Luca Bassanese – Piazza Bassanese/Piazza Bassanese Vol.2 (Ola Ola Musica, 2020/2021)

Per raccontare i due volumi di “Piazza Bassanese”, il nuovo progetto discografico di Luca Bassanese, fisarmonicista, attore, cantautore e scrittore vicentino basterebbe partire proprio dal concetto stesso di piazza, e da come il suo essere ostinatamente luogo di incontro venga, in questo caso, reso in maniera proverbiale. Accompagnato dall’immancabile Stefano Florio (chitarre, mandolini, sintetizzatori e cori) e da Elodie Lebigre (cori, tamburello e kazoo), il cantautore veneto ci conduce attraverso una pulsante giungla urbana, popolata da mille anime differenti e in cui trovano spazio note, uomini e storie. Le sue e quelle degli altri. Ci sono, equamente distribuite fra i due capitoli, storie di resistenza: “Home sweet home (Save the Planet)” che potrebbe tranquillamente fare da manifesto delle manifestazioni sul cambiamento climatico, la rivisitazione, segnata dagli eleganti fraseggi di mandolino di Stefano Florio, di “Bella Ciao”, o “Salta per l’indignazione” (“Facciamo una gran festa, salta per l’indignazione/ che porterà parole contro la disattenzione/ di chi non sa vedere, di chi non vuol capire/ che al mondo non esiste un altro modo di pensare”), ma anche “Confini” (impreziosita dallo struggente violoncello di Valentina Cacco) “Democrisia” (al netto delle venature retoriche di un testo non esattamente indimenticabile) o “I Sognatori” (“E intanto i sognatori/ si son dati appuntamento per la strada/ e danzano versi di poesia/ altro che violenza e così sia”). Ci sono storie di umanità ed amore, da “Ho conosciuto un uomo” alla nuova versione di “L’Amore (è) sostenibile (Anna)”, passando per “Quante volte (per questi giorni andati e strani)”, “Un uomo migliore”, pezzo che tratta con delicatezza il tema della disabilità, “Che ne sai” o “Canzone del 29 giugno”. 
Non mancano nemmeno gli omaggi alla grande tradizione della nostra canzone d’autore: splendido quello all’indimenticato Erriquez, con una muscolare versione di “Beppeanna”, altrettanto interessante l’immancabile rilettura di De Andrè, in questo caso con “Bocca di rosa” e con una dolcemente sghemba “Il Pescatore”. Notevole l’incontro col Guccini di “Dio è morto”, qui ripreso con un inedito vestito sonoro scandito dal levare di una fisarmonica, mentre gli incontri con la musica leggera (“Mamma”, dal repertorio di Bixio e Cherubini) e con quella più strettamente popolare (“Malarazza”) appaiono tanto interessanti nella scelta quanto tendenti alla monotonia nelle soluzioni musicali. Tutto questo trova i suoi sbocchi musicali in un’architettura sonora sorretta sovente dalla fisarmonica, con i fraseggi di chitarra e mandolino a fare da contrappunto e con le colorate spruzzate dell’elettronica che sono come mano di vernice fresca. Tessuto musicale, questo, su cui vengono dipinti paesaggi che affondano le proprie radici nel folk più “terroso” e sanguigno, fra venature balcaniche, strizzatine d’occhio alla patchanka e scatenate ritmiche in levare. Nel complesso, siamo di fronte a due lavori che hanno un certo grado di pericolosità: se, da un lato, il mantenersi di così ampie vedute nella scelta dei brani può ricondurre, per l’appunto, al dedalo di umori ed anime che contraddistingue la piazza, dall’altro lato il rischio è quello dell’“effetto calderone”, di una massa indistinta di canzoni messe dentro senza nessun apparente filo conduttore. Il risultato finale è un doppio lavoro sicuramente gradevole da sentire, che, fosse riuscito a canalizzare il suo flusso artistico, sarebbe stato, per chi mastica folk, a tratti imprescindibile 


Giuseppe Provenzano

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