A.T.A. – Acoustic Tarab Alchemy (Odradek Records, 2018)

Entrambi di derivazione araba, “tarab” e alchimia sono concetti impegnativi. Il primo fa riferimento all’estasi, allo stato emozionale prodotto dall’interpretazione musicale di un testo, il secondo è il sistema filosofico esoterico divenuto metafora di processo trasformativo e di fusione di elementi per nobilitarli. Houcine Ataa (canto), Gaia Possenti (piano), Bruno Zoia (contrabbasso a cinque corde) e Simone Pulvano (percussioni) hanno scelto l’acronimo A.T.A., contenente le due parole oltre che il riferimento alla dimensione acustica dell’ensemble, per esplicitare un progetto che si configura come esperienza di condivisione, di creazione di nuovi spazi sonori in cui si muovono quattro artisti di diversa estrazione. Originario di Tunisi (classe 1971), Houcine è il cantante dell’Orchestra di Piazza Vittorio ha appreso l’arte del canto da piccolo grazie a suo padre Mouhamed, noto cantante della tradizione sufi della Sulâmiyya. Da tanto tempo in Europa, ha avvertito l’urgenza di provare a fondere la sua cultura canora con le musiche respirate da questa parte del piccolo mare. L’ottima pianista Gaia Possenti ha estrazione classica e jazz, ma è pronta alle sfide, tant’è che nelle note dell’album dichiara che A.T.A. è «un’esperienza unica perché non mi ero mai confrontata con un approccio e un linguaggio musicale, quello della world music, così diverso da quello “accademico” al quale ero abituata. Con Houcine, Simone e Bruno sono salita su una “carovana” di suoni e immagini per me nuovi ed indimenticabili. Mi piace pensare a questa “carovana” e visualizzarla mentre si espande sempre di più, ospitando quante più persone vogliano parlare e ascoltare questa particolare forma di esperanto musicale che abbiamo creato insieme, cercando di unire Oriente e Occidente attraverso la musica". Aduso ai modi e alle ritmiche del mondo arabo è il versatile percussionista Simone Pulvano (Takadum Orchestra), che padroneggia tamburi a calice e a cornice. Infine, in questo «viaggio appassionato», come lo definisce nella presentazione, si è imbarcato Bruno Zoia, il quale ha un composito percorso, sparso tra classica, jazz e world music (Cadira, Mish Mash, Hot Club de Zazz e Tangeri Cafè Orchestra) e che qui firma i due strumentali del CD: il breve “Ali” e “Il volo di Icaro” (dalla fisionomia Oriental jazz, in cui è partecipe il violino di Juan Carlos Abelo Zamora). I brani collocati in apertura di disco, “Kolo Koloub” e “Tatira”, rappresentano al meglio le architetture sviluppate intorno alle vocalità sempre ispirata, segnata da vibrato e melismi, con cui sono portate le antiche liriche di tradizione sufi, il pianismo libero ma attento alle sfumature canore e rispondente alle sollecitazioni vocali di Houcine, all’occorrenza incisivo sul piano ritmico, mentre le corde e le pelli assecondano sul fronte ritmico il canto del tunisino. Ha un andamento lirico ed intimo il primo tema completamente originale dell’album, “Fattouma” , il cui testo è scritto da Houcine Ataa. Con “Badama” e “Salemi” ritorniamo su sentieri dello spiritualismo islamico in conversazione con la vocazione strumentale occidentale. Invece “Ya Latif” (testo di Sidi Mohamed Al Jazahiri, Mohamed Ben Hasan Ben Faraj Tuhemi) si affida al vibrato e ai guizzi del canto, che si eleva per poi appoggiarsi sulle percussioni e sull’iterazione corale. Dopo i due strumentali, entra il classico cinematografico “Ya Msafer Wahdak” (su liriche di Housine Al-Said e musica di Mohamed Abdel Wahab), portato in dote anche da Oum Kalthoum. Il quartetto si congeda con la baldanzosa “Mok Felaja”, di nuovo un numero scritto da Ataa su musiche del quartetto. Sentieri suggestivi. 


Ciro De Rosa

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