Paolo Carrus New Ensemble – Echi (S’ard/Egea, 2018)

Da molto tempo le forme della tradizione orale sarda hanno incontrato senza fatica il jazz, musica ormai difficile da delimitare; meticcia dalle origini, sempre più si alimenta dei suoni dei luoghi in cui si sparge. Una possibile declinazione della combinazione tra jazz e linguaggi sonori locali la offre questo ispirato lavoro, per niente scontato, del Paolo Carrus New Ensemble. Carrus, pianista, arrangiatore e compositore di origine sassarese, attivo professionalmente a Cagliari, è musicista di spessore, con alle spalle una carriera ultratrentennale: è uno dei musicisti più noti nel panorama isolano, propenso negli anni a prodursi in progetti molto diversi. La sua attenzione ai materiali etnofonici sardi ha origini lontane, non solo per il dato biografico, ma per il profilo artistico: come non ricordare la sintesi tra jazz e musica popolare realizzata in “Sardegna oltre il mare”, firmato con Paolo Fresu (1991), o in “Odras” (1998), inciso con un’orchestra di dodici elementi, con ancora Fresu in veste di solista. In “Echi”, co-prodotto dall’etichetta S’ard e da Jazzino, uno dei locali più importanti di Cagliari per la musica dal vivo, l’ottetto si avvale di una sezione fiati che allinea Giuseppe Joe Murgia (sax alto, principale solista), Dario Pirodda (sax alto), Andrea Morelli (sax tenore) , Walter Alberton (sax tenore) e Marco Argiolas (sax baritono), mentre la sezione ritmica presenta Corrado Salis (basso) e Roberto Migoni (batteria). Non secondaria l’elevata qualità fonica del disco, che vede protagonista Michele Palmas, un’autentica garanzia per esperienza, sensibilità e frequentazione tanto con la cultura musicale sarda quanto con le musiche afro-americane. Le nove composizioni di “Echi” si originano a partire da moduli ritmici e melodici tradizionali su cui il rodato ensemble (sono solo due le new entry: Murgia e Argiolas), che mostra grande compattezza d’insieme, costruisce usando scrittura jazzistica e stilemi orchestrali. La sardità musicale è riconoscibile in termini di richiami, sapori e citazioni, ma l’aderenza ai procedimenti jazzistici è prevalente; l’ottetto non si riduce a proporre forme abusate di etno-jazz. Il disco è aperto da “Ballo dispari”, rielaborazione di una cellula ritmica derivata da forme coreutiche sarde. Nel secondo brano, “Launo”, il pianoforte solista è al centro della scena, agendo da cerniera nell’evoluzione melodica e ritmica del motivo. Sono i sax a riprendere le voci del canto a tenore in “Interludio 12” – episodio tra i più riusciti – che procede aprendosi a libertà armoniche, per poi richiamare nella parte finale la struttura dei cori tradizionali. Se “Urnur” si fa apprezzare per il mutevole andamento ritmico, il successivo “Launanninnia”, altro picco del disco, presenta variazioni che richiamano la forma della ninna-nanna tradizionale. In questa esplorazione delle espressioni sonore sarde proposta da Carrus non poteva mancare la trasposizione di nodas della chitarra sarda re-inventate in “Ballo Lidio”. Con “Cammino” i sax tornano protagonisti nelle costruzioni armoniche, mentre “Sole” è un bell’accostamento di procedure jazzistiche e passaggi melodici e ritmici ancora proveniente dalla tradizione orale isolana. Il finale è “Dangos”, concepito a partire da una linea melodica di accompagnamento del canto a tenore ripresa dai fiati: la frase incontra una contro-melodia, che accoglie una forma di ballo tradizionale. La musica di Carrus arriva diretta: siamo di fronte a un compositore che porta dentro di sé la fusione, che trova sintesi efficace nelle note sprigionate da “Echi”. 


Ciro De Rosa

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