Gianmaria Testa – Prezioso (INCIPIT Records/Egea, 2019)

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A volte recensire un album, che si presenta già dal primo ascolto come un raro gioiello “Prezioso”, è molto più difficile che mettere in piedi una stroncatura; il rischio è quello di risultare stucchevoli, enfatici, ripetitivi; di perdere per strada, nell’ansia elogiativa, la ragione principale per cui si scrive una recensione: spiegare a chi legge perché vale la pena di ascoltare, comprare, condividere, cantare proprio quel disco. Però non si può non provare a rendere - anche se solo in minima parte - il senso di bellezza e benessere che, come prima cosa, dà l’ascolto di questo album di Gianmaria Testa, il nono dopo “Montgolfières”, uscito in Francia nel 1995. Un disco che nasce grazie a sua moglie Paola Farinetti e alla sapienza dell’ingegnere del suono Roberto Barillari; undici tracce messe insieme, ripulite, fatte brillare, senza l’appesantimento di alcun arrangiamento posticcio e prefabbricato. Un lavoro sapiente che ha trasformato in piccole schegge di diamante dei semplici provini. Si tratta infatti per la maggior parte di brani abbozzati e pensati per lavori del futuro o scritti inizialmente per altri artisti con cui Testa ha collaborato. Il risultato, va ripetuto, è estremamente elegante e raffinato. E al contempo emozionante e rassicurante; e se può sembrare che l’emozione dipenda pure dal fatto che l’artista non c’è più, di certo quella sensazione di dolce sicurezza che lascia dipende solo ed esclusivamente dall’opera in sé. “Prezioso” infatti rassicura sul fatto che esiste il bello, la passione gentile, l’ironia sorniona, l’indignazione essenziale, la poesia anche delle piccole cose. Grazie quindi per questo bel regalo alla discografia italiana, grazie per aver aperto uno scrigno personale e intimo, scevro da ogni traccia di volgarità. E che l’ansia elogiativa ci travolga pure. 
Appena il primo pezzo si avvia si capisce immediatamente tutto quello a cui si andrà incontro. E si arriva alla fine necessariamente commossi, ma con quella sensazione che comunque andrà tutto bene. Cosa? Esattamente non lo so. Ma so che se esiste un dio della bellezza, quello ci protegge e fa di tutto per darcene testimonianza appena può. Ad aprire l’album è infatti una canzone di rara incisività e di alto impatto poetico. Si tratta di “Povero tempo nostro”, una lamentazione su questi poveri “giorni di magra umanità che passa i giorni e li sfinisce” e di questa terra martoriata, quella in cui viviamo e che in molti calpestano. Una povera Terra che aspetta il vento della tempesta a spazzare via l’orrore dei nostri tempi. Il disco contiene anche due brani editi, ma poco noti. Il primo, “Questa pianura”, è la versione italiana di “Le plat pays” di Jacques Brel; la traduzione è di Sergio Bardotti e in effetti era contenuta nella raccolta “Bardòci” del Club Tenco, edita da Ala Bianca. Il secondo invece è “La tua voce”, un duetto davvero delicato tra Testa e la cantante brasiliana Bria Krieger. Esiste una versione di Gianmaria nel cd “Lampo”, ma questa a due è stata pubblicata solo dalla cantante, nel suo album “Navegar”, mai distribuito in Italia. Arriva dritta all’anima - ed è forse anche la più bella, sempre che abbia un senso stilare classifiche - “Anche senza parlare”, scritta per Mauro Ermanno Giovanardi e presentata al Sanremo 2015, ma giudicata troppo raffinata per il Festival. Joe ne ha fatto una versione sua per l’album “Il mio stile”, ma intanto questo provino è il frutto di un sound check con le improvvisazioni di quel vero fenomeno della natura e della musica che è Gabriele Mirabassi. 
A seguire una serie di brani immaginati e pensati per Paolo Rossi e i suoi spettacoli teatrali. Gli appunti che accompagnano la presskit dell’album ci spiegano come questi fossero davvero primi abbozzi e prime immaginazioni ed è proprio qui che Barillari ha saputo esprimere il suo meglio, perché sembrano davvero tracce da disco. C’è un po’ di tutto in questa narrazione sul filo dell’ironia e del sarcasmo gentile, caro a Paolo Rossi ma così simile anche a chi sa ridere e scuotere la testa dei piccoli mali del nostro mondo, dove le peggiori tragedie si trasformano in farse e in selfie sui Social Network. Infine due brani tratti dallo spettacolo “Italy”, ispirato dal poemetto di Giovanni Pascoli e portato nei teatri italiani da Testa e Giuseppe Battiston. Il primo è una versione della popolare “Merica Merica”, con la voce di Battiston che legge poesie di emigranti italiani; la seconda è “X Agosto”. Chi non ha studiato a scuola questa poesia, dalla storia tragica, di Pascoli? E quanti di noi l’hanno imparata a memoria senza forse comprenderne nemmeno il senso? Eppure cantata da Gianamaria Testa è una lirica che assume tutto il suo signficato, riassume tutta la sua bellezza, la rende viva, vera, attuale, nostra. Questo brano vale già da solo tutto questo album, questo viaggio prezioso tra i ricordi chiusi in cassetti e cantine. E chi scrive non può che dedicare un pensiero a Paola Farinetti, immaginando bene la fatica eppure la necessità orgogliosa di realizzare questo lavoro, di farlo uscire, di librarlo in volo, per trasformarlo in una vera liberazione. Artistica e umana. Questo è un disco prezioso davvero. E soprattutto necessario. E non solo per chi lo ascolterà. 


Elisabetta Malantrucco

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