di voci e strumenti antichi” o interpretate con estetiche composite, talvolta molto distanti, da generazioni urbanizzate di revivalisti. È soprattutto musica per bordone che si ascolta alla manifestazione iniziata quasi quattro lustri fa anni in un frantoio appena restaurato, a voler raccoglier l’eredità del raduno zampognaro di Acquafondata. Negli anni “la Zampogna” ha raggiunto la maggiore età, divenendo un centro di confluenza e aggregazione di musicisti, liutai e operatori culturali, richiamando una moltitudine di accademici, giornalisti, cultori delle tradizioni orali, semplici appassionati e turisti.
Qualche anno fa il festival ha raggiunto vertici assoluti per offerta musicale, potendosi appoggiare alle strutture della vicina località rivierasca di Formia. Poi il voltafaccia degli amministratori locali e la crisi economica che per molte istituzioni ha significato una occasione ghiotta per operare tagli agli eventi culturali non clientelari, non di massa o dallo scarso appeal televisivo, ha portato a un ridimensionamento e a una diversa sistematizzazione della manifestazione, che oggi prosegue in virtù dei contributi di Regione Lazio, Rete del Folklore nel Lazio, all’Archivio Aurunco, ma soprattutto grazie alla strenua volontà di Erasmo Treglia e Ambrogio Sparagna, conservando, in ogni modo, un alto profilo qualitativo e di consenso di pubblico.
È per merito di questa manifestazione ed altre analoghe iniziative – pensiamo anzitutto al festival molisano di Scapoli, e al lavoro seminale del Circolo della Zampogna – che oggi parlare della zampogna non significa fare archeologia musicale o ricordare i tempi che furono: un gran numero di giovani e meno giovani suona zampogne. Da Nord a sud della Penisola si costruiscono ancora zampogne di foggia e stile diversi – alla faccia di chi blatera di zampogne omologate - con preziosa sapienza antica o con metodi che utilizzano le conoscenze del XXI secolo. Il festival di Maranola ha luogo la domenica di metà Gennaio, preceduta da un sabato musicale in altre località del territorio della provincia di Latina. Così è stato anche quest’anno con gli appuntamenti di Itri, dove si è svolto un seminario sulle registrazioni effettuate in loco dal Circolo Gianni Bosio nel 1972 e il concerto a tema: Suoni sulle strade dei Briganti. Poi nella serata, a Campodimele, un concerto di organetti di Maranola guidati da Ambrogio Sparagna.
La “tradizione inventata” dell’ascesa processionale mattutina all’edicola della Madonna degli Zampognari segna per tutti i convenuti l’inizio rituale della manifestazione nel segno della devozione religiosa e del ricordo di chi non c’è più. Si prosegue con l’offerta di dolciumi e bevande da parte delle famiglie che abitano intorno alla Piazzetta S. Antonio Abate. Cresce di anno in ano il numero dei suonatori di tradizione e revivalisti che s’inerpicano lungo le viuzze del pittoresco borgo per raggiungere l’edicola votiva. Poi, una breve esibizione di canti votivi rafforza il momento di raccoglimento. Quest’anno i canti dedicati alla Vergine hanno come protagoniste le Donne di Giulianello, paese alle porte di Roma, detentrici di un repertorio della Passione che Giovanna Marini ha definito: “Uno dei pezzi di musica contadina più belli, preziosi e rari”. Sono voci in comunione che scuotono l’ascoltatore per spessore, per la singolarità delle micro-modulazioni, voci commuovono per la loro drammaticità. La giornata prosegue tra esibizioni estemporanee tra gli stand dei fidelizzati liutai convenuti e seminari informali ospitati nel Centro Studi di Torre Cajetani.
Sono occasioni che ci fanno conoscere storie laterali, ma non meno espressive, soprattutto ricche di umanità e di insegnamenti. Come quelle presentate da uno dei maggiori documentaristi italiani, Pietro Cannizzaro nel suo Cilento. Storie di chitarre e zampogne, che dà la parola ai fratelli Campitiello, costruttori di chitarre battenti a Stio, e alla famiglia Cortazzo di Cannalonga, da generazioni suonatori di zampogna e ciaramella. Un altro documentario, intitolato La Valle delle Zampogne, prodotto dall’associazione Calamus, ci conduce tra i suonatori di aerofoni della val di Comino in Ciociaria. Nel frattempo, nella piazza dei suoni il caleidoscopico e cacofonico incrociarsi di note prosegue incessantemente. Artisti noti e meno noti “prendono la piazza” con organetti, percussioni, plettri, e naturalmente zampogne e ciaramelle. Ci si muove tra stand di costruttori e venditori di strumenti musicali, assaggi di prodotti eno-gastronomici locali (vino, miele, formaggi, salumi, tra cui una salciccia al coriandolo) e banchetti con CD. Ci si dà alla lettura del foglio “La Gazzetta dello Zampognaro”, sorta di programma del festival, al suo battesimo in occasione di questa XIX edizione. Con Ambrogio Sparagna discutiamo di questo nuovo appuntamento festivaliero, il compositore e musicista maranolese, nel complesso soddisfatto dell’andamento della manifestazione, nota che “l’aspetto transgenerazionale”, che si avverte forte a Maranola, è il punto di forza della “bella utopia” incarnata da “La Zampogna”.
Difatti, a Maranola – per una questione anche di collocazione temporale e logistica, aggiungiamo noi – non c’è l’assalto prevaricante di ballerini di pizzica o dell’ultima moda folk, né il festival diviene luogo di sballo per fasce giovanili che si appropriano di alcuni aspetti della cultura popolare contadina travisandola, per favorire le proprie istanze liberatorie(?). “Quello di Maranola è un universo umano vario”, dice ancora Sparagna, di passioni condivise. Proprio la presenza di generazioni diverse di suonatori, liutai ed appassionati convalida l’idea di un movimento folk solido e attivo. Gustata la mostra di aulos, flauti ed ance della tradizione esposti al Centro Studi De Santis, curata dal musicista rietino Raffaello Simeoni, ci si rivolge al pomeriggio concertistico nella chiesa di S Luca. Sull’altare protagoniste ancora le nove Donne di Giulianello. C’è commozione quando il premio annuale “La Zampogna” è assegnato alla memoria del ricercatore Raffaele Marchetti, scomparso lo scorso anno, e consegnato a suo figlio.
La musica prosegue con il trio Suoni del Carretto (zampogna a chiave, surdulina, tamburello, bottiglia)proposta del lucano Paolo Napoli, che dovrebbe mettere meglio a fuoco lo stare su un palco. Di forte impatto il progetto di respiro europeo denominato Folk Music in MusEUms, che raccoglie giovani musicisti di Estonia, Norvegia, Grecia e Italia (rappresentata da Raffale Pinelli e Aldo Iezza). Qui il focus è sugli strumenti a bordone (zampogna, torupil, hardangerfele, tsambouna), ma anche laouto, flauto, organetto, scacciapensieri, percussioni. Si tratta di artisti impegnati in lavoro di ricerca sugli strumenti tradizionali che presentano il loro lavoro suonando in luoghi speciali come i musei. Menzione particolare per il duo Ettore Castagna (zampogna) e Giuseppe Ranieri (ciaramella), parte dell’ensemble Ferrovie Calabro-Lucane che poco prima aveva suonato al Centro Studi presentando il loro suono “usu anticu”. Il quartetto scava tra le pieghe della memoria e del mondo sonoro contadino, senza nostalgie apologetiche, giocando sulla metaforica malia dell’itinerario lungo le ferrovie regionali minori a scartamento ridotto.
L’esibizione del duo è degna di nota non solo per la bravura dei singoli, ma perché mette insieme un musicista, accademico ed intellettuale calabrese che ha appreso a suonare direttamente dai maestri della tradizione e il discendente di una rinomata schiatta di suonatori del mondo agro-pastorale calabrese. I fiati (clarinetto e ciaramella) di Paolo Rocca e l’organetto di Fiore Benigni ci hanno portati a spasso tra temi per lo più tradizionali, sviluppati in maniera personale con abbellimenti ed episodi improvvisativi, innervati di moduli classici, jazz e spruzzatine klezmer. Il risultato è una miscela fluida e viva che mette insieme valzer, saltarello, un tradizionale palestinese, un brano rom rumeno e una versione in salsa folk dello standard “My favourite things”. Concludono le esibizioni in chiesa i giovanissimi suonatori della scuola di organetti di Maranola, a rimarcare il filo della continuità e del passaggio generazionale della tradizione, con Sparagna che, da maestro di cerimonia, sancisce la fine delle esibizioni principali. In realtà, il festival si chiude per davvero (almeno nella sua parte ufficiale) dopo aver offerto il piccolo concerto del Vespro, imperniato sul suono delle zampogne tradizionali nella Piazzetta S. Antonio Abate. Ci si vede a Maranola l’anno prossimo per l’edizione numero venti! Con la speranza che il budget possa consentire una maggiore serenità organizzativa, a tal punto da poter aumentare la presenza di liutai e di artisti, senza snaturare la singolarità del festival che annualmente anima i suggestivi borghi del basso Lazio.
Foto e filmato di Ciro De Rosa
Ciro De Rosa
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