Mario Mureddu, Sos Battor Moros e i canti popolari nel rispetto della comunità

Riservato di carattere, Mario Mureddu  è un ingegnere appassionato di polivocalità sarda profana che ha contributo a diffondere nel mondo e che ritiene debba essere considerata esclusivo patrimonio delle singole comunità. Ha sempre rifiutato le ibridazioni musicali. Sin dalla costituzione, è “vohe” (voce) del “cuncordu” di Fonni (NU) denominato (sos) “Battor Moros”, uno dei più stimati in Sardegna, attivo dalla fine degli anni Settanta.  I “Battor Moros” hanno svolto localmente ricerca e sono promotori di un’importante Rassegna di canto “a tenore”, giunta ormai alla diciottesima edizione. Il loro percorso di crescita musicale si è sviluppato stando a contatto con i cantori del proprio paese, con i quali hanno condiviso la socialità, la ritualità e il rispetto verso le tradizioni canore, consolidatesi nel corso del tempo mediante i meccanismi tipici della tradizione orale.

Una gioventù passata tra balli, canti e tradizioni
Mario Mureddu è nato a Fonni.  La sua famiglia, sin dalla metà dell’Ottocento, ha ereditato un’esclusiva che riguarda l’accompagnamento dei Cavalieri nelle processioni della  Madonna dei Martiri, del Corpus Domini e di San Giovanni. Tali feste erano principalmente legate al rientro dei pastori dalla transumanza (intorno al 20 maggio). Altra importante festa fonnese è San Cristoforo, durante la quale, a luglio, viene organizzata la citata Rassegna di canto “a tenore”, invitando sei-sette gruppi tra i più accreditati dell’Isola. Il primo embrione del “cuncordu” si formò occasionalmente durante una mostra etnografica, ideata da una locale Associazione culturale e allestita in un’antica casa del centro storico. Gli oggetti della mostra dovevano essere sorvegliati giorno e notte. Da volontari, Mario e i suoi amici curavano la custodia e, per l’occasione, passarono le serate in allegra compagnia, provando polivocalmente a imitare le voci dei cantori più anziani. Era il 1976, da allora quel seme musicale iniziò a germogliare. 
Rispetto ai canti del “cuncordu”, Mureddu ricorda: «In alcuni bar del paese, la domenica si poteva cantare da dopo pranzo fino a tarda sera. C’era chi ascoltava, chi cantava, chi giocava a carte. Noi ragazzini andavamo per imparare, ascoltando soprattutto (ma non solo) i cantori dei due gruppi più affermati di allora che facevano capo a Pietrino Puddu e a Cristoforo Bottaru (gruppi di “Pro loco” ed “Enal”). C’era un’identità nella comunità, con i “tifosi” di uno o dell’altro gruppo, ma tra loro i rapporti erano ottimi».  I giovani cantori (futuri “Battor Moros”) spesso passavano le serate al bar. Quando chiudevano i bar, non potendo stare per strada, si rifugiavano a fare le prove in una casetta dove il babbo di Mario possedeva un deposito di attrezzi con caminetto. Inizialmente non diedero un nome al gruppo. I cantori erano  Mario Mureddu, “vohe”, Salvatore Mulas, “hontra”, Giuseppe Duras (“Corceddu”), “mesuvohe”,  Tore Falconi, “bassu”. Presto, però, a Duras  subentrò Giuseppe Bua. Con questa formazione salirono per la prima volta sul palco per la festa dei “Martiri”.  L’entusiasmo era tanto. I giovani cantori iniziarono a provare con metodo, appena possibile andando ad ascoltare gli anziani, cercando di riannodare i fili della tradizione, informandosi su come era concepito il canto polivocale negli anni Cinquanta, quando ancora veniva praticato in modo non organizzato. La ricerca e la pratica aiutarono questi giovani a trovare una loro identità vocale e ad acquisire un modus di cantare nel rispetto dei canoni tradizionali, ma sempre con il primario obiettivo di divertirsi tra amici.

Le registrazioni degli anni Cinquanta e quelle dei “Battor Moros”
I “Battor Moros” sono stati registrati in diverse occasioni, tra le quali evidenziamo quelle del 1981, a Milano; del 1987, a Sassari; del 1999, a Fonni. Quest’ultimo evento si è concretato grazie ad Andrea Deplano e Franco Madau, i quali avevano l’esigenza di completare il cd accluso alla pubblicazione del libro “Ballos”.  «Il nostro ballo è particolare - continua Mureddu - anche nella coreografia. Il ballo è quello che abbiamo appreso dagli anziani, che ha delle particolarità che siamo tenuti a rispettare. Da alcuni decenni c’è la tendenza da parte di numerosi gruppi sardi a renderlo spettacolare e talvolta acrobatico, ma i balli sardi vanno eseguiti e presentati nella loro originale semplicità. E che dire dei canti religiosi? Per eseguire i canti come i “coggios”, ci vuole il giusto contesto, non si possono cantare, ad esempio, durante una sfilata della festa del Redentore». Ripensando agli anni giovanili, Mureddu conserva il cruccio di aver potuto ascoltare solo di recente i documenti registrati, nel febbraio del 1955, da Diego Carpitella e  Franco Cagnetta, compresi nella “Raccolta 26” (162 brani), conservata presso gli “Archivi dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia”,  a Roma.  
Si tratta di una Raccolta oggetto di studi integrati iniziati da Walter Brunetto, nella quale sono presenti anche canti di Mamoiada, Fonni, Orgosolo, Orune e Nuoro.  I “Battor Moros” hanno ascoltato tali registrazioni grazie ad Andrea Deplano (Dorgali), Sebastiano Mariani (Orune) e Gesuino Gregu (Mamoiada), i quali sono riusciti a chiarire diversi errori od omissioni relativi alla catalogazione della “Raccolta 26” e alle attribuzioni esecutive dei canti.  Ha riferito Mureddu: «Da quello che siamo riusciti a sapere tramite testimonianze dirette di compaesani (…), abbiamo capito che Carpitella e Cagnetta passarono per Fonni registrando chi riuscirono a trovare in quei giorni. Verosimilmente vennero aiutati a raggruppare  cantori, poeti e suonatori dai responsabili locali del Partito Comunista di allora. Di certo non erano formazioni polivocali organizzate, ma estemporanee (…). Certo, se avessimo avuto la possibilità di ascoltare da giovani quelle registrazioni, per noi sarebbe stato diverso. In quelle registrazioni ho scoperto passaggi difficili anche nel canto religioso e, probabilmente, anche per questo motivo nel tempo furono trascurati. Inoltre, sul canto religioso vi sarebbe da svolgere una seria ricerca, in relazione ai diversi canti confraternali maschili (che io purtroppo non ho conosciuto), la cui esecuzione venne affidata alle voci femminili, secondo la modalità del canto corale. Qualche anno fa, come “Battor Moros” abbiamo collaborato con una Associazione culturale del Paese, per la realizzazione di un disco dedicato al repertorio religioso di Fonni, intitolato “Coggios”». I temi toccati nel capitolo seguente sono numerosi. Sebbene frutto di un prolungato dialogo, per comodità di lettura, di seguito, abbiamo preferito sintetizzarli in modo organico, facendo  esprimere a microfono aperto Mario Mureddu. Il suo pensiero sui canti tradizionali riteniamo sia da tenere in viva considerazione, pur in un contesto musicale contemporaneo sempre più “glocale”. 

Sos Battor Moros e i canti della comunità
Come in precedenza ricordato, quando eravamo ragazzini, gli unici gruppi strutturati di Fonni erano quelli di Pietrinu Puddu e di Cristoforo Bottaru. Tra loro vi era un po’ di concorrenza, ma spesso cantavano insieme, andavano d’accordo, c’erano fratelli che cantavano nell’uno o nell’altro gruppo. I “Battor Moros” iniziarono a essere attivi alla fine degli anni Settanta. Dopo la prima uscita pubblica, nel 1978,  abbiamo dovuto sostituire il basso. Ricordo che, per il 13 agosto, dovevamo cantare per la festa di Sant’Antonio.  Con Franco Mureddu (detto “Balia”), il nuovo cantore (“su bassu”), riuscimmo a provare solo dieci giorni, poi ci siamo ritrovati sul palco davanti a una giuria. Ricordo che tiu Pietrinu Puddu in quell’occasione disse: “Questi sono i nostri eredi”. Tra il 1980 e il 1987,  eravamo sempre in giro per concerti.  Vorrei ricordare un evento particolare di quel periodo.  Avevamo ricevuto un invito per cantare a Budoni, a ferragosto. Dopo poco tempo, ci chiesero di cantare nella stessa data anche a Santa Maria Navarrese, insieme agli “Intillimani”. Per noi, la parola data è sacra. Avevamo preso l’impegno con Budoni e qui siamo andati a cantare. La serata, però, venne trasformata in una specie di festa di partito, con tanto di comizio. Ci fu una discussione accesa con gli organizzatori, perché non volevamo più cantare, poi abbiamo trovato un accordo e siamo saliti sul palco, riscuotendo gran successo. Per andare in giro non avevamo neppure la macchina, ci accompagnava per la serate nei diversi paesi un nostro sostenitore. In quegli anni, siamo stati ripetutamente invitati a Radio Supramonte che diffondeva solo musica sarda. Da quella Radio vennero spesso trasmesse nostre esecuzioni. Tramite Gianfranco Pintore (giornalista e scrittore) registrammo anche per la RAI. Insomma, le richieste aumentarono e per noi diventò necessario trovare un nome al gruppo. Ci furono varie proposte, mio cugino propose quello di “Battor Moros”.  
Piacque un po’ a tutti e da allora lo abbiamo tenuto. Era il 1979. In quegli anni rappresentavamo una novità, eravamo un gruppo giovanile emergente.  Grazie alla nostra “ignoranza” (nessuno di noi ha studiato musica), siamo progressivamente riusciti a migliorare la preparazione tecnica. Naturalmente, presto ricevemmo anche la proposta di incidere un disco, precisamente nel 1981, a Milano, su richiesta di un produttore con origini sarde. Fu un’esperienza interessante, che finora non ha avuto seguito.  Eravamo giunti in città e una volta sistemati in albergo, un nostro amico ci propose di fare un salto a Parma, per visitare i suoi fratelli. Quella sera si fece festa alla sarda con cibo, vino e canti. Alle cinque del mattino, dovevamo tornare a Milano per la registrazione. Al nostro arrivo trovammo il produttore che ci attendeva, impaziente e (forse un po’) preoccupato, sull’uscio dell’albergo. Giusto il tempo di una doccia e via di corsa in sala d’incisione per alcune ore. Quel lavoro non è stato pubblicato, ma meriterebbe, perché in quel periodo eravamo particolarmente in forma. Negli anni, ci hanno spesso offerto di fare altre registrazioni con “contaminazioni” unendo, ad esempio, il “cuncordu” alla chitarra o ad altri strumenti. Abbiamo sempre rifiutato, perché siamo contrari a snaturare i canti del nostro paese che non sono canti nostri, ma della comunità. Questa è la linea che abbiamo mantenuto con rigore anche quando ci hanno chiesto di fare “miscugli” tra i vari repertori polivocali sardi. Nel 1981, sono dovuto partire per il servizio di leva, così temporaneamente prese il mio posto Franco Mureddu, figlio del noto cantore di Fonni soprannominato “Sonaggia”. Quando sono ritornato, abbiamo deciso che lui sarebbe rimasto a cantare con noi. Da poco, purtroppo, ha smesso di cantare. Nelle pubbliche esecuzioni, prevalentemente, lui eseguiva “sa vohe ’e notte”, io i balli. Siamo sempre andati d’accordo, perché alla base del nostro operare come gruppo vi è sempre stata l’amicizia, il canto per noi è sempre stato un (serio) divertimento. 

Canti come bene culturale della comunità
Alla base dei nostri ragionamenti come gruppo vi è una regola di base.  Riconosciamo che i canti che noi eseguiamo non sono e non possono essere di nostra proprietà. Ripeto, sono canti della comunità, che neppure sappiamo bene quale percorso abbiano seguito prima di giungere fino a noi.  Dobbiamo avere rispetto per questi canti. Non sono patrimonio di un singolo, non sono proprietà del gruppo, ma sono un bene culturale della comunità. Se abbiamo l’opportunità di cantare facendo sentire la cultura polivocale della nostra comunità noi partecipiamo, altrimenti per esperimenti musicali non ci siamo mai resi disponibili. In questi decenni di attività, hanno provato a convincerci in tutti i modi,  ma alla base delle nostre scelte vi è un problema di identità, sulla quale non possiamo scendere a compromessi, come molti altri cantori in Sardegna hanno fatto. Io sono disponibile a cantare fuori dal mio paese, ma avendo la consapevolezza di  rappresentare Fonni e la sua cultura. Il canto a tenore, che a Fonni chiamiamo “cuncordu”,  è un modo pulito per divertirsi e per rappresentare l’identità di una comunità. Può sembrare strano, ma il divertimento deve essere finalizzato al godimento proprio, al desiderio di stare insieme tra amici, non per fare spettacolo. “Io canto per me e se avanza ne prendano anche gli altri”, dico sempre scherzando (ma non troppo).  Ho sempre vissuto come una violenza cantare sul palco, nel frastuono generale, con flash fotografici e i nuovi strumenti offerti dalla tecnologia che ti riprendono in ogni momento (…), con i microfoni da regolare, la distanza tra i cantori e la paura di sbagliare magari a causa di un ritorno audio non perfetto. Bisogna tenere presente che il “cuncordu” è sempre improvvisato, non si canta avendo a riferimento uno spartito scritto, non si canta mai allo stesso modo anche se il modello di canto da seguire è sempre lo stesso.  In ogni esecuzione non sai mai bene che cosa succederà, basta un colpo di tosse, una voce che non “attona”, un qualunque piccolo dettaglio … che subito si modifica l’interpretazione. 
Nel “cuncordu” bisogna cantare con spontaneità e in libertà, rispettando i canoni generali del canto tipico di Fonni. Cantare deve essere un modo per divertirsi. Così abbiamo appreso i canti e tale modo di cantare, a mio avviso, dovrebbe essere preso a riferimento.  Il gruppo poi diventa affiatato, se canta in amicizia. Cantare è affiatamento, è uno sguardo, un cenno, è complicità, piccoli dettagli che sono alla base di tutto. Noi abbiamo appreso questa mentalità dagli anziani, oralmente, così ragionavano i cantori nel gruppo di tiu Cristolu Bottaru e di tiu Petrinu Puddu. Cantavano principalmente per divertirsi, se c’erano altri ad ascoltare, buon per loro. Questa filosofia ha caratterizzato l’operare dei “Battor Moros”. Viviamo in un epoca in cui molti s’illudono di poter raggiungere il successo (anche finanziario) cantando, e per raggiungere questo obiettivo cercano tante strade. Una certa influenza ha avuto l’uso della moderna tecnologia applicata alla comunicazione, con siti accattivanti, immagini spettacolari, video dimostrativi. Tutti oggi sgomitano per apparire. Se ci chiamano alle nostre condizioni e intendono rispettare e valorizzare i nostri canti, bene, altrimenti abbiamo tanto altro da fare. Noi restiamo della nostra idea e per questo abbiamo contribuito alla costituzione di una associazione per la tutela e la valorizzazione del canto “a tenore” denominata “Boches  a Tenore”, comprendente gruppi selezionati e rappresentativi, con i quali condividiamo una serie di iniziative volte alla valorizzazione e alla divulgazione del canto “a tenore”, con l’inserimento dello stesso  nei  contesti  festivi  e  di  aggregazione  culturale dei  paesi  dell’areale storico del “Tenore”. Nel 1987, abbiamo registrato una musicassetta, con un produttore di Sassari. Numerose esecuzioni sono ormai ascoltabili anche in rete. Per i Battor Moros, purtroppo, non è semplice riunirsi, perché un cantore (Salvatore Mulas) vive a Reggio Emilia (oggi viene sostituito da Giuseppe Falconi, “hontra”), un altro a Tresnuraghes (Giuseppe Bua, “mesuvohe”). Da quando sono andati a vivere fuori dal paese per lavoro, non è stata più la stessa cosa. Dopo la partenza di Bua e Mulas, nel gruppo si sono avvicendati, in tempi diversi, Giovanni Cualbu (“hontra”), Peppino Puddu (“bassu”),  Michele Angheleddu (“mesuvohe”), Salvatore Soddu (“hontra”), amici che comunque ancora oggi collaborano nelle attività dell’Associazione culturale “Sos Battor Moros”. Tra lavoro e famiglia, il tempo che rimane è poco, ma sarebbe un peccato lasciar perdere un’esperienza importante che abbiamo portato avanti per diversi decenni, e per la quale siamo sempre stati stimati come gruppo.  Certo, le  lancette indietro di trentacinque anni non possono tornare, ma il nostro percorso canoro continua. 

Tutto deve diventare uno
Il tempo è tiranno, molto di quanto emerso durante il prolungato dialogo è stato sintetizzato o estromesso per restare nei limiti del contributo. Mureddu ci ha mostrato una nutrita raccolta di immagini relative alla storia dei “Battor Moros”, ed è sua intenzione raggruppare i numerosi materiali in una pubblicazione organica. Ha concluso ricordando che per cantare bene “a tenore” ci vuole passione e servono  doti innate, in particolare nel “cuncordu onnessu” ci sono dei passaggi obbligati sui quali ogni “vohe” solista si deve cimentare, personalizzando l’esecuzione: «Nel canto a più voci si provano sensazioni che non si riescono a descrivere con le parole, perché tutto deve diventare uno, i suoni si devono amalgamare, come cantore vivi un’emozione, il cuncordu diventa un’emozione.  In diversi concerti ci hanno chiesto dove avevamo studiato musica e si stupivano delle nostre risposte. Per noi gli spartiti sono geroglifici, ciò che per noi conta è vivere la musica, viverla avendo la consapevolezza che non è nostra, ma è un prestito di un bene vocale e culturale che è di proprietà della nostra comunità»


Per i quarant’anni
Nel 2018, i “Battor Moros” festeggeranno il quarantesimo, riferendolo al primo concerto del 1978. Sono pochi i gruppi che sono riusciti a mantenere legami così solidi per decenni, avendo come collante l’amore sincero verso la cultura musicale della propria comunità, senza farsi abbindolare dal richiamo dei facili ritorni finanziari e delle mode passeggere. Auspichiamo che i cantori possano proseguire uniti nel loro percorso di ricerca e riescano a fare scuola tra i più giovani del paese,  raggiungendo ulteriori fecondi risultati. A nostro avviso, sarebbe significativo se riuscissero a incidere con le più moderne tecnologie il repertorio tradizionale insieme al loro illustre concittadino Pietrino Puddu, novantenne, ma sempre in forma per quanto riguarda il canto polivocale del “cuncordu”. Sarebbe un’esclusiva testimonianza da lasciare ai posteri, a imperitura memoria per “sos venidores” all’insegna de “su connottu”: un sapere antico consolidatosi nel tempo, che sarebbe bene non deturpare arbitrariamente in nome del consumismo e di una distorta interpretazione culturale della globalizzazione.


Paolo Mercurio
© Foto Archivio di Mario Mureddu

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