Rocco Nigro - Guerra, Fichi e Balli (Kurumuny, 2014)

Rocco Nigro è un autore e un musicista prolifico, che nella maggior parte dei casi rivolge la sua attenzione alle espressioni musicali popolari (salentine e non solo). Il suo approccio è assolutamente contemporaneo, nella misura in cui “tratta” i repertori popolari in modo tale da chiamare in causa una categoria generalmente utilizzata nelle narrative sulle espressioni di tradizione orale. Si tratta della categoria di “spontaneità”. E credo possa essere interessante utilizzarla, in un’accezione un po’ sbilanciata e fuori contesto, come paradigma interpretativo della sua produzione. Se in questo quadro confrontiamo, ad esempio, gli ultimi due lavori di Nigro – “Malìe”, prodotto in collaborazione con Rachele Andrioli, e “Guerra, fichi e balli”, il disco/libro di cui si parla di seguito nello specifico – emerge in modo netto una produzione non divergente ma piuttosto differenziata. “Malìe” è un disco elaborato in una prospettiva di dialogo tra la voce e la fisarmonica. Ogni passo del discorso musicale evidenzia la più piccola sfumatura dei due strumenti, che si confrontano sul piano melodico, armonico e ritmico. “Guerra, fichi e balli” è, invece, un lavoro più corale, nel quale ogni strumento ha un ruolo evocativo specifico, e fa riferimento a una forma musicale di tradizione orale, sebbene meno tradizionalizzata nelle rappresentazioni contemporanee più diffuse. Se si volesse individuare un filo che li lega insieme – e che, di conseguenza, definisca il processo produttivo di Nigro – si potrebbe far riferimento proprio all’approccio “spontaneo”, che potremmo addirittura declinare in “sperimentazione”. In una serie, cioè, di interventi, studi, analisi, interpretazioni, volti a decostruire – non soltanto tecnicamente ma anche culturalmente, come fanno d’altronde gli artisti più accorti – le forme tradizionali delle espressioni popolari, provando a riconsiderarle in un quadro di riferimento più ampio e contemporaneo. Questo processo è stato posto alla base – insieme a un lavoro sulla memoria familiare e la biografia personale – di “Guerra, fichi e balli”, un insieme di rappresentazioni organizzate in un disco e una raccolta di racconti e immagini, di cui abbiamo parlato con Nigro nell’intervista che segue.

"Guerra, fichi e balli" è un insieme di rappresentazioni. Spiegaci di cosa si tratta: è un disco, un libro, una raccolta di ricordi, un tentativo di rappresentare in forma multi-mediale una storia particolare? Da cosa nasce e come lo hai affrontato?
Il lavoro nasce dal bisogno sempre più ricorrente di ringraziare una persona che ha determinato tutta la mia vita, mio nonno Rocco Nigro. Durante il mio percorso ho incontrato molte forme di rappresentazione di “storie passate”, spesso in spettacoli teatrali fatti con Renato Grilli, che in questo lavoro ha curato la rielaborazione del testo, la post-fazione, ed è la voce narrante nel disco. Sicuramente l’idea di registrare la voce di mio nonno è nata da queste esperienze, ma non immaginavo cosa sarebbe diventata qualche anno più tardi. Ci ho messo molto tempo, ho iniziato a trascrivere le chiacchierate più di due anni fa, e la dimensione multimediale è nata dalle suggestioni e dai ricordi che pian piano riaffioravano. Prima i racconti della guerra impreziositi dagli straordinari acquerelli di Marco Cito, poi alcuni episodi legati al “dono” del fico maritato e infine il disco.

Possiamo dire che questo lavoro si pone a metà strada tra la biografia, la cronaca e il racconto. C’è una storia personale che è disseminata in più racconti, ma vi si riconosce anche una linea nella quale è riflessa una storia comune.
Questa storia, che abbraccia tre generazioni, è riflessa in una storia comune. Riporta in una dimensione offuscata dal presente, in cui l’amore per le piccole cose modeste e silenziose, ma terribilmente incantevoli e sfuggenti era vivo. Molto spesso chi legge il mio lavoro vi si riconosce. Francesco Catastini, storico toscano che ha curato la prefazione “Le piccole memorie”, dice: Nonno Rocco è una delle moltissime persone che ha subito la Storia, quella con la esse maiuscola, […] è possibile capire come ogni singola vita, ogni singola esperienza possa agire la Storia e possa tentare di ristrutturarla secondo le proprie esigenze.

Quali sono le connessioni più strette tra il testo e la musica?
Le connessioni più strette si trovano in due brani: in "Buonanotte nonno" (temi dal “Valzer di mezzanotte”), che era il suo pezzo preferito, e nel canto “Amor dammi quel fazzolettino", che spesso canticchiava alla nonna, interpretato magistralmente dalle sorelle Ada, Franca, Rosaria e Mimina Gaballo di Nardò. In più, le sette tracce “Fichi”, improvvisazioni per fisarmonica campanelli e sonagliere, rappresentano i doni che mio nonno era solito farmi, doni speciali, un rito segreto tra me e lui: i “fichi maritati”. A lui, diceva, i fichi avevano salvato la vita, così a me, aggiungeva, avrebbero portato fortuna!

In uno scenario pregno di musiche d’ispirazione popolare, quale posto può assumere, secondo la tua esperienza, un lavoro come questo?
Rispondo a questa domanda con le parole che Massimiliano Morabito usa nel commento al disco “Il suono della memoria”: “Negli ultimi 25 anni la riproposta della musica tradizionale salentina sembra concentrarsi sulla Pizzica. […] Si trascurano in questo modo gli ampi repertori musicali dei sonatori locali tradizionali. […] L’idea di questo cd non nasce come una scelta contro corrente, ma dalla necessità di trasmettere parte della storia di Rocco e di quella di suo nonno, partendo proprio dal contatto diretto con una realtà musicale molto diversa da quella che la nuova riproposta vuole fare apparire”

Può il racconto d’ispirazione biografica essere riconosciuto come un nuovo modello d’interpretazione delle espressioni tradizionali?
In un certo senso tutto il fenomeno di riproposta è imprescindibile dalle biografie delle generazioni passate, in virtù del fatto che i racconti, la musica e il canto descrivono la loro vita quotidiana e la necessità di suonare, cantare e ballare. Credo che sicuramente non esista un modello univoco d’interpretazione delle espressioni popolari, ma che il legame con il racconto di vita non possa essere ignorato. 

Sul piano più specificamente musicale, hai raccolto e selezionato le musiche che definivano il panorama sonoro del periodo di cui parli nei testi. Come hai lavorato sulla loro riproposta?
Ho cercato di immaginare le atmosfere create da chi suonava allora, quando le coppie danzavano sulle “chianche", nelle aie davanti ai trulli nella mia terra natale, ai tempi di mio nonno. Inoltre ho sempre pensato che per far rivivere quelle melodie, si doveva puntare sulla loro gioia e semplicità, sul mistero e il miracolo di come ingenue note di semplici melodie potessero smuovere tante emozioni, così forti e profonde da non potersi più dimenticare. Ho selezionato i temi dagli archivi personali di Giovanni Amati e Massimiliano Morabito (amici musicisti e ricercatori) dai quali ho estrapolato registrazioni di anziani per lo più coetanei di mio nonno. La “Mazurca” è uno di questi esempi, in cui ci sono temi suonati dagli anziani organettisti di San Michele Salentino (il mio paese), di Ostuni e di Cisternino (BR), ho mantenuto le tonalità originali e ho fatto suonare ognuno di questi temi a strumenti diversi. 

Il disco è molto ricco: si va dai brani della tradizione locale a brani più diffusi oltre la tua regione. Le esecuzioni e gli arrangiamenti sono molto descrittivi e soprattutto raffinati. Come e perché hai scelto gli strumenti presenti nel disco, dai fiati al violino alla chitarra elettrica?
La scelta dei musici è stata dettata dalla necessità della ricerca dell’essenziale e dall’amore che ognuno di loro ha verso questo repertorio. Con tutti condivido più e più esperienze musicali e ognuno mi ha ispirato nella stesura degli arrangiamenti. Il clarinetto di Antonio Esperti è il primo suono a cui ho pensato, ed uno dei primi con cui ho suonato la “Quadriglia” che proviene da San Vito dei Normanni (BR), brano che mi sta particolarmente a cuore. La “Polca” è un regalo del Maestro Antonio Calsolaro, mirabolante mandolinista di Alessano (LE), scritta o trascritta (lui non ricorda) da suo padre negli anni Cinquanta. Lo “Scottish” vede protagoniste le melodie di Cisternino e lo scotino che viene dal Tavoliere, zona di origine del violinista, Angelo Berardi, che lo interpreta nel disco. Il “Valzer”, che originariamente era per mandolino e chitarra e proviene da Carovigno (BR), è stato reinterpretato osando l’utilizzo del trombone (Giuseppe Oliveto), protagonista in quegli anni, assieme al clarinetto di un altro fenomeno che caratterizza la musica delle mie zone, come di tutto il sud Italia, ovvero quello della banda. Giovanni Amati, con antica sapienza, ha accompagnato con tamburello e castagnette la Quadriglia, lo “Scottish" e la “Pizzica” in cui ho riproposto i temi di Sante Arpino (anziano organettista di San Michele Salentino). Nell’ultimo brano del disco ho cercato di raccontarmi al nonno alla mia maniera. In “Buonanotte nonno” rielaboro i temi del Valzer di Mezzanotte suonandoli assieme a due amici fraterni: Francesco Massaro al clarinetto contralto, con cui ho di recente inciso “Agàpi" (disco edito dalla nuova etichetta indipendente Desuonatori), e Valerio Daniele alla chitarra elettrica, ideatore del collettivo Desuonatori, nonché visionario curatore del suono di questo disco e di alcuni dei progetti più interessanti del panorama salentino.

Credo che possano essere molto rappresentativi del lavoro musicale “Quadriglia”, “Valzer”, fino ad arrivare a “Buonanotte nonno”, ispirato ai temi del Valzer di Mezzanotte di Frank Amodio. Si percepisce un’atmosfera evidentemente retrò ma non cristallizzata, retorica. È difficile riproporre questi tipi di musica?
Non è assolutamente facile, sia riproporla che produrla e devo ringraziare Luigi e Giovanni Chiriatti che con la loro casa editrice Kurumuny hanno sposato da subito l’idea. I contesti in cui suonare questo repertorio sono molto rari, quindi ho pensato di proporre al pubblico uno spettacolo in cui le musiche si intrecciano al testo e animano le illustrazioni. Sotto questa veste ha esordito nella sala Maria D’Enghien del castello Carlo V a Lecce lo scorso 20 Dicembre e la prossima, sarà il 22 Febbraio nella Sala del trono di Palazzo Gallone a Tricase (LE) nella rassegna Folkbooks. Colgo infine l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di quest’opera, in particolare Francesco Martelloni, storico leccese, per i suoi preziosi consigli ed Eraldo Martucci, critico musicale, per avermi dato sostegno nella logistica della presentazione.



Rocco Nigro - Guerra, Fichi e Balli (Kurumuny, 2014)
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“Guerra, fichi e balli” è il titolo del nuovo lavoro del fisarmonicista Rocco Nigro. Si contraddistingue dalle produzioni di ispirazione popolare salentine principalmente per due motivi. Il primo è dato dai repertori di riferimento. Il secondo dalla forma editoriale che ha assunto. Iniziamo dai repertori. Come sottolinea lo stesso autore nell’intervista, la selezione dei brani che compongono il disco non fa riferimento ai repertori tradizionalmente oggetto del revival degli artisti salentini (un revival che - a differenza di quanto è avvenuto e avviene tuttora in altre aree del nostro paese - si è agganciato e, allo stesso tempo, ha dato corpo a una lunga tradizione di studi, di recupero e riproposta). I brani che Nigro ci presenta - dentro un racconto denso di contenuti e, sopratutto, articolato attraverso la sovrapposizione di più registri narrativi e immagini - definiscono un panorama musicale generalmente definito non esattamente tradizionale. Compreso sì nell’insieme delle espressioni prodotte in un contesto di tradizione orale, nel quale però si verificano interazioni con il liscio, i repertori da ballo, gli interventi di categorie di musicisti spesso musicalmente non alfabeti (come, ad esempio, quelli delle bande) e la presenza di brani popolari non locali (come “Amor dammi quel fazzolettino”). Tutto questo contribuirebbe a considerare il disco di Nigro come un’operazione di revival di brani popolari - sebbene non “convenzionali” - o come un tentativo di indagare un linguaggio comunque storico, che oggi si colloca generalmente in una riproposta marginale e poco seguita. In realtà “Guerra, fichi e balli” è un racconto piacevole e (torno a dire) articolato, che attraverso la componente musicale vuole ricostruire sopratutto un contesto, non solo storico, ma piuttosto emotivo e indirettamente biografico. Qui entra in gioco il secondo elemento, che prima ho definito “editoriale” e che rappresenta la struttura generale del lavoro, all’interno della quale è stata compresa anche la narrazione musicale, composta di sette sezioni (sviluppate in una successione di otto brani suonati con violino, mandolino, clarinetto, clarinetto contralto, castagnole, vicino a sonagli, tamburello, trombone, chitarra elettrica, fisarmonica, campanelli e sonagliere). Difatti “Guerra, fichi e balli” (il cui sottotitolo è “Salùtëmë tuttë e tu sonë seme”) si configura innanzitutto come un piccolo libro, dedicato alla figura del nonno omonimo di Nigro. Una figura evidentemente importante sul piano biografico, ma che qui si presta a riverberare i riflessi di un periodo storico (a cavallo della seconda guerra mondiale) e di un ambito sociale e culturale determinato, che coincide innanzitutto con un paesaggio sonoro popolare (nell’accezione più ampia). Per questo - ci dice lo stesso Nigro - le musiche servono a “immaginare le atmosfere create da chi suonava allora, quando le coppie danzavano sulle chianche, nelle aie davanti ai trulli nella nostra terra, ai tempi di mio nonno”. Il libro è introdotto e puntellato da alcune riflessioni dello stesso Nigro, Francesco Catastini (“Le piccole memorie”), Renato Grillo (“Dopo aver letto, posso dire”) e Massimiliano Morabito (“Il suono della memoria”), e articolato in due parti distinte. La prima è dedicata ai racconti del nonno: la memoria della guerra, nel quadro della quale si sovrappone la narrazione biografica, l’interpretazione e la percezione personale, la storia locale e internazionale: “Là a Monopoli, in caserma, non si stava bene per niente. Si mangiava, sì, ma tirava un’aria pesante, brutta assai. Così ci trovammo la sera a parlare di che si poteva fare, e già al secondo giorno decidemmo di scappare!” (i brani selezionati per la contestualizzazione sonora sono la mazurca “Il febbraio del ’40”, la quadriglia “I soldati in Albania”, il valzer “La caserma di Kassel”, lo scottish “All’Italia si muore di fame”). Nella seconda parte del libro si esce dalla biografia e si definisce una riflessione che, oltre a toccare le impressioni personali dell’autore, verte sulle musiche e sulle occasioni in cui queste venivano eseguite. In questo quadro prende forma - dopo una pizzica che riprende le melodie del suonatore di organetto Sante Arpino di San Michele Salentino - “Buona notte nonno”, l’ultimo brano del disco, ispirato a temi tratti dal “Valzer di Mezzanotte” di Frank Amodio.


Daniele Cestellini
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