Jaakko Laitinen & Väärä Raha – Börek (Playground, 2020)

Torniamo a parlare della banda Jaakko Laitinen & Väärä Raha, che con questo nuovo album “Börek” conferma la passione (già dimostrata negli album precedenti) per la balkan music, seppur attraversata dagli influssi delle terre più estreme della Finlandia (e non solo). Il quintetto, incentrato principalmente su corde, percussioni e fiati, continua a muoversi nel solco di una musica sempre ritmata ed energica, conducendo i suoni del balcanismo in una dimensione sempre ispirata dalla performance, dal suonare la musica qui e ora (“Kotimatka”). Questa sensazione, che emerge nell’intera discografia della “world's greatest Lapland-Balkan band”, viene riconfermata anche dalla scaletta di “Börek”, dove non c’è spazio per la pausa né per la contemplazione: si racconta e si canta un racconto che sembra una grande epopea, un movimento ininterrotto di gente che ha voglia di muoversi (“I tåget finn en restauragvagn”), di ballerini che non possono che ballare (“Voyager”), di cantanti che possono solo cantare e urlare i loro canti (“Vaalien alla”), di trombettisti che fremono senza sosta dentro il trillo dei loro fiati. Insomma nulla cambia nell’orizzonte di chi erra e ci racconta ciò che vede, urlandone le meraviglie e tirandoci dentro la scena. Che, a ben vedere, non si può costruire solo suonandola: va recepita, tradotta e interpretata, vissuta e ricostruita insieme a tutti quanti noi che stiamo lì ad ascoltare. Questa prospettiva è così decisa e profonda, perfettamente modellata, che quando ci si imbatte in qualche brano meno “humppa” viene da chiedersi come facciano i musicisti a orientarsi, anche se per il lasso di una canzone, in uno spazio più disteso e meno marcato sul piano del ritmo. Direi che, anche in questi rari casi, il risultato è eccezionale (“Lähdön kyyneleet”). Perché la banda - che è composta da musicisti straordinari, che suonano ogni strumento con lo stesso grado di grazia e determinazione - riesce a intravedere delle melodie stupende, che avvolgono, grazie al respiro che ad esse concede il ritmo più rilassato, anche l’ascoltatore più “sfrenato”. A differenza del penultimo lavoro (intitolato “Näennäinen” e uscito sempre per la Playground), in questo album ho notato una profondità più completa, una consapevolezza musicale (si passi il termine nella speranza che concorra a chiarire) che lascia il giusto spazio a interpretazioni più articolate. Certamente il riferimento è sempre e sopra ogni altra cosa il grande canzoniere russo-balcanico, con alcuni passi, però, in cui la tradizione canora est-europea si dilata in tutta la sua bellezza. Facendo risaltare in modo più comprensibile, amabile, piacevole, la complessità e la ricchezza melodica che lo ispira. In questo senso si può riconoscere nella bolgia ritmica di questo quintetto (che suona in tutta Europa e che può vantare la partecipazione al Womex di Budapest nel 2015) ciò che viene spesso ricondotto alla frivola definizione di “maturità” artistica. Perché la sensazione che si ha, ascoltando l’album e (possibilmente) conoscendo un pò della storia musicale degli autori, è che questi abbiano voluto arieggiare le loro stanze. Non a discapito di un sigillo, come quello dell’atmosfera balcanica, che li ha consolidati nel panorama musicale internazionale. Ma a vantaggio di questo, nella misura in cui - proprio grazie alla maestria con cui possono maneggiarne gli elementi costitutivi - riescono ad approfondirne gli aspetti meno “scenici”, meno performativi ed estemporanei (“Madonruokaa”). Insomma, la questione che sto trattando è astrusa quanto edificante. Perché questa band - che si definisce quasi esclusivamente nel pragmatismo ritmico generato dall’incrocio tra contrabbasso, percussioni, bouzouki e accordion - ha “trovato” la variante, riconoscendo la forza melodica della lirica balcanica, di quel racconto infinito che si allunga fino in Russia e fino al nord del nord europeo (“Omalla lomalla”). 


Daniele Cestellini

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