The Young’Uns – Strangers (Autoprodotto, 2017)

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Tra le giovani band più apprezzare nel Regno Unito, The Young’Uns provengono dal Teeside, nord-est inglese, terra di solide radici working-class, che ha dato i natali a talenti folk come il compianto Vin Garbutt e gli The Unthanks. Il trio di ‘cantastorie’ a capella del nuovo millennio è composto da Sean Cooney e dai cantanti Michael Hughes e David Eagle. Premiati come miglior gruppo nei BBC Radio 2 Folk Awards negli anni scorsi, con il loro quarto album, “Strangers”, hanno conquistato il riconoscimento come miglior album nel 2018. Gli ingredienti del loro successo sono le armonizzazioni vocali (seguendo la lezione di The Watersons), l’accompagnamento strumentale minimale e la qualità dei testi delle storie narrate. Una notevole versione di “A place called England”, incisa da Maggie Holland, una delle artiste più note del folk revival dei ’70, mette subito le cose in chiaro: ecco da dove veniamo e quali sono i nostri punti di riferimento culturali e politici. Eppure, il brano d’apertura è l’unica cover di un album che mette l’una di seguito all’altra belle songs, uscite dalla penna di Cooney e popolate da personaggi del presente e del passato; sono cronache di gente comune, storie intime e collettive di sognatori, di eroi per caso, di certo non celebrati da monumenti o da tronfie ricorrenze pubbliche. Restando nell’attualità, in “Ghafoor’s Bus” facciamo la conoscenza di Ghafoor Hussain, il nonno partito da Stockton con un bus, acquistato a sue spese e riconvertito in una cucina da campo, con cui ha portato cibo ai migranti e richiedenti asilo di Dunkerque. Invece, in “Be The Man”, incontriamo Matthew Ogston, il cui compagno Nazeem Mahmood si tolse la vita dopo che la sua famiglia omofobica aveva rifiutato di accettare il suo legame affettivo. Qui, il violoncello di Rachael McShane (già Bellowhead), il piano di Hughes e il flicorno di Jude Abbott aggiungono pathos alla qualità emozionale del brano. Scava nella memoria libertaria “Cable Street”, imperniata sul coraggio di Johnny Longstaff, sedicenne conterraneo del trio, il quale prese parte alla famosa marcia di londinesi che sfidò la polizia in appoggio agli ebrei dell’East End, opponendosi alla feccia fascista in camicia bruna di Oswald Mosley nel 1936. Johnny combatté in Spagna dalla parte repubblicana e poi non cessò mai di essere in prima linea nelle rivendicazioni sociali. È il passato, ma è anche un monito per la realtà sempre più oscura del nostro presente. Invece, in “Carriage 12” si fa riferimento al coraggio di un gruppo di persone che nel 2015 impedirono un attacco terroristico su un treno in viaggio da Amsterdam a Parigi. Segue “Dark Water”, altro tema, ricco di pathos, dedicato alla tragedia siriana (una riuscita salvifica traversata di cinque miglia nel Mar Egeo che Hesham Modamani intraprese dopo la scomparsa di suo fratello), con Mary Ann Kennedy all’arpa e il piano di Engle, le corde degli Aldeburgh Young Musicians che accompagnano. I nostri non si fanno mancare una verve ironica nella storia narrata in “Bob Cooney’s Miracle”, un anti-fascista scozzese che partecipò alla Guerra civile di Spagna nel 1936, capace di sfamare cinquantasette persone con un tozzo di pane e una lattina di carne in scatola. Gli Aldeburgh Young Musicians si uniscono ai tre cantori. “Lapwings”, un’altra gemma, ci porta ai tempi della Grande Guerra. Tocchi di fisarmonica (Engle) abbelliscono “These Hands”, dove entra in scena Sybil Phoenix, attivista originaria della Guyana: la prima donna nera insignita della maggiore onorificenza britannica (MBE). Infine, i nostri trobadour del Teeside si congedano con “The Hartlepool Pedlar”, dedicata a Michael Marks, profugo ebreo sfuggito ai pogrom di fine Ottocento, che sbarcato a Hartlepool, finì a Leeds dove fondò il celebre Marks and Spencer. Sono tutti “Strangers” che hanno tanto da insegnarci. www.theyounguns.co.uk


Ciro De Rosa

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