Ustad Rahim Khushnawaz – Afghan Rubab with Songbirds (Felmay, 2016)

Tutto inizia nel 1994, quando Veronica Doubleday ritorna nella città afghana di Herat, nella provincia omonima nella parte occidentale del paese, diciassette anni dopo la sua precedente esperienza di ricerca etnomusicologia sul campo, condotta con suo marito John Baily, eminente accademico, esperto delle musiche di quell’area dell’Asia centrale. La studiosa è ospite in casa di Ustad Rahim (c. 1947-2011), celebrato maestro di quello che è considerato lo strumento nazionale afghano, il rubâb: un liuto a manico corto, dotato di un sistema di corde tripartito, costituito da tre corde melodiche, più tre eseguono il bordone e altre quindici corde che vibrano per simpatia. Siamo negli anni in cui l’Afghanistan è governato dalla coalizione di Rabbani, formata da partiti dei mujaheddin: un periodo di pesante censura nei confronti della produzione musicale. Nell’Herat, ai musicisti professionisti deve essere rilasciato un permesso, che attesta il tipo di musica autorizzato (per esempio, canti in lode dei mujaheddin o liriche di poesia mistica). Pertanto, l’attività musicale è molto ridotta, ma nell’ambito privato, domestico è ammessa. Poi, con la vittoria dei talebani nel 1996, la censura si farà estrema, con l’emanazione di editti che bandiranno tutti gli strumenti musicali e le stesse registrazioni di musica. Diversamente, nella primavera di due anni prima, Doubleday è accolta nella casa di Ustad Rahim ed è messa in condizione di registrare (usa un Sony Walkman professionale a cassette) un considerevole corpus di materiali eseguiti da uno stimato musicista, proveniente da una celebrata famiglia di musicisti professionisti, Il nonno paterno era suonatore di tabla ed il padre, Ustad Amir Jan Khushnawaz, un cantante molto importante. Talento eccezionale sin dalla giovane età, Rahim è § ufficialmente riconosciuto come il miglior suonatore in Herat, un virtuoso strumentista dallo stile meditativo e lirico, abilissimo nell’improvvisazione, nell’usare una tecnica particolare di tremolo sulla corda più acuta di bordone (si ascolti “Rag Talang”). L’anno successivo all’incontro Rahim si esibirà in Francia, poi, con l’avvento del regime talebano, emigrerà in Iran, dove animerà la scena musicale di Meshhed. Infine, nonostante la complessa situazione politica afgana, negli ultimi anni di una vita intera vissuta per la musica farà ritorno nella sua città natale, dove vivrà di nuovo nella sua casa vicina alla grande moschea cittadina, svolgendo attività di insegnante e suonando per gli eventi della sua comunità di Herat. Finora, di Ustad Rahim Khushawaz conoscevamo un’incisione pubblicata da Ocora/Radio France nel 1996 (“Rubâb et Dutâr”), le dodici tracce di “Afghan Rubab with Songbirds”, sublime album edito da Felmay, ci trasportano nella ‘tranquillità’ di una casa di Herat, dove il maestro suona da solista o con l’accompagnamento di percussioni: tabla (lo zio paterno Karim Khushnawaze e il figlio di quest’ultimo Azim Hassanpur) e zibaghadi (Amin Bacheh Matari). Registrato in presa diretta, il maestro si cimenta in composizioni, costruite sui modi della musica d’arte, tra cui anche scale pentatoniche indostane non comuni nel paese (“Rag Shivarajani” per solo rubâb), e canzoni popolari più antiche, messe accanto a melodie da danza e composizioni coeve e del decennio precedente. Con le note, sui nastri resta inciso il mondo domestico del Maestro: il vociare dei bimbi, il tè versato nelle tazze, mormori e sussurri di brevi conversazioni, ma soprattutto il canto dei due canarini in gabbia, di cui Rahim era grande appassionato. Anzi, gli uccellini sono protagonisti, non solo perché tòpoi poetici delle antiche liriche persiane cantate a Herat, ma perché essi stessi sono stimolati dalla meraviglia delle note, come avviene in “Rag Talang”, andando a ritmo con il rubâb (“Dar daman-e sahra am”) o – vogliamo credere – reagendo empaticamente al lamento di una madre per suo figlio, morto da fuorilegge (“Asadullah Jan”). 


Ciro De Rosa 

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