Marianne Green, Suoni, Colori e Melodie dell’Irlanda del Nord

FOCUS

Astro nascente del folk europeo, Marianne Green, è una giovane cantante e ballerina figlia di una italiana e di un anglodanese, ma che da sempre vive Copenhagen, dove si è formata dal punto di vista artistico. Spinta dalla passione trasmessagli dal padre per la musica folk, negli anni si è dapprima avvicinata allo studio della danza irlandese arrivando a conseguire il titolo di Irish Dance Teacher, per approdare successivamente all’approfondimento anche della sua tradizione musicale. Dopo un lungo periodo di studio della lingua e della musica irlandese, qualche tempo fa ha realizzato il suo primo album, Dear Irish Boy, inciso insieme al grande Andy Irvine, dedicato per lo più alla riproposizioni di brani tradizionali della Contea di Down. L’ha intervista per noi Nadia Borgato, che ha ripercorso insieme a lei tutto il suo cammino di formazione fino a toccare l’ispirazione e la genesi del suo primo lavoro.


Com’è nata la tua passione per la musica? 

La musica ha sempre fatto parte della mia vita. Mio padre aveva una raccolta discografica ben assortita già da quando ero bambina e a casa c’era sempre un disco sullo stereo. Ho cominciato fin da piccola a prendere lezioni di musica e danza e poi ho continuato. Ho suonato il sassofono in varie orchestre, dalla musica classica a quella jazz, i miei gusti musicali si sono formati attraverso l’ascolto della musica di vario genere fino ad arrivare alla musica folk irlandese tradizionale, al canto, e agli strumenti che ora suono: i whistles e il tamburo Irlandese, il bodhrán. 

Come si è sviluppata la tua crescita musicale, il tuo passaggio dai vari generi di musica alla musica folk irlandese? 
Quando ci penso sembra sia stato un interesse improvviso, ma ovviamente non è stato così. C’è stato uno sviluppo. Tra i dischi di mio padre c’era molta musica folk irlandese, inglese, francese e anche italiana. Dai Dubliners e i Chieftains a John Rebourn, Bert Jansch, Pentangle, Alan Stivell, Gwendal, Francesco de Gregori e molti altri. Credo che forse un giorno ne sono diventata più cosciente e ho cominciato a interessarmi più seriamente alla musica irlandese. È stato un percorso che è passato anche attraverso la danza irlandese. In quel periodo frequentavo lezioni di Flamenco. Un giorno i nonni paterni mi regalarono una videocassetta con “Riverdance” (spettacolo di musica e danza ndr.). Si può veramente dire che la visione di quello spettacolo abbia acceso in me la passione per la danza irlandese. Una passione che mi ha portato a fondare il gruppo di danza, Green Steps e anche di prendere il titolo di Irish Dance Teacher, insegnante di danza irlandese, presso l’associazione An Coimisiún le Rince Gaelacha, e di avviare la Dark Green School of Irish Dancing. 

La musica folk irlandese è un genere che si è sviluppato moltissimo negli ultimi decenni anche con fusioni di elementi pop. Come mai questa passione per la musica folk irlandese tradizionale?
La musica tradizionale strumentale e vocale mi trasmette una forte passione. Credo che dipenda proprio dalla musica stessa, dai toni e dalle scale musicali che contribuiscono a creare un complesso di sentimenti particolarmente intensi. È l’anima della musica tradizionale ad appassionarmi e sento che per poterla esprimere e per arrivare a darne un contributo originale devo trovarne l’essenza. Forse questo ha a che fare con il fatto che vengo da fuori, che non sono cresciuta in Irlanda e per questo sento il bisogno di andare alla scoperta delle radici della musica tradizionale, di trovarne l’essenza. È come imparare qualcosa dal principio. Forse i musicisti che sono nati e cresciuti con la musica folk irlandese, non sentono lo stesso bisogno, i giovani in particolare, che sono cresciuti con la musica tradizionale, conoscono molto bene questo genere e forse hanno bisogno di cercare altre strade, mischiare sonorità diverse. Quello che mi emoziona della musica tradizionale irlandese è che trasmette una grande energia, che scaturisce dalla musica ma anche dalle canzoni, come se ci fosse un’energia primordiale che in versione pop sembra perdere parte della sua forza. Io provo in qualche modo di custodirne l’essenza ma allo stesso tempo cerco di contribuire al suo rinnovamento, alla rigenerazione con la modernità della mia generazione nel rispetto della tradizione. Come artista è molto importante per me contribuire con qualcosa di nuovo alla musica tradizionale altrimenti si diventa solo una copia, non mi interessa essere una copia, un prodotto da museo, la replica di un altro cantante. 

Sei figlia di madre italiana e padre anglodanese e sei cresciuta in Danimarca. Ho letto su una tua intervista che il tuo retroterra culturale misto, ha influito sulla tua apertura alla musica e alla cultura irlandesi ci puoi spiegare in che modo? 
Nella mia esperienza gli artisti di musica folk si sentono spesso legati alle loro origini forse perchè sono stati esposti a questo tipo di musica precocemente oppure perchè pensano che si debba fare così quando si suona musica folk. Da parte mia avendo un bagaglio culturale misto non ho un identità culturale ancorata in un contesto nazionale. Riesco a relazionarmi a culture diverse con naturalezza, la mie radici non sono fissate saldamente a qualcosa di determinato che sento di dover seguire, ma piuttosto ai vari elementi delle varie culture che rappresento, senza per questo sentirmi dissociata. La cultura irlandese è collegata sia al mio background inglese per via della lingua e alcune delle tradizioni che i due paesi hanno in comune, sia con l’italiano per il retroterra socioculturale e forse anche cattolico. Penso anche che avere imparato l’italiano e l’inglese da piccola, oltre che il danese – e anche se l’italiano non l’ho sviluppato a livello scolastico- , mi abbia reso più facile relazionarmi ad altre lingue per esempio il gaelico. La conoscenza dell’italiano mi ha sicuramente reso più facile relazionarmi ai suoni della lingua gaelica. Può sembrare strano ma il fatto di poter comunicare in varie lingue anche se non in modo del tutto perfetto - poter comunicare con gli altri nella loro lingua, capire e condividere una lingua con altri popoli mi accomuna alla loro cultura e alla gente e per questo penso che il mio bagaglio culturale misto sia un grande dono. 

Alcune delle canzoni presenti nel tuo album d’esordio “Dear Irish Boy” sono appunto in lingua gaelica. Come hai imparato la lingua? 
Sono molto interessata alla lingua irlandese. All’inizio soprattutto per via delle canzoni, ma col tempo più imparavo la lingua più mi appassionava. È stato un percorso molto importante per me, imparare la lingua per capire fino in fondo le canzoni in gaelico e percepire come meglio interpretarle. Sto ancora cercando di migliorare la conoscenza della lingua, ma me la cavo abbastanza bene, in Irlanda ho anche rilasciato alcune interviste radiofoniche in gaelico. 

“Dear Irish Boy” contiene per lo più canzoni della contea di Down, dell’Irlanda del Nord, qual’è il motivo di questa scelta? 
Avevo cominciato ad interessarmi alle canzoni provenienti dalla Contea di Down molto tempo prima dell’incisione del mio album. Negli anni avevo ascoltato moltissima musica irlandese, ma le canzoni rintracciabili fino ad allora provenivano principalmente dall’Irlanda del sud. Quando poi ho cominciato ad indagare più a fondo ho scoperto un grande tesoro nascosto di canzoni meravigliose originarie della Contea di Down, molte di queste erano registrazioni rare o inedite che meritavano di essere ascoltate. L’area sudorientale della Contea di Down è un luogo incantevole con le meravigliose montagne di Mourne a picco sul mare. Questo incontro tra mare e montagna crea un’atmosfera del tutto particolare che a me piace molto. Anche per questo motivo ho trovato del tutto naturale cantare canzoni originarie di questa zona. Abbiamo anche scelto di registrare le canzoni nello studio di Colum Sand a Rostrevor, un villaggio che si trova ai piedi delle montagne sulla strada costiera. 

“Dear Irish Boy” è stata una coproduzione con Andy Irvine, come è nata questa collaborazione?
Ho conosciuto Andy Irvine tramite il Copenhagen Folk Club – un’associazione di volontariato che organizza concerti di musica folk a Copenhagen della quale faccio parte e nel contesto della quale Andy Irvine ha dato diversi concerti. Durante la fase di preparazione di “Dear Irish Boy” stavo lavorando con Martin O’Hare ed eravamo d’accordo che per l’accompagnamento e la produzione musicale se avessimo potuto scegliere, Andy Irvine sarebbe stato la nostra prima scelta, anche se lui non aveva mai prodotto un disco per altri artisti prima. Martin O’Hare è il fondatore del Copenhagen Folk Club, ma è anche musicista e agente musicale. Con lui ho un’ottima collaborazione sia a livello musicale che di spettacolo di danza irlandese ed è appunto stato il manager esecutivo del CD. Fino a quel momento avevo quasi solo cantato a cappella. Anche le canzoni incise nel mio EP del 2004 sono quasi tutte a cappella e quindi non mi sentivo legata ad un contributo musicale di determinati musicisti. Eravamo convinti che Andy Irvine sarebbe stato l’artista che meglio avrebbe espresso la mia musica. Quando poi lo incontrai al Copenhagen Folk Club per un concerto gli presentai la mia proposta e lui accettò subito. Sono stata molto fortunata a lavorare con artisti così bravi come Andy Irvine, Martin O’Hare e Column Sand . 

Quali sono i tuoi progetti per il futuro? 
A settembre ho partecipato con la mia band, che comprende Martin O’Hare, tamburista irlandese di bodhrán, il chitarrista norvegese Magnus Wiik e il fisarmonicista danese Sonnich Lydom all’Irish Openair Festival Toggenburg in Svizzera. Ad ottobre saremo presenti ad un grande evento culturale a Belfast, il festival si chiama Belfast Festival at Queens e contemporaneamente pensiamo di incidere due nuovi numeri e pubblicare un single. Ho molte nuove canzoni in programma per i concerti. L’anno prossimo contiamo di incidere un nuovo cd e mi piacerebbe molto tornare a cantare in Italia. 


Nadia Borgato 

Marianne Green – Dear Irish Boy (Glas Records) 
La musica irlandese è stata per lungo periodo una moda, e come tutte le mode passano velocemente e alla fine a sopravvivere sono soprattutto i veri interpreti e depositari della tradizione. Così è sorprendente trovare una giovane musicista danese che scelga di imboccare la strada in salita di una tradizione musicale a lei estranea dal punto di vista culturale, in questo senso il vissuto artistico della giovane Marianne Green è davvero particolare. La giovane musicista danese infatti ha compiuto un percorso quasi osmotico con la musica irlandese, che l’ha vista fare proprio un bagaglio culturale vastissimo, fino a diventare lei stessa parte di un mondo, che prima le era del tutto estraneo se non per la conoscenza della sua tradizione attraverso i dischi. Dopo la pubblicazione di un Ep, che conteneva esclusivamente brani cantati a capella, e complice l’incontro con il produttore Martin O’Hare al Copenhagen Folk Club, è nata l’idea di realizzare un disco vero e proprio, che raccogliesse alcuni brani scoperti durante una ricerca sul repertorio tradizionale della Contea di Down. Inciso in Irlanda del Nord proprio nella Contea di Down, in un piccolo studio di Rostrevor, il disco, che vede la partecipazione di Andy Irvine (bouzouki, mandolino, mandola, e armonica) come co-produttore e di Colum Sans (contrabbasso) e Gerry O' Connor (violino), raccoglie dodici brani di ottima fattura che denotano tutta la passione e la maturità con la quale la cantante danese ha affrontato la tradizione musicale irlandese. L’ascolto regala quarantaquattro minuti di ottima musica, nei quali protagonista assoluta è la voce di Marianne Green, che si muove sinuosa attraverso le eleganti linee melodiche costruite dagli arrangiamenti di Andy Irvine. Durante l’ascolto brillano brani come l’iniziale “The Banks Of The Bann” e la splendida “You Make Me Fly” ma ciò che sorprende davvero è la grazia e la perfezione con la quale interpreta due brani in gaelico ovvero “Tà Mè ‘Mo Shuì” e “Ar A Ghabhàil Go Baile Atha Cliath Damh”. Di ottimo livello sono anche i tre brani finali “The Road To Dundee”, “The Wreck Of The Newcastle Fishermen” e “Carrickmannon Lake” la cui forza immaginifica e suggestiva consente all’ascoltatore di avere la sensazione planare sulle montagne a picco sul mare dell’Irlanda. Dear Irish Boy è dunque una eccellente opera prima che proietta il talento di Marianne Green nel panorama folk europeo. 



Salvatore Esposito
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