Zephyros – Onirica (Zephyros, 2018)

Al centro del lavoro discografico degli Zephyros, due brani sono collegati fra loro senza soluzione continuità. Dalle “Siete canciones populares españolas” di Manuel de Falla, Francesco Rocco e Annamaria Moro reinventano “Nana”, trasformandola creativamente in un dialogo fra chitarra e violoncello che esplora l’ampio spazio di intersezione fra repertorio colto e popolare, per poi lasciare spazio a “Hypnos” e a esplorazioni melodiche e improvvisative ispirate al mondo arabo, sviluppate da Alessandro Tombesi all’arpa e da Alessandro Arcolin alle percussioni. Insieme, questi due temi sono un buon biglietto da visita del quartetto: repertorio prevalentemente strumentale e acustico, capacità di spaziare fra improvvisazione, armonie colte e territori folk, sapiente rilettura e arrangiamento di altri autori, uniti a un’originale vena compositiva, con due canzoni e un brano strumentale ad opera di Annamaria Moro e quattro firmati da Alessandro Tombesi. Nato nel 2010, il quartetto sa guardare al passato ed esplorare il futuro: non a caso il filo conduttore del disco è il sogno, la soglia fra il ricordo e l’immaginazione messa in evidenza anche dal testo di “Dormiveglia”. Come in “Sorridendo”, si tratta di canzoni d’amore, di testi scritti in prima persona all’interno di una forma-canzone che privilegia il dialogo tra musicisti e narrazione, senza ricorrere a ritornelli. L’album si apre con due composizioni originali di Tombesi. “Moon” da l’avvio alle danze in modo solare, per poi farsi attraversare dall’orbita introspettiva del violoncello. “Zephyros” è un nuovo arrangiamento del brano già registrato da Tombesi nel suo lavoro solista “Barene” (2011): qui si presenta in crescendo, anche dal punto di vista del sostegno ritmico, spianando la strada all’ostinato di arpa che introduce e sostiene la voce espressiva di Annamaria Moro in “Dormiveglia”, che qui ritaglia per il suo violoncello un melodico e dinamico spazio da solista, preludio alla toccante esecuzione della melodia di “Nana” e ai ricami ostinati di “Hypnos”, che incontrano come sognanti contrappunto arpa e chitarra, per poi fondersi insieme e salire di ritmo e volume nella parte finale. La voce melodiosa di Annamaria Moro ci offre sillabe senza parole quando rispunta, nel mezzo del disco, per un “Finale” che precede altri tre brani e mette in evidenza il gusto per il paradosso e la possibilità di rubare un sorriso, che è poi il tema del brano seguente, dedicato al dialogo fra violoncello e voce. Il brano più ampio è dedicato ad un nuovo arrangiamento di “Green and Golden”, splendida melodia che Ralph Towner inserì in “Ana” (1997), che qui trova nuova linfa nel dialogo fra chitarra e violoncello, a comporre un registro pienamente sognante, prima di essere richiamati al risveglio dall’intervento percussivo finale di Alessandro Arcolin. Questo sì sembra un finale perfetto per l’album, ma c’è ancora spazio per la seconda rivisitazione tratta da “Barene”. In “Dam Dun Dai” alla voce di Alessandro Tombesi si aggiungono quelle degli altri musicisti per un brano che sembra evocare un canto di lavoro senza cadere nella tentazione del far atterrare i fonemi in una qualche lingua conosciuta. L’energia che sprigiona sembra voler aiutare l’ascoltatore a salutare la fase onirica per accogliere a pieno la veglia e lo saluta con le quattro voci “nude”, compatte e in armonia, come il quartetto che le esprime. 


Alessio Surian

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