Vincenzo Zitello – Metamorphose XII (Autoprodotto, 2016)


Polistrumentista, compositore ma soprattutto oioniere dell’arpa celtica in Italia, Vincenzo Zitello vanta un articolato percorso artistico che lo ha condotto ad incidere numerosi album, a collaborare con artisti italiani e stranieri nonché ad esibirsi in Italia ed all’estero. A caratterizzare il suo approccio stilistico è tanto il suo background classico quanto un originale approccio alle tecniche esecutive, mentre dal punto di vista compositivo a risaltare è la sua capacità di tradurre in musica suggestioni poetiche, riflessioni introspettive e ricerche attraverso simboli ed elementi sapienziali. A tre anni di distanza dallo splendido concept album sulle stagioni e i quattro elementi “Infinito”, lo ritroviamo con “Metamorphose XII”, album dai due volti nel quale ha raccolto dodici brani: proposti nel primo disco in solo ed in versione orchestrata con la complicità di un eccellente cast di strumentisti nel secondo. Abbiamo intervisto l’arpista modenese per entrare nel vivo dell’essenza mutevole di questo nuovo disco, nelle fonti d’ispirazione e nelle scelte compositive e di arrangiamento.

A tre anni di distanza da “Infinito” torni con "Metamorphose XII”. Come nasce questo disco? 
La realizzazione di questo mio nuovo lavoro è iniziata subito dopo la pubblicazione di “Infinito”. Questo è il mio metodo lavorativo, in modo da lasciare spazio e riflessione a ciò che voglio comunicare. Tutto ciò è valso anche per la fine del lavoro, che ho terminato in giugno 2016, ma non l’ho pubblicato subito, perché ho voluto riascoltarlo e testarlo quasi fosse una colonna sonora personale, per trovare quel distacco che mi permetta di sorprendermi ed emozionarmi. Da qui che nasce il concetto di Metamorfosi che non è una dimostrazione speculativa ma il voler rinnovare le impressioni che sono mutevoli, come nella musica e anche nella vita. 

Come si è evoluta la tua ricerca musicale rispetto al precedente?
Nel precedente album ho costruito un impianto di scrittura classico, dove l’arpa sosteneva il percorso quasi in modo segreto accompagnando e diluendosi negli archi, non ho usato percussioni, e la scrittura dei brani si sviluppava in un tempo largo e riflessivo. In “Metamorphose XII” ho voluto cambiare mondo ed invitare molti musicisti, venti per la precisione. La scrittura del nuovo album ha una costruzione tematica e melodica, i brani sono dodici e hanno un’evoluzione  che li ha portati a raddoppiare, quindi dodici per sola arpa e dodici orchestrati. Le sonorità di questo album sono nuove nel mio percorso, non avendole mai utilizzate prima. C’è la tomba di Andrea Baroldi, il trombone e il sakbut di Gino Avellino, il sax tenore e baritono di Claudio Pascoli cosi come molti altri strumenti come il santoor persiano, la fisarmonica di Flaviano Braga, la chitarra classica a 8 corde di Livio Gianola, la cornamusa elettronica di Hevia, la viola da gamba di Guido Ponzini, e la ciaramella di Carlo Bava.


Da dove è nata l’esigenza di realizzare un doppio album?
Volevo portare l’ascoltatore nelle mie due dimensioni creative: la musica d’arpa e l’orchestrazione. Mi piaceva comporre e creare contrasti tra la pace solitaria di un’arpa e il fiorire di suoni anche opposti e lontani in modo da valorizzare un altro punto di vista che spesso ho, nella mia musica, anche il divertimento di dire in musica che l’abito non fa il monaco.

Anche questo album ha un sostrato spirituale e riflessivo molto profondo. Ci puoi raccontare come sono nati i brani. Quali sono state le principali ispirazioni?
Credo che la mia musica per la sua natura abbia una inclinazione riflessiva, perché questo è ciò che anima la mia creatività. Le impressioni che si muovono e gli incontri con le persone che conosco, ispirano le mie storie musicali. In questo caso prima ho scritto i brani per arpa, più interiori ed introspettivi, che sono andati a comporre il CD1 perché da lì parte il tutto e poi ho pensato al CD2, legato al mondo della condivisione, un po’ come una medaglia che “anche se la giri non cambia il suo peso specifico”. 
Tornando al contenuto e alle ispirazioni, il brano di apertura “Invisible” è dedicato ad un amica musicista che non c’è più, Virginia Splendore, un ricordo per non dimenticarla. Anche “Arianrhod” è un’altra dedicata ad un’amica Stella Ladì volata nell’assoluto. Sembrerebbero musiche piene di elegia ed ombra invece sono solari e piene d’amore. Poi si precipita in “Rubeus”, un brano che non ti aspetti e che esprime un opposto: una liberazione, forse. “Ciprea” è un brano sentimentale, un bacio, un piccolo bacio mentre “Lauda Mediterranea” è un mio sentimento legato al Mediterraneo ed all’idea che ho delle sue luci e dei suoi aromi. Il sesto brano “Anima Animale” è la tenerezza che suscitano in me i miei animali, sempre vicini e presenti nella mia vita. “Dorice” è, invece, un omaggio a mia nonna che ho amato tantissimo. “L’incanto” è il brano che crea una sorpresa cominciando in un modo e finendo in un altro. “La Giga” è una danza che ho voluto far girare nel tempo il cui arrangiamento è un percorso nel suo ritmo con un crescendo finale. “Fiori Blu” è quello stato in cui le emozioni sono volatili e i pensieri ti portano via. “Falena” è la danza di una falena attirata dalla luce nella notte. Chiude “Siciliana”, un doppio tributo alla mia parte siciliana e all’amico e maestro Alan Stivell.

Come hai approcciato il lavoro in fase di arrangiamento in solo e con l’orchestra, o meglio dire con la all star big band che ti accompagna nel secondo disco? 
Una volta scritta la musica per arpa e registrata ho pensato a come procedere e quali musicisti invitare. Per prima cosa ho scritto tutte le parti, avevo ben chiaro cosa doveva essere, sia dal punto di vista dell’arrangiamento che dell’evoluzione. La progressione dei brani nel cd è stata voluta così fin dall’inizio, perché sono dei capitoli di una stessa storia.

Ci puoi raccontare delle sessions di registrazione. Come si sono svolte? Quali sono state le difficoltà? 
Le maggior parte delle sessions si sono svolte nel mio studio e in altri piccoli studi ma molto professionali. L’assemblaggio e il mix, a cui è seguito il master che è stato curato da Stefano Melone, un artista di grande livello con cui lavoro da quasi trent’anni e ha curato quasi tutti i miei lavori.  La meraviglia è che oggi si può lavorare a distanza, con la rete internet tutto è possibile. Hevia ha suonato dalle Antille, mentre Milo Molteni a casa mia nel mio studio. Quando ho aperto tutte e due le tracce sono rimasto di stucco nel sentire la sincronicità, pareva avessero suonato insieme: questa è sinergia vera, mi sono detto.

Parlavamo prima di elemento spirituale. Quanto sono importanti cambiamento, evoluzione, metamorfosi e perfezionamento nel tuo approccio musicale? 
Il mio marchio di fabbrica è, da sempre, la ricerca. In generale, credo che la musica sia animata da esigenze. Per alcuni è l’amore, la disperazione, il sociale o altro. Io cerco l’armonia e l’evoluzione  verso una pace cosciente, dove i sentimenti insegnino la comprensione, la compassione e la bellezza. Non amo fare dischi uguali e con lo stesso incastro. Mi piace rischiare perché credo di avere un’identità, uno spirito come una guida che ho sempre sentito e che mi spinge a cercare sempre per imparare. Se trovo qualcosa che tocca l’anima io sono il primo testimone.

Ascoltando questo disco si ha la sensazione che tu già in fase compositiva abbia compiuto un vero e proprio viaggio interiore. Come riesci a bilanciare l’esigenza di domare la tensione continua alla metamorfosi e l’abbandono alla ricerca?
Il viaggio è collegato a molto tempo fa ho sempre cercato quella tensione e l’equilibrio insieme tra lasciare fluire e rimanere ad osservare il divenire. 
Quando tutto funziona, tutto si compatta naturalmente: è uno stato di grazia, è arte. In effetti fare gli album per me è un viaggio meraviglioso, forse è più bello farli che finirli, anche se un amico ha detto un album non si finisce si abbandona. 

Concludendo, come porterai in concerto questo disco? Ci saranno eventi con l’orchestra? 
Mi piacerebbe molto fare qualche data con gli amici musicisti anche se sarà difficile metterli tutti insieme. Credo che diluendoli in vari concerti sicuramente accadrà per il resto porto in giro il mio concerto per arpa solo e un altro paio di progetto tra cui quello con LaetiMusici insieme a Carlo Bava alla ciaramella e Giovanni Galfetti all’organo liturgico e Cristina Pasquali voce narrante, e quello con Daniele Di Bonaventura al bandoneon e Calo Lamanna al Contrabbasso. Facciamo musica istantanea, ma di questo progetto ne parleremo presto…


Vincenzo Zitello – Metamorphose XII (Autoprodotto, 2016)
#CONSIGLIATOBLOGFOOLK 

La capacità di esplorare, percorrere in lungo ed in largo i sentieri della musica, ed il coraggio di superare ogni confine sono le caratteristiche peculiari della cifra stilistica di Vincenzo Zitello, arpista, polistrumentista e compositore raffinatissimo, che con “Metamorphose XII” giunge al decimo album in carriera. Si tratta di un progetto discografico dai due volti, diversi ma allo stesso tempo complementari l’uno all’altro, nel quale ha raccolto dodici brani, proposti nel primo disco in versione per arpa sola e nel secondo accompagnato da uno straordinario cast di venti strumentisti che annovera: Josè Angel Hevia (gaita midi), Mario Arcari (oboe), Riccardo Tesi (organetto), Rinaldo Doro (ghironda ed organetto), Carlo Bava (ciaramella), Giovanni Galfetti (organo liturgico), Milo Molteni (violino), Paola Pascqualin (marimba, contrabbasso e glokenspiel), Alfio Costa (organo hammond), Andrea Baroldi (tromba), Claudio Pascoli (sax tenore e baritono), Daniele Bicego (ceccola polifonica, musette 23 pollici, irish flute), Flaviano Braga (fisarmonica a bottoni, bandoneon), Fulvio Renzi (violino e viola), Gino Avellino (trombone tenore e sackbut), Guido Ponzini (viole da gamba soprana, tenore e bassa), Livio Gianola (chitarra classica otto corde), Serena Costenaro (violoncello), Vic Verget (chitarra elettrica), e Walter Keiser (batteria e percussioni). Ascoltare questo nuovo album è come immergersi nella lettura di un libro, in cui ogni canzone rappresenta un capitolo di un più complesso intreccio narrativo che si svela man mano tra suoni e suggestioni in mutamento tra due mondi paralleli ad evocare la metamorfosi delle idee. Dal punto di vista prettamente compositivo appare evidente la rivoluzione copernicana che ha pervaso l’ispirazione di Zitello, animato dalla necessità di allargare gli orizzonti della sua indagine sonora. Questi brani sono per l’autore l’occasione per guardare nella sua interiorità, giungere all’essenza dell’ispirazione, per poi volteggiare libero nel dialogo con gli altri strumentisti. Da elemento da domare, il mutamento diventa nel contempo lo stimolo creativo a cui abbandonarsi, senza porsi limiti. Si spazia, così, dalle toccanti “Invisible” e “Arianhod”, dedicate rispettivamente a due amiche scomparse e dense di solarità ed amore, alla sorprendente “Rubeus”, da ascoltare con attenzione in entrambe le versioni per scoprirne il tratto mutevole ed imprevedibile. Se “Ciprea” nella versione in solo brilla per la sua trama melodica tenue, in quella full band diventa una piccola sinfonia d’amore. Vertice compositivo del disco è “Lauda Mediterranea” che con le sue suggestioni world si libra in tutto il suo lirismo. Gli spaccati domestici densi di tenerezza di “Anima Animale” e “Dorice” ci conducono alla sorprendente ed imprevedibile “Incanto” che si scioglie nell’invito al ballo de “La Giga” in cui brilla il crescendo ritmico finale. Completano il disco la suggestiva “Falena” e “Siciliana”, doppio tributo alle radici siciliane e all’amico e maestro Alan Stivell. Insomma “Metamorphose XII” è l’opera più matura ed intensa di Vincenzo Zitello, un disco prezioso da ascoltare con attenzione e passione.

Salvatore Esposito

Posta un commento

Nuova Vecchia