Davide Campisi – Democratica (CNI, 2017)

“Democratica” è il nuovo album di Davide Campisi, percussionista e compositore di evidente talento. Il suono dell’album richiama, in modo più o meno indiretto, una duplice attenzione alla sfera folk-popolare e a quella più “contemporanea”. Mentre la prima sfera è, per i lettori di queste pagine, probabilmente comprensibile anche solo a parole, il termine “contemporaneo” ha a che fare con un’idea evidentemente più astratta, ma che può definire (con un piccolo sforzo) il profilo di una musica che, non solo sul piano tecnico e timbrico, riconosce nella nostra contemporaneità gli elementi più rappresentativi di una condizione (sociale, culturale, politica), di una posizione, di un racconto che ha la necessità di essere, allo stesso tempo, comprensibile e incisivo. Se si ascoltano le nove tracce dell’album si ha infatti la sensazione di assistere a una selezione di parole, di suoni, (finanche) di idee, che vogliono parlarci di come siamo e di ciò che ci capita. Di ciò che succede intorno a tutti noi che condividiamo la contemporaneità, contribuendo a definirne i contorni, ma anche provando a raccontarne le sfumature e le dinamiche. Le articolazioni di questo scenario sono (se posso spingermi dentro un piano di interpretazione ideale) innanzitutto riportate all’ascoltatore attraverso le alternanze che il raccontatore definisce, con perizia e un buon grado di acume. Un’alternanza che, a un livello eminentemente estetico, si configura attraverso gli strumenti scelti per amalgamare i brani. E che, a un livello più programmatico (che ha evidentemente un riflesso anche su quello estetico), assume una forma compiuta attraverso i testi, la scelta delle storie da raccontare e dei fenomeni su cui Campisi ha posato l’occhio. Con questa premessa possiamo leggere tutto l’album come una serie di avvicendamenti, nel quadro dei quali riconosciamo, fin dal primo ascolto, un elemento paradigmatico, che assume, più di altri, un valore pragmatico. Si tratta sicuramente dell’uso delle lingue italiana e siciliana le quali, poste in un circolo narrativo sempre pregno di riferimenti al reale, generano un’interessante tensione. E, con questa, una sorta di eccitazione “testuale”, che finisce sempre per risolversi nel mescolamento degli strumenti, ma che, allo stesso tempo, riesce a espandere al massimo la forza di tutti i codici utilizzati. Ovviamente – proprio in ragione della coerenza progettuale di “Democratica” – non si creano mai due poli nettamente distinti. Sì, ci sono brani cantati in italiano e brani cantati esclusivamente in dialetto. Ma, a ben vedere, questa dicotomia ha uno scopo narrativo (ha una sua funzione, cioè, in ragione della coerenza generale dell’album) e non ha un vero e proprio legame con la scrittura e, soprattutto, con l’idea che amalgama tutti i brani. Perché (io credo) ciò che si racconta ha in sé il peso di innumerevoli dicotomie, o meglio di irriducibili irregolarità. E cantarne e suonarne una sua rappresentazione in modo efficace significa non solo comprenderlo, ma (visto che anche questo fa l’artista) riuscire soprattutto a renderlo in modo convincente. E Campisi ci riesce, apparentemente senza troppi sforzi, anzi con una piacevole naturalezza che sospinge l’album su un livello di scrittura molto alto. Tra i brani migliori ce ne sono un paio verso la fine che possono rappresentare al meglio quanto espresso in queste righe. Il primo è “Joca”, nel quale il tamburo a cornice la fa da padrone e stende uno strato percussivo e melodico su cui la voce si stende con il massimo dell’agio, pur in un quadro ritmico molto serrato. Sebbene il tamburo definisca un panorama sonoro di carattere popolare, l’atmosfera del brano è pienamente contemporanea, allo stesso tempo astratta e radicata. L’altro è “O’scià?”, in cui la tensione è affidata alla compresenza di batteria e marimba. 


Daniele Cestellini

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