VRï – Tŷ Ein Tadau (Recordiau Erwydd, 2018)

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In inglese si pronuncia “vree”, con la “r” vibrante e arrotata tipica del gallese, e significa “salire” o “volare sopra”: è il trio gallese, formato da Patrick Rimes (violino, viola e piedi), Jordan Price Williams (violoncello, basso, harmonium e voce ) e Aneirin Jones (violino e voce) conduce un discorso musicale molto interessante di recupero di materiali tradizionali cimrici in chiave di musica da camera. Tra i vincitori dei recenti Folk Awards gallesi, inaugurati proprio nel 2019, i tre musicisti sono membri di rinomate band del circuito tradizionale. Nell’estate del 2016 hanno deciso di costituire questo sodalizio che intende bilanciare raffinata sensibilità cameristica con energia live da pub session, andando a scavare nei repertori che ruotavano intorno alle cappelle dissidenti del movimento metodista, che a un certo punto della storia culturale del Galles hanno acquisito un ruolo di primo piano influendo sulla vita del Paese. Tuttavia, qui non si tratta di mettere insieme un programma di musiche sacre, piuttosto di andare ad attingere a piene mani su quella che è stata una sorta di grande rimozione culturale, riconducibile a quel controverso periodo nella cultura popolare gallese – siamo a cavallo tra l’ultimo scorcio del ‘700 e la prima parte dell’800 – in cui la riforma metodista 
(nell’800 il metodismo calvinista divenne espressione del particolarismo gallese fino a saldarsi al nazionalismo, anche grazie al contributo delle scuole domenicali) portò all’ostracismo moralista nei confronti della peccaminosità di balli, canti e delle stesse esecuzioni musicali, con conseguente rielaborazione e “trasformazione” delle melodie popolari in inni cantati a gloria di Dio nelle chiese. Su questa “amnesia” collettiva si è messo a lavorare il trio, che unisce un musicista di provata esperienza come Rimes (già in Calan, Ghazalaw e Cerys Matthews Band); uno dei violoncellisti di nuova generazione, Williams (suona con gli Elfen e i Nogood Boyo), alle prese con l’invenzione di un nuovo stile, fortemente debitore verso musicisti quali Natalie Haas; infine un violinista di nuova leva folk, Jones (già con Nogood Boyo e Pendevig). L’autoprodotto “Tŷ ein Tadau” (che tradotto dal gallese suona all’incirca “La casa dei nostri padri”) esprime una continua tensione tra austerità e vivacità nel succedersi dei brani, proposti da tre musicisti che hanno pieno controllo delle dinamiche e delle sfumature melodiche, riuscendo a tenere appieno l’attenzione dell’ascoltatore dall’inizio alla fine. Tanto per capire di cosa stiamo parlando, il breve, elegante motivo d’apertura con il violoncello in evidenza, “Dewch i’r Frwydr”, è stato scovato in una raccolta del 1859: il suo andamento innodico è rivoltato e riportato alla sua origine tradizionale. Il movimentato set successivo “Breow Kernow” accosta un’aria inglese, proveniente dal settecentesco Dancing Master di Playford (“Mount Hill”) a un five step (“The Hills of Trencrom”) dell’autore cornico Neil Dewey. Per “Floles Llantrisant”, che ha ricevuto il riconoscimento come brano folk dell’anno, al trio si aggiunge la vocalist Beth Celyn. 
Procede su un registro grave “Crug y Bar”, mentre la voce di Beth ritorna in “Cob Malltraeth”, una folk song della penisola di Anglesey, molto diffusa fino agli inizi del secolo scorso: qui la voce di Celyn trova sponda nel pizzicato, nell’incastro tra bordoni e linearità del violino per produrre uno strabiliante numero di carattere maestosamente ‘folkedelico’. Si danza a ritmo di jig nel set seguente (“Cyw Bach”). La cantante Lynne Denman è protagonista di “Aros Mae’r Mynyddau Mawr”, lirica del poeta e collezionista ottocentesco John Ceiriog Hughes, celebrazione della lingua e del paesaggio gallesi, interpretato su una melodia nello stile irlandese del canto sean-nós, che finisce per sfociare in un gustoso valzer (“Walts Trefforest”). “Clychau Aberdyfi” è un divertente esercizio combinatorio di versi bilingue (inglese e gallese) di canzoni sulle campane, un suono ancora vivo nei paesini del Galles. “Taflu Rwdins” tiene insieme una poska svedese, scritta da Eva Johansson, e una fiddle tune gallese. Prevale il tratto oscuro in “Tôn Fechan Meifod”. Il medley finale “Gŵr a’i Farch” è un cangiante medley strumentale (in cui i tre ci infilano un’insolita, per la terra cimrica, hornpipe in 3/2, di pronuncia ritmica scozzese), che conferma le disinvoltura con cui il trio sa muoversi a cavallo tra classicismo e vibrante folk. I VRï sono assolutamente da conoscere. www.vri.cymru 



Ciro De Rosa

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