Masters of Frame Drums – Elements (Seyir Muzik, 2020)

Azzeccare un album non è mai un’impresa facile, ma quando a costituirlo sono perlopiù percussioni è un colpo da maestri. Non a caso sono quattro maestri internazionali dei tamburi a cornice a formare l’ensemble Masters of Frame Drums, il cui disco “Elements” rivela le sfaccettature più intricate e comunicative di una famiglia di strumenti spesso sottovalutata. I brani mettono in risalto la versatilità dei tamburi in una serie di composizioni che gravitano attorno a ritmi fluidi o intricati, mettendo in risalto l’intensità dinamica delle pelli e l’espressività dei dettagli che scaturiscono da ogni minuscolo movimento. A portare colore abbiamo strumenti come il clarinetto, lo scacciapensieri, l’hang drum, e la voce, presentata melodicamente col canto e ritmicamente col konnakol carnatico. Masters of Frame Drums porta a conversare persone, stili e culture differenti: musica Sufi turca, il folklore del sud Italia, jazz, contemporanea, popolare, medio-orientale, indiana e asiatica sono alcune delle fonti di ispirazione dei quattro fuori classe. Glen Velez, dagli USA, è considerato il gran maestro del tamburo a cornice. Vincitore di cinque Grammy, ha rivoluzionato la tecnica dello strumento portandolo per primo sulla scena internazionale e ispirando una generazione di percussionisti. Da Israele, Zohar Fresco è un virtuoso dello strumento, sul quale ha sviluppato uno stile personale e creativo. Tra i vari progetti, Fresco ha collaborato con Leszek Mozdzer e Lars Danielsson, Philip Glass e Bustan Abraham. Grazie alle sue competenze musicali e ai suoi studi etnologici, Murat Coskun si propone come ponte tra oriente e occidente. Il suo stile è radicato nella musica Sufi, reinterpretata e reinventata creativamente. Dulcis in fundo, a rappresentare lo stivale abbiamo il gran virtuoso del tamburello: Andrea Piccioni. Il curriculum di Piccioni è tra i più eccelsi, vantando collaborazioni con Bobby McFerrin, Gianluigi Trovesi, Wu Man, Bassekou Kouyaté, Sirojiddin Juraev e molti altri. Al tamburello italiano affianca ritmiche e tecniche dal Nord Africa, dal Medio Oriente e dall’Asia Centrale. Oltre allo strumento, il comun denominatore sembra essere il rifiuto dei confini, manifestato con una sete di sperimentazione che porta a incontrare, conoscere a parlare linguaggi musicali differenti. Attitudine ed eccellenza musicale si condensano in un disco che esplora, muovendosi tra panorami ritmici, stilistici, dinamici e semantici diversi. Il disco è introdotto da una pulsazione costante, una marcia che annuncia l’ingresso dei tamburi stessi. Ma “Orientation” si sviluppa in una ritmica più complessa, seguita da momenti di improvvisazione solistica. Con “Echad” entriamo nel pieno dell’album. Ai tamburi si affianca la voce, che in maniera quasi contemplativa ci introduce alla melodia, poi doppiata dal clarinetto. I due strumenti giocano coi modi evocando sonorità medio orientali, accompagnate da simili echi nel mondo percussivo. I richiami contemplativi proseguono in “Lost”, introdotta dall’hang di Coskun con una melodia più statica e ripetitiva che valorizza le variazioni ritmiche. In chiusura il canto gutturale diplofonico di Velez enfatizza ulteriormente l’atmosfera di solenne reverenza. Gli armonici naturali dello scacciapensieri catturano l’attenzione in “Theia” occupandone la intro. Una fantastica improvvisazione apre le porte al ritmo centrale del brano e ad una poderosa improvvisazione sul tamburello a sonagli. In “Here Now” ricompaiono molti degli elementi già incontrati, ma il brano sembra essere quasi totalmente composto, seguendo un pattern recitato in coro col konnakol, l’alfabeto ritmico del sud dell’India. In “Kedi Yedi” emerge l’ironia dell’ensemble che utilizza sample di gatti miagolanti (o forse li imita con la voce), Il titolo stesso in turco significa “il gatto ha mangiato”. Potentissima “Miriam Ha’nevia”, composizione di Fresco dove la melodia alterna modi maggiori e minori con l’ambivalenza tipica delle musiche arabe. Il brano, l’unico in cui non comandano le percussioni, risulta freschissimo dopo tanto vorticare di dita su pelli. In un disco simile non si può sottostimare l’importanza della produzione. La pulizia della registrazione ed il sapiente dosaggio dei riverberi consentono ai maestri di valorizzare ogni piccolo dettaglio e ogni movimento. Un disco che può annoiare se ascoltato distrattamente in cuffietta rivela un mondo di dettagli con una cuffia o un impianto di qualità. Ma se il missaggio valorizza gli elementi, la qualità di questi è letteralmente in mano a questo incredibile quartetto, che riesce a comunicare con esorbitante espressività con le sole pelli dei suoi strumenti e poco più. Le dita si muovono sulle membrane ora come colibrì, ora come aquile, volteggiando a passi differenti in una foresta di ritmi intricati. Con un volo fluido e tecnicamente variegato, i Masters of Frame Drums creano una deliziosa mescolanza di atmosfere e strutture ritmiche, che piroettano l’una attorno all’altra senza oscurarsi ma creando dinamismo narrativo. “Elements” è un elettrizzante viaggio nei mondi dei tamburi a cornice, percorso sul dorso di quattro coraggiosi giganti di queste terre. Un disco fondamentale per il mondo delle percussioni in generale. 


Edoardo Marcarini

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