Ars Nova Napoli – E senza acqua la terra more (Apogeo Records, 2019)

Se “Chi fatica se more ‘e famme” (2016) raccoglieva l’esperienza girovaga di busker band, questo secondo disco ufficiale, “E senza acqua la terra more”, vede gli Ars Nova Napoli alla ricerca di un sound personale, a voler circoscrivere l’oggetto della propria ricerca ma anche a lanciarsi nella proposta di composizioni autografe. Parliamo di un sestetto formatosi nel 2009, “figlio del centro storico di Napoli”, dove convive una quotidiana polifonia di suoni e lingue, formato da Antonino Anastasia (tapan, tamburi a cornice e percussioni), Bruno Belardi (contrabbasso e chitarra battente), Michelangelo Nusco (violino, fisarmonica e baglama), Marcello Squillante (voce, fisarmonica e chitarra), Vincenzo Racioppi (mandolino e charango), Gianluca Fusco (voce, organetto, chitarra e gaita). Nel disco, con il gruppo base, figura uno stuolo di ospiti: le voci di Gianni Lamagna, Davide Chimenti, Cristina Vetrone e Lorella Monti delle Assurd, i flauti di Alessandro De Carolis, il mandolino di Marcello Migliante Gentile, il clarinetto di Gabriele Montinaro, il trombone di Joe Zerbib, l’eufonio di Ciro Riccardi e Dario Spunzio, la fisarmonica di Nino Dario Conte. L’album è stato registrato a tracce separate all’Auditorium Novecento, rinnovata sala collocata all’interno dello storico studio della Phonotype Records di Napoli, dove hanno inciso i giganti della musica partenopea. Si diceva dell’orientamento del combo napoletano non solo a rielaborare brani tradizionali e di folk d’autore ma anche a prodursi in una cifra compositiva propria: la partenza è affidata proprio alla pizzica “Quando cangia lu viento”, firmata da Belardi con testo di Fusco. Il tributo agli standard popolari arriva con la canzone d’autore sarda “No Potho Reposare” e soprattutto con “Mi votu e mi rivotu”, in cui più marcata si fa la presenza del valse venezuelano (dentro charango e tromba) che fa da ossatura alla serenata siciliana, cavallo di battaglia dell’immensa Rosa Balistreri. Con “Tarantella Salita Stella”, altro tema autentico portato in dote da Belardi, gli Ars Nova mostrano il brio con cui approcciano la musica e giocano con efficacia sui cambi di scena e sull’incastro di timbri. Questo appare un possibile sentiero da seguire, sotto una meno eterogenea regia produttiva e scavando più a fondo repertori e archivi dell’area campana, per conferire maggiore originalità alla propria ragione musicale già forte di una vigorosa presenza nella dimensione live. Parte con il battito del tamburo tapan per esplodere nella pluralità di voci (Vetrone, Monti, Chimenti, Fusco, Squillante) “La catalana”, un brano scritto da Davide Puffo Chimenti, dello storico gruppo degli Scetavajasse. Narrano le cronache che il motivo, ispirato al ritmo del paso doble, sia nato dopo l’ascolto di un vinile di musiche tradizionali iberiche trovato nell’immondizia a Ginevra. Qui il flauto di Alessandro De Carolis scorrazza con notevole estro. Un’altra composizione di Chimenti, “Canzone della Vela”, canto d’amore che invita ad avere cura e dedizione alle cose che si amano e da cui è tratto il verso che dà il titolo all’album, si rivela uno degli episodi di punta del disco con in bell’evidenza la voce di Squillante e la gaita di Fusco. “Pioggia di Rose/Viale Fiorito” è un set strumentale che riprende il repertorio della tradizione mandolinistica di barberia siciliana ed è farcito di lucide combinazioni timbriche delle corde, con la partecipazione dell’ottimo Marcello Smigliante Gentile (dei Suonno D’Ajere). Segue un altro classico, “Serenata”, storico brano di Amerigo Ciervo dei Musicalia, reso con grande efficacia vocale e costruito con un’imprevista partitura bandistica finale che vede l’ingresso dei fiati della Bagarija Orkestar. Il canto a dispetto “Ciccuzza” è impreziosito dal nitore vocale di Gianni Lamagna, mentre nel salentino “Malachianta” entra una baglama a supportare le confluenze mediterraneo-orientali. “Valse for A”, altro tema inedito, scritto da Belardi, chiude con gusto un disco che si ascolta davvero con molto piacere. 


Ciro De Rosa

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