Toumani & Sidiki Diabaté - Toumani & Sidiki (World Circuit, 2014)

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In un quadro retorico interessante che, in termini generali, darebbe da scrivere a diversi antropologi, è stato annunciato ed è finalmente uscito il nuovo (e molto atteso) disco di Toumani Diabaté, considerato il più importante suonatore vivente di kora (la kora - mi permetto di specificarlo per dovere di informazione - è un cordofono di ventuno corde, appartenente alla famiglia delle arpe-liuto e diffuso in buona parte dell’Africa occidentale). L’album si intitola Toumani & Sidiki ed è frutto di una collaborazione tra il musicista maliano e il figlio - Sidiki, appunto, anch’egli, come vuole la tradizione per la discendenza maschile della sua famiglia, suonatore di kora, ma anche musicista “più contemporaneo” e produttore, con all’attivo vari progetti (quasi tutti a Bamako) in ambito rock, blues, jazz e hip hop (con Ibrahim Sissoko, in arte Iba One, fanno parte del gruppo rap numero uno in Mali). Il disco è prodotto dalla inglese World Circuit e - senza indugiare in una retorica troppo facile - è ben fatto, ben suonato e, soprattutto, costruito in una dimensione molto prossima al live, dato che - come si può leggere nel sito del duo (toumaniandsidiki.com) - è stato registrato dopo essere stato provato poche volte (e, anzi, “alcune canzoni non sono state affatto provate”), in diretta e senza sovraincisioni: “recorded in stereo Toumani can be heard in the left speaker and Sidiki on the right”. Sulla qualità della musica (mi spingo un po' oltre il distacco professionale) non si possono avere dubbi. 
Come ho detto, Toumani è il miglior suonatore di kora al mondo e l’apporto del figlio (e, in generale, l’atmosfera da performance sospesa tra l’improvvisazione, il richiamo al repertorio tradizionale, l’apertura a una nuova forma musicale, molto ritmica e melodica allo stesso tempo, nella quale non manca qualche effetto che aumenta la brillantezza dei due cordofoni) conferisce ai brani una profondità diversa, un’espansione possibile solo in un quadro di sperimentazione e di forte passione (in questo senso, vi invito a seguire le interviste nel sito già citato, dalle quali traspare innanzitutto l’entusiasmo, la fierezza e un forte trasporto - quasi mistico, direi - per il fatto di aver realizzato la chiusura, oppure una tappa necessaria, di un ciclo che era iniziato circa venticinque anni fa, quando Toumani si esibì per la prima volta con il padre al Royal Festival Hall). Toumani è stato anch’egli allievo di suo padre, il quale si chiamava “ovviamente” Sidiki. Scavalcando la trappola retorica e trascendendo la ridondanza dei riferimenti “fatalistici” che emergono dalla documentazione che è fiorita in questi ultimi mesi intorno al disco, bisogna sottolineare i dati più significativi, che interessano non solo l’album nello specifico, ma Toumani, che ne è l’artefice, sia sul piano musicale che culturale (in perfetta aderenza all’immagine di musicista cosmopolita, virtuoso di uno strumento ancestrale e depositario di una conoscenza musicale plasmata in modi differenti secondo l’ispirazione e il genere “occidentale” degli artisti con cui si è confrontato). Toumani - che, come detto, oltre ad essere il maestro della kora è il fulcro del nuovo corso che questo cordofono dal suono sognante ha preso negli ultimi decenni - ha promosso il profilo moderno del suo strumento. 
Da un lato, attraverso le collaborazioni con musicisti di “tradizioni” musicali differenti (Ali Farka Touré, Taj Mahal, Herbie Hancock, Damon Albarn, Bjork) e, dall’altro, grazie al suo approccio tecnico alla mora. Un approccio che ne ha ampliato di molto lo spettro sonoro, attraverso nuove soluzioni armoniche e ritmiche, che in questo disco assurgono a nuove sintesi del carattere più intrinseco di quello strumento e, in modo evidentemente inestricabile, della cultura espressiva di tradizione orale del Mali. Ovviamente sarebbe lecito avere qualche dubbio sul progetto generale e sul fatto che per apprezzarne gli esiti si debba probabilmente andare (anche dopo diversi ascolti) un po' più in là della musica del disco e spingersi almeno fino a Sidiki Diabaté, padre di Toumani e apritore della prospettiva dell’incontro della kora con altri strumenti e stili. Ma questo è un fattore legato prima di tutto alla “distanza” tra qui e il Mali: sebbene, infatti, le musiche di Toumani & Sidiki siano apprezzabili perché capaci di includere suggestioni allo stesso tempo legate al patrimonio musicale tradizionale e contemporaneo (riguardo a quest’ultimo caso sia maliano che non), rimangono costruzioni strutturalmente complesse ed eseguite con uno strumento che, anche dal punto di vista organologico, è connotato da una tradizione forte, in cui gli elementi più rappresentativi sul piano delle espressioni sonore si identificano con l’oralità, il canto, la memorizzazione e la discendenza patrilineare. 
Il padre di Toumani, d’altronde, è ricordato come “the king of kora” ed è stato il primo a registrare (nel 1970) un disco interamente dedicato a questo strumento - tradizionalmente suonato solo da uomini, detti “jali”, appartenenti a una famiglia di “griot”, cioè di cantastorie depositari della memoria orale locale - intitolato Cordes Anciennes, nel quale suonavano, oltre a lui, Djelimady Sissoko e Batourou Sekou Kouyate. Attraverso l’apporto di Toumani - che ha pubblicato il suo primo album, Kaira, nel 1987 (in coincidenza con il lancio e l’inclusione definitiva nel mercato internazionale della “world music” come categoria musicale, ancora prima che come genere musicale) - la kora è divenuto uno degli strumenti più riconoscibili nello scenario musicale internazionale. In questo quadro si sviluppano le soluzioni dei due musicisti: estremamente fluide e fascinose, eteree e vagamente esotiche. 


Daniele Cestellini
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