Alessio Bondì – Nivuru (800A Records, 2019)

È un interessante programma di canzoni quello contenuto in “Nivuru”, secondo album di Alessio Bondì, cantante, chitarrista e compositore. In generale, si ha spesso l’impressione che non serva adeguarsi a qualche categoria per comprenderlo, perché è ricco di suoni differenti e organizzati nel quadro di una scrittura fluida, così come di un’esecuzione sicura e determinata. Certo, una sorta di appiglio per comprendere meglio la prospettiva di questo artista siciliano potrebbero essere il dialetto, attraverso il quale racconta e descrive un orizzonte denso di colori e forme. Ma, appunto, è solo un appiglio. Che, a ben vedere, finisce per addensare la foschia intorno alla narrazione, perché il canto e la parola attraverso cui si esprime è solo uno dei tanti elementi che emergono dalle nove tracce dell’album. Per questo è forse più importante ascoltarlo dentro la splendida armonia che disegna con i tanti strumenti che raccontano le musiche, e che richiamano un insieme di rappresentazioni che non ha bisogno di essere classificato. Perché è nuovo e comprensibile in egual misura. In altri termini, originale perché assemblato attraverso dati conosciuti. Ciò premesso, può essere comunque utile una considerazione di carattere generale, che possa aiutare l’ascoltatore a comprendere di che si tratta: l’album si deve lasciare scorrere, si deve abbracciare come un racconto articolato, indefinito e ricco di spunti, in cui ogni elemento ha lo stesso peso, e in cui se venisse a mancare ciò che è stato selezionato e posizionato si avvertirebbe (non è importante stabilire in quali termini) qualche stonatura, qualche zoppaggine. Certo, si potrebbe anche dire che la voce ha una sua (non del tutto involontaria) preminenza. Ma non nel senso che attraverso di essa si comprime una formula che potrebbe suggerirci una piccola e non consolatoria soluzione classificatrice: come a dire, ecco qui la melodia italiana o mediterranea, ecco qui la forma canzone che aderisce all’esigenza narrativa che conosciamo. No, anche quando Bondì si sofferma più attentamente sulla lirica delle sue parole (penso all’ottima “Si fossi fimmina”, oppure a “Café”, che la segue in scaletta), non lascia in secondo piano il resto del “testo”, confermando la pluralità del suo approccio, la capacità di saper comporre un linguaggio plurale, denso e trasversale. In questo quadro (forse apparentemente confusionario), la chitarra classica arpeggiata, l’applicazione di melodie vocali anche complesse, la costruzione armonica, lo studio delle strutture dei brani, l’intervento dei numerosi strumenti (dai fiati alle percussioni, dal piano al synth, dal friscaletto al bolivian flute) assumono posizioni analoghe. E ognuno, ben piantato nel flusso complessivo, sorregge qualche altro inserto. In “Café”, un brano strutturalmente duplice, questo procedimento è molto chiaro. La prima parte si presenta come una cantilena inquieta, in cui la voce individua una direzione melodica amena e, allo stesso tempo, di ampio respiro, vorticosa, delineando la tensione delle parole in modo perfetto e assorbendo la necessità di una sorta di deriva, di disorientamento: “E sono lontano ormai/ Ma che ne so se mi senti”, oppure “Quando il cuore si svuota/ Dai una lettura al fondo/ Per capire dove vada/ Per sapere dove sono”. La seconda parte, sostenuta da un ritmo serrato di percussioni e fiati e introdotta dalla parola chiave del testo “Vivimi” (la versione dialettale di “Bevimi” e, allo stesso tempo, corto circuito perfetto - come dice lo stesso autore nelle note al testo - che perfettamente diverge nell’ambivalenza tesa della struttura del brano), raccoglie la parte restante del testo dentro un andamento più marcato. Compreso dentro lo sviluppo della riflessione dell’autore (“Sono solo dappertutto/L’acqua di polpo della mia anima/ Non mi abbandona mai”), questo secondo tempo si staglia su una striscia lunga di fiati sovrapposti, che sciano sopra le percussioni contratte e il ritmo reiterato. Si può quindi concludere come si è iniziato: “Nivuru” ci obbliga a quel piacevole esercizio che consiste nello studiare i dati di base, i singoli elementi significanti di cui si compone. Insomma, uno dei modi migliori per godere dell’equilibrio che sostiene ogni brano e, allo stesso tempo, della permeabilità e dell’armonia dell’insieme. 


Daniele Cestellini

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