SesèMamà – SesèMamà (Soundfly/Self, 2018)

Non si deve trascurare questo disco del quartetto al femminile SeséMamà; se poi avrete la possibilità di vederle in una performance dal vivo, tanto meglio per voi. I giornalisti che di recente hanno votato per le Targhe Tenco non se ne sono accorti ma avrebbero potuto esprimere una preferenza per qualcosa di intelligente, gustoso, cantato e suonato assai bene. Tant’è! Quattro differenti e consolidati vissuti artistici e musicali sono messi a convivere, reagire e fermentare per dare vita a un blend di gran prestigio sonoro e canoro. Dal 2016 le SesèMamà hanno deciso di misurarsi con un repertorio composito che con disinvoltura passa dal chorinho brasiliano agli stilemi jazz, dalla melopea napoletana alla scrittura originale con sprazzi gospel e world, facendo della curiosità, del coinvolgimento dell’ascoltatore, della raffinata leggerezza (che non va confusa con la superficialità delle scelte “paracule” che girano intorno nella musica emergente o di quella creata apposta per i Premi) e dell’humour i loro principi d’azione. Dunque, quattro spiriti liberi e dirompenti di marca partenopea: le cantanti Brunella Selo, Annalisa Madonna e Fabiana Martone e la pianista Elisabetta Serio, co-prodotte da Pietro de Asmundis, si cimentano con canzoni ad ampio raggio, che pescano nel tempo passato e nel presente, ‘with a little help’ degli amici Antonello Paliotti (composizione, chitarra battente e chitarra classica in “O trafego”) e Maria Pia De Vito (che si unisce al gruppo in “Afrika”), gli strumenti di Robertinho Bastos (percussioni in “Loro” e “O rafego”), Arcangelo Michele Caso (violoncello in “Jesce”), Dario Franco (contrabbasso in “O trafego”) e Michele Signore (lira pontiaca e mandoloncello in “Mishaela”). Di tanto in tanto si privilegia lo sguardo verso altre culture musicali, ma c’è anche molta Napoli compositiva nel disco: quella più intelligente, internazionale e magari meno al centro dei clamori mediatici (Antonello Paliotti e Ernesto Nobili, per citare due dei maggiori compositori all’ombra del Vesuvio). Spiccano le belle voci armonizzate in un incastro di temi melodici e cellule ritmiche che si intrecciano con il pianoforte. La scaletta è aperta dal plurilinguismo creativo e follemente giocoso di “Les entrailles”, che ci porta direttamente ai tempi del “magnanimo” Regno di Napoli, quando alla plebe venivano dati gli scarti alimentari di derivazione animale all'esterno delle corti al grido di “Les entreilles” (“Le interiora!); numerose popolane accorrevano, pronte a recuperare l'offerta e a produrre piatti semplici a base di un alimento troppo caro per i poveri di quel tempo. Bella la cover dell’inno alla vita “Senza paura”, che nasce come rielaborazione in italiano per mano di Sergio Bardotti di un brano di Toquinho e Vinicius. Idiomi plurimi anche nel battito primigenio esaltato in “Afrika”, firmata dalla pianista Serio su testo della catanese Giulia La Rosa, dove si intersecano francese, inglese e wolof: qui si produce in un assolo la signora della voce Maria Pia De Vito. Giungiamo così a “O trafego”, prodotto di umore carioca di Paliotti, già inciso nel primo disco solista di Brunella Selo (“Iso”), ora esposto in una nuova veste sonora. Le procedure polifoniche prendono la guida in “Siente siè", una canzone napoletana intrisa di intimismo, scritta dal pianista Luigi Esposito e dalla cantante Fabiana Martone. Invece, “Lôro”, nata come strumentale di quel massimo artista che è il brasiliano Egberto Gismonti, acquista una nuova fisionomia con un testo in italiano, scritto da Fabiana Martone e dedicato al ricordo d’infanzia di un pappagallo di nome “Rico” che allietava le sue giornate in campagna d’estate. “Jesce”, altro canto in napoletano ma di gusto irlandese, è firmato da Ernesto Nobili e dalla cantante Annalisa Madonna: è un invito ad un giovane ed immaginario interlocutore a scoprire e a raccontare le bellezze del mondo. Poi ritorna il Brasile, questa volta è il Cico Buarque di “Roda viva”, denuncia sociale fatta nei tempi politici più drammatici per il Brasile. “Mishaela”, una composizione di Noa e Gil Dor, è la descrizione della bellezza e l’umanità della donna che porta questo nome: le corde di Michele Signore ne conferiscono le atmosfere mediorientali. Degna conclusione con “l’Epitaffio di Sicilo”, considerato il componimento musicale completo più antico mai ritrovato. Nella rielaborazione di Fabiana Martone c’è una nuova parte vocale che si aggiunge a quanto derivato dall’antica stele: è il degno tributo alla vita, che recita: «Finché vivi splendi/ Nulla ti turbi troppo/ Il tempo richiede il suo tributo». 


Ciro De Rosa

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