Orchestra Popolare La Notte della Taranta – Orchestra Popolare La Notte della Taranta (Fondazione La Notte della Taranta, 2018)

Rendere l’Orchestra Popolare una realtà stabile ed attiva tutto l’anno è stata una delle sfide che la Fondazione La Notte della Taranta è stata chiamata ad affrontare sin dalla sua nascita e, non a caso, è stato sempre uno degli elementi al centro delle critiche che per diversi anni hanno accompagnato il Concertone che conclude il Festival nell’ex piazzale del Convento degli Agostiniani di Melpignano (Le). A portare la nave in porto è stato Daniele Durante il quale, nelle vesti di direttore artistico, è riuscito nell’impresa di rendere stabile l’organico dell’Orchestra dando vita ad una vera e propria svolta. Se in passato, infatti, l’esperienza dell’ensemble si limitava al Concertone e a qualche sporadico concerto promozionale, attualmente è una formazione attiva dodici mesi ed impegnata in tour costantemente. Insomma, una sfida che può dirsi vinta anche alla luce del rinnovato vigore che percorre la line-up ora, senza dubbio, più motivata e certamente più concentrata sul repertorio. Non è un caso che l’opera di Durante abbia rappresentato una solida base su cui si è innestato il lavoro di Carmen Consoli, Raphael Gualazzi e Andrea Mirò, maestri concertatori delle ultime tre edizioni del Concertone, ai quali è toccata giusto qualche rifinitura personale impreziosita dalla presenza dei tanti ospiti nazionali ed internazionali. A cristallizzare il lavoro compiuto nell’ultimo triennio è il disco, edito dalla Fondazione ed uscito in anteprima questa estate, che per la prima volta ci presenta l’Orchestra Popolare in studio alle prese con una selezione di venti brani del suo repertorio. Proprio quest’ultima è la vera novità di questo album. Laddove in passato eravamo stati abituati a diversi dischi documentavano dal vivo il lavoro dei vari maestri concertatori (da quello ormai introvabile di Piero Milesi all’indimenticabile edizione 2003 condotta da Stewart Copeland, passando per i due dischi pubblicati con Ambrogio Sparagna e quello firmato da Ludovico Einaudi fino a toccare i ben tre album che documentano la conduzione di Phil Manzanera del 2015), in questo caso al centro della scena c’è l’Orchestra Popolare, i suoi strumentisti (Roberto Chiga, tamburello; Gianluca Longo, mandola e mandolino; Antonio Marra, batteria; Valerio Bruno, basso; Stefano Rielli, contrabbasso; Attilio Turrisi, chitarra battente e chitarra classica; Alessandro Monteduro, percussioni; Roberto Gemma, fisarmonica; Giuseppe Astore, violino; Nico Berardi, fiati; Daniele Durante, chitarra elettrica) e le sue voci (Antonio Amato, Alessandra Caiulo, Antonio Castrignanò, Ninfa Giannuzzi, Stefania Morciano, Enza Pagliara, Giancarlo Paglialunga e Alessia Tondo). Tra le diverse note positive di questo album ovviamente non manca qualche ombra a partire dalla qualità della registrazione (ascoltato in cuffia, il suono sembra sgranarsi), per toccare alcuni arrangiamenti  non sempre riusciti, ma nel complesso ci sembra un’ottima operazione non solo di carattere commerciale. La sensazione è che questo album sia, tanto un ottimo biglietto da visita per presentare i concerti, quanto anche un perfetto souvenir per chi vuole portarsi a casa e nello stereo un po’ di Notte della Taranta. In questo senso, non mancano i classici ormai noti al grande pubblico come “Fimmene fimmene”, “Lu ruciu de lu mare”, “Aria Caddhipulina”, “L’acqua te la funtana” e “Calinitta!” e una potente dose di pizziche (“Tamburu Lu Tamburrieddhu”, “Pizzica di Muro”, “Pizzica di Copertino”, “Pizzica di Copertino” e “Pizzica di San Vito”), ma tra i brani migliori ci piace segnalare il canto griko “Ela,ela-mu condà” cantato da Ninfa Giannuzzi e lo strumentale inedito “Fueco” ispirato alla Focàra di Novoli. Insomma, questo album rappresenta certamente un vero e proprio re-start per l’Orchestra nella speranza che si possa completare l’opera, dando vita ad un vero e proprio laboratorio sulla musica tradizionale salentina che possa integrare non solo il lavoro di arrangiamento dei brani, ma anche quello dello studio e della ricerca sulle fonti. Utopia? Forse no. Diversamente il rischio è che il lavoro fatto da Daniele Durante si perda per strada e sarebbe un vero peccato. 


Salvatore Esposito

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