La Notte della Taranta XXI Edizione, Grecìa Salentina e Melpignano (Le), 3-25 Agosto 2018

La Ragnatela e L’Altra Tela 
“Give the People What They Want”, così cantavano in Kinks nel disco omonimo del 1981 e in qualche modo questa canzone sembrava rispecchiare bene la rotta seguita da La Notte della Taranta, fino a qualche anno fa. Giunta alla sua ventunesima edizione, la rassegna salentina sembra aver invertito la tendenza, almeno per quanto riguarda il cartellone del festival itinerante. Dal suo insediamento come direttore artistico, infatti, Luigi Chiriatti ha portato avanti una linea progettuale differente, coltivando pian piano quella bella realtà che è L’Altra Tela, una sorta di festival nel festival, che vede affiancare ai consueti concerti di pizzica pizzica nelle piazze della Grecìa Salentina, un programma parallelo declinato attraverso progetti speciali, presentazioni e soprattutto showcase che abbracciano la musica tradizionale italiana e la world music internazionale. Una scommessa che quest’anno può dirsi finalmente vinta a pieno titolo non solo dal punto di vista qualitativo della proposta ma anche in termini di pubblico. In questo senso, proprio la folta partecipazione rappresenta un dato significativo, una base di partenza necessaria per dare un profilo diverso al festival itinerante: quella caratura internazionale che spesso è mancata. 
Negli anni precedenti, infatti, lamentavamo un generale decadimento qualitativo della rassegna che stava avvicinandosi pericolosamente verso un’atmosfera da sagra paesana che non le si addiceva per nulla. Del resto in estate, ed in particolare ad agosto, il Salento propone una enorme offerta proprio di feste di piazza in cui, tra un piatto di pezzetti di cavallo ed un panino, si può ascoltare un concerto di pizzica pizzica anche di ottima qualità (si veda per esempio la Festa della Bruschetta a Palmariggi (Le) con un programma di tutto rispetto). La Notte della Taranta aveva necessità di proporre qualcosa di diverso soprattutto come sfida culturale. Felicemente, quest’anno, abbiamo scoperto le piazze de L’Altra Tela sempre piene, spesso non solo nei posti a sedere ma anche con tanto pubblico in piedi intento ad ascoltare, e ci piace sottolineare il termine “ascoltare”, i vari concerti. E che concerti! Dal ben noto concept,  “Terra, Pane e Lavoro” curato da Rocco Nigro e andato in scena a Nardò, alle cinque straordinarie voci delle marocchine B’Net Houriayat Femme De Marrakech di scena ad Acaya, passando per il toccante recital “Ribelle e Mai Domata” del Circolo Gianni Bosio di Roma con la partecipazione di Sara Modigliani nella raccolta Piazza Pertini di Zollino, ai georgiani Trio Mandili, visti a Calimera. 
Pregevoli anche il prezioso progetto di Enza Pagliara dedicato alla Simpatichina presentato a Carpignano Salentino e il concerto “Soffio d’otre” di Nico Berardi, ma la vera sorpresa è stato vedere piazza Cavallotti a Cutrofiano, strapiena e rapita dalle travolgenti sonorità del rituale adorcista di Sidi Marzûq praticato dalla comunità della Banga (Tunisia) di Ifriquiyya Electrique con quel genio di François R. Cambuzat a fare da maestro delle cerimonie elettriche. Tutto questo si è piacevolmente riverberato anche ai piedi del main stage della Ragnatela con un pubblico meno caciarone e soprattutto con le bancarelle e lo struscio serale posizionate ad una distanza più ragionevole. C’è stato, così, modo di apprezzare tutto il talento dei Mandatari, freschi di pubblicazione del loro secondo disco, nella prima serata di Corigliano d’Otranto, Li Strittuli e Orchestra Bottoni ad Alessano, il progetto speciale con il vulcanico Antonio Castrignanò (ascoltatevi il nuovo Ep di cui parleremo presto su queste pagine) e Fanfare Ciocărlia, il sempre impeccabile Canzoniere Grecanico Salentino a Galatina, 
il progetto “Koinè” di Alessandra Caiulo, ma soprattutto il concerto celebrativo per i venticinque anni di Officina Zoè con la partecipazione di alcuni membri storici del gruppo come lo straordinario Claudio Miggiano e la splendida voce di Raffella Aprile, nonché di alcuni ospiti come Redi Hasa al violoncello. Ad impreziosire il programma de L’Altra Tela numerose attività collaterali dai laboratori di pizzica pizzica e cucina alle mostre “Le Menadi Danzati” dell’archeologa Anna Lucia Tempesta e “I luoghi di Renata” di Paolo Laku, passando per le visite guidate de “Il Borgo Racconta” e la imperdibile lectio magistralis su “La Puglia internazionale delle crociate. Cavalieri e dame del castello di Giangiacomo di Acaya” che Philippe Daverio ha tenuto ad Acaya. 

Il Concertone 
Proprio Daverio in un’intervista a margine della sua visita alla meravigliosa Cripta di Santa Cristina di Carpignano Salentino, ha offerto un spunto di riflessione interessante che non può non abbracciare anche e soprattutto la Notte della Taranta: “Ci sono due meccanismi per la presa di coscienza, quello punitivo che tentiamo di evitare e quello divertente e festoso che comunica più facilmente di tutti. Questo evento estivo che prende le persone e le reinteressa ad una cosa complessa, che va dalla musica alla percezione visiva e anche all’individuazione del paesaggio, e che li rende in qualche modo interessati a inventare non solo se stessi, non solo a scoprire il passato ma usare sé stessi e il passato per progettare il futuro, è un fatto formidabile”. Insomma, un festival come La Notte della Taranta, mai come in questo momento storico, è investito di una responsabilità culturale importante come vero e proprio baluardo contro l’imbarbarimento di questi anni e contro l’oblio che impongono alla memoria, base di partenza necessaria per costruire il futuro. E’ per questo che alla fine del Concertone del 25 agosto, la domanda che ci siamo posti non è stata se avesse o meno senso raccontare ancora una volta questo evento che conclude il festival, ma piuttosto fin quando riuscirà a resistere una realtà come questa. Basta guardarsi intorno per capire il lento ed inesorabile declino che vive la cultura in Italia, spinto da quel cambiamento del vento politico che, sin ora, ci ha consegnato una nazione fortemente involuta nel giro di pochi mesi. Quanto tempo i paladini del cambiamento impiegheranno per minare le fondamenta di una realtà che, a torto o a ragione, rappresenta un unicum in Italia? Insomma all’orizzonte sembrano addensarsi nuvole nere e minacciose delle quali cominciare a preoccuparsi. 
Allo stesso modo, è d’obbligo riflettere ancora una volta su come questo festival, da diversi anni ormai, sia in lotta con sé stesso per mantenere il precario equilibrio tra la primaria esigenza di preservare la tradizione innovandola e contaminandola, le ricadute economiche del territorio legate ai grandi numeri relativi al pubblico, ma soprattutto il bisogno di mantenere la posizione acquisita con la diretta della Rai. Il passaggio su una rete televisiva nazionale (e quindi anche su internet con lo streaming on demand su RaiPlay) garantisce una visibilità massima per gli sponsor ed è facile comprendere come la sua importanza sia fondamentale, considerando che i finanziamenti pubblici si sono via via assottigliati e, come detto, il futuro non promette nulla di buono. Il punto è, dunque, la ricerca degli equilibri. Cercare di offrire un prodotto televisivamente appetibile con la presenza di ospiti mainstream e di un coreografo per il corpo di ballo, senza perdere però il bandolo della matassa dal punto di vista musicale e culturale. In questo senso, significativo è stato l’apporto di Daniele Durante, direttore artistico del Concertone, 
il quale ha dato stabilità all’Orchestra Popolare trasformandola in un ensemble attivo tutto l’anno con numerosi concerti in giro per l’Italia e un disco fresco di stampa che ne cristallizza il lavoro svolto in questi anni. Tutto ciò ha creato un’architettura più solida su cui si è  innestato il lavoro dei vari Maestri Concertatori. E’ stato, così, per Carmen Consoli e per Raphael Gualazzi e ancor di più lo si è avvertito con Andrea Mirò, la quale ha approcciato il repertorio tradizionale salentino con un tocco lieve, misurato e certamente rispettoso. Come avrebbe detto qualcuno, però, tanto è stato fatto ma tanto resta ancora da fare, proprio alla luce di quello di cui dicevamo qualche riga fa. Procediamo, però, con ordine e torniamo alla sera del 25 agosto con la classica apertura del Pre-Concertone. Mentre il sole era ancora alto ad inondare di luce il barocco del Convento degli Agostiniani sono saliti sul palco i bambini del progetto Piccola Ronda ed a seguire, prima, i Ragnarock, formazione fondata da Gianfranco Salvatore e volta a rileggere il repertorio tradizionale salentino attraverso il linguaggio rock 
e poi Danilo Di Paolonicola e i Solisti dell’Orchestra Popolare del Saltarello che hanno proposto un breve ma intenso set dedicato alla tradizione abruzzese. La prima parte della serata è proseguita con l’ottima performance di Gran Bal Dub di Sergio Berardo (voce, ghironda, flauti, cornamuse e chitarra) e Madaski (elettronica e voce) con la complicità di Chiara Cesano al violino e di Roberto Avena alla fisarmonica, i quali hanno dato vita ad un travolgente intreccio tra le musiche da ballo d’Oc e i ritmi elettronici di dubstep-dance hall e techno. Il momento clou è arrivato, poi, in chiusura con il ritorno sul palco di Melpignano di Daniele Sepe, primo storico maestro concertatore de La Notte della Taranta. Capitan Capitone, accompagnato dalla sua ciurma de I Fratelli della Costa ha dato il via al suo live act con un sorprendente medley tra “Peaches en Regalia” di Frank Zappa e “Penelope” a cui è seguita una scorribanda sonora che si è dipanata tra le riletture di “I Fought The Law” dal repertorio dei Clash, “Get Up, Stand Up” di Bob Marley e brani classici del repertorio della formazione napoletana.
Il sax di Sepe e le voci di Andrea Tartaglia, Roberto Colella e Sara Sossia Sgueglia, hanno dato battaglia sul palco per circa un'ora con la complicità di Alessandro Morlando (chitarre), Tommy De Paola (tastiere), Davide Afzal (basso) e Pasquale De Paola (batteria). Le conclusive “Puselleco Addiruso” e il bis “Curnutone” dal songbook degli Squallor hanno suggellato una performance travolgente e senza dubbio tra i momenti più apprezzati di tutta la serata. Conclusa la prima parte, ha preso il via il Concertone con un momento di raccoglimento per le vittime del crollo del ponte Morandi a Genova e le dieci dell’incidente seguito all'esondazione del torrente Raganello, sul Pollino, in Calabria. La Notte della Taranta prende il via con i sindaci dei comuni della Grecìa Salentina e i rappresentanti delle componenti del sistema di sicurezza italiano schierati sul palco. E’ il cuore dell’Italia, la parte migliore della nostra terra. Proprio il tema della terra è il leit motiv del Concertone che prende le mosse dalla pizzica strumentale “Cordella”, guidata dall’organetto di Leonardo Cordella, discendete della storica famiglia di cantori e musicisti salentini, e con i tamburi a cornice di Carlo "Canaglia" De Pascali, Roberto Chiga e Salvatore Galeanda a scandirne il ritmo.
La pizzica in griko “Rilollalla” con protagoniste tutte le voci dell’orchestra ci ha condotto nel vivo della lunga notte di musica, nella quale abbiamo avuto modo di assistere alla consueta sequela di luci ed ombre interpretative che, inevitabilmente, fanno capolino ogni anno. Partiamo dalle ombre. Laddove, infatti, l’Orchestra è ormai incamminata su sentieri sicuri, molto meno lo è tutto il resto, a partire dalla scelta e dalla gestione degli ospiti con i quali non tutto è filato liscio. Veramente poco convincente è stato il tridente d’attacco napoletano capitanato da un Clementino troppo caciarone e sopra le righe sul finale e completato da Enzo Gragnaniello e James Senese (superlativo il suo sax ma completamente fuori contesto rispetto alla melodia dei brani), questi ultimi fuori fuoco nelle loro interpretazioni di “Beddha ci stai luntano” e “Na ni na”. Salire sul palco di Melpignano dovrebbe essere un privilegio per un artista e un minimo di preparazione preliminare sarebbe quantomeno auspicabile, cosa che probabilmente in questo caso non è avvenuto. Allo stesso modo un po’ troppo caricaturali (per usare un eufemismo) ci sono sembrati i Dhoad Gypsies from Rajasthan (a limite dell’imbarazzo la resa di “Fiore di Tutti i Fiori”), 
mentre eccelse sono state le prove tanto della violinista e cantante cubana Ylian Canizares (bella la sua “Ela-mu Condà”) che di LP che, dopo aver proposto il suo singolo “Lost On You” (in una bella versione spinta dai tamburi a cornice), si è destreggiata egregiamente con gli stornelli di Uccio Aloisi di “Vorrei Volare” (ma non ci è piaciuto molto l’azzardo di tradurre in inglese “Pizzicarella”). Nell’orchestra è sentita certamente la mancanza di una voce come quella di Ninfa Giannuzzi che rappresentava un valore aggiunto soprattutto per i brani in griko come ha dimostrato la discutibile versione di “Itela” di Alessandra Caiulo. La gestione degli spazi dedicati alle voci femminili ci è sembrata piuttosto ridimensionata rispetto al passato e siamo certi che avrebbero meritato di essere valorizzate maggiormente tanto Enza Pagliara, quanto Alessia Tondo. Troppo emozionato e poco abituato al grande pubblico il cantautore salentino Mino De Santis che ha proposto una incerta rilettura del canto di carcere “Cesarina” e l’autografa “Canto alla Terra”, brano inedito intrecciato a “Lu rusciu de lu mare”. 
Ultima nota dolente la pessima conclusione con “Kalinifta” costellata da errori, problemi tecnici, cadute di stile. Una baraonda generale che lascia un po’ con l’amaro in bocca. Veniamo ora alle cose alle tante cose belle viste sul palco di Melpignano. Eccellenti, innanzitutto, sono stati tutti i brani interpretati dalle voci maschili dell’orchestra con Giancarlo Paglialunga che ha cantato “La Carmina” e “Pizzica in Sol” a due voci Antonio Amato il quale a sua volta ha interpretato una bella versione di “Zumpa Ninella” e “Lu Zinzale” in duetto con Enza Pagliara. Ottima anche la prova del nuovo entrato Salvatore Galeanda dei Mandatari che ci ha regalato una travolgente e magistrale rilettura di “Pizzica di Taranto” e “Taranta di Lizzano” in duetto con Paglialunga. Che dire, ancora, di Antonio Castrignanò vero mattatore del palco con “La Caddhina”, il canto di lavoro “Mara la fatìa” e “Aria Caddhipulina” che ha raccolto come sempre l’ovazione del pubblico. Un nota di merito anche per l’orchestra con i fiati di Nico Berardi e le trombe di Frank Nemola e Davide “Billa” Brambilla spesso protagonisti nel guidare le linee melodiche insieme alle corde di Peppo Grassi, Gianluca Longo e Attilio Turrisi e i mantici di Roberto Gemma e Leonardo Cordella. Laddove gli arrangiamenti spesso hanno colto nel segno, in altri hanno un po’ deluso soprattutto sul versante ritmico lasciando in secondo piano con i tamburi a cornice. In generale, seppure senza grandi sorprese, il lavoro di Andrea Mirò è sembrato volto all’essenziale godendo, come già detto, del fondamentale contributo di Daniele Durante. Vertice di tutto il concerto è stato, poi, l’inedito “Kalos Irtate” proposto da Cesko e Puccia degli Après La Classe, un inno all’accoglienza di prepotente attualità che, a pochi giorni dal caso dei migranti bloccati nel porto di Catania su Nave Diciotti il cui sbarco è stato ostacolato dal governo italiano (rappresentato dalla partecipazione della sottosegretaria alla cultura in quota Lega, Lucia Borgonzoni), suona come un pugno sui denti in musica verso chi ci sta alimentando odio, razzismo ed intolleranza. Un grido di allarme, insomma, che viene da una terra simbolo dell’accoglienza come il Salento che ci ricorda ancora una volta come la diversità fa sempre rima con arricchimento culturale. 


Salvatore Esposito
Foto di Elena Datrino Photostudio con l'esclusione delle foto n.1,2,3,4 di Salvatore Esposito

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