Niamh Parsons & Graham Dunne - Kind Providence (Autoprodotto, 2016)

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La voce folk di Niamh (si pronunica Niìv) Parsons ha pochi eguali, il suo timbro di velluto appena velato esprime un canto ora potente ora morbido. La vocalist dublinese, nota nel nostro Paese non solo per la sua attività concertistica, ma anche per le collaborazioni con i Birkin Tree, si misura con pagine tradizionali di Irlanda, Scozia e America e con composizioni contemporanee: undici canzoni e uno strumentale di tradizione (“The Monaghan Jig”) per chitarra suonato dal partner di musica e vita, Graham Dunne, arrangiatore e seconda voce . La filosofia sonora di “Kind Providence” (il titolo proviene da un verso di “Valentine O’Hara”) è riconducibile all’estetica del “less is more”, tratto vincente che mette sul piedistallo la magnifica dizione di Niamh, il suo grande senso della melodia, la sua certosina ricerca da collezionista di materiali da interpretare. Per di più, c’è l’accompagnamento raffinato quanto misurato di Dunne, apprezzatissimo strumentista: arpeggi cristallini di chitarra, bordoni di synth ed elettronica aggiunta in studio, che assecondano le sfumature del canto di Niamh. In più il piano di Elena Alekseeva nell’evergreen “Carrickfergus”, che chiude il disco. Invece, La prima traccia “Across the Blue Mountain”, appresa da un'amica del Colorado nel 1996,  è una ballata originaria delle Blue Ridge Mountains in Pennsylvania, connubio perfetto di canto e chitarra finger-picking. Segue “The Road to La Coruna” di Maurice McGrath, che ci trasporta ai tempi delle guerre napoleoniche: un brano contemporaneo ma nello stile di una ballata antica con il tocco spagnoleggiante di Dunne. 
La versione da una broadside ballad ottocentesca di “Willie O” è mirabile, così come l’ampio ventaglio di materiale che porta la Parsons a interpretare per sola voce, con piglio gioioso, una canzone da music hall “Sweet Daffodil Mulligan” in contrasto con la tessitura più profonda che riempie i due canti tradizionali su temi tipici della tradizione orale. Nel primo, l’addio all’Irlanda cantato in “Shore of Lough Bran”, Dunne contorna la voce della compagna con bordoni elettronici e arpeggi di chitarra, nel secondo, si dispiega la voce nuda per raccontare la vicenda di “Valentine O’Hara”, irlandese delle colline Tara, soldato britannico per necessità, poi disertore e novello Robin Hood che finisce condannato a morte. A cappella, resa con voce da brividi è la song scozzese “When Fortune Turns Her Wheel”, non meno toccante per interpretazione “After Aughrim’s Great Disaster”, cronaca della disfatta giacobita contro Guglielmo d’Orange, che segnò il destino d’Irlanda. Invece, un accompagnamento caldo contorna “Lappin”, ballata contemporanea scritta da Brieg Murphy, racconto della storia di Thomas Lappin, fabbro imprigionato per aver fabbricato picche destinate all’insurrezione del 1798, contro il potere dominante anglo-irlandese e britannico. Proviene da una raccolta curata dal poeta scozzese Robbie Burns “The Slave’s Lament”, avvolta dalla chitarra che si muove su profili jazz & swing: la song fissa l’anno 1792, in cui la Danimarca, primo Paese al mondo, proibì la tratta degli schiavi. Che classe! Un disco esemplare, cercatelo. Info su www.niamhparsons.com oppure www.facebook.com/NiamhParsonsOfficial

Ciro De Rosa

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