L.A. Salami – Dancing With Bad Grammar (Sunday Best, 2016)

L.A. Salami non è una norcineria californiana, né lo pseudonimo di un rapper proveniente dal ghetto della popolosissima città della west coast, ma il nome vero (L.A. è l'acronimo di Lookman Adekunle) di un cantautore folksy londinese, nigeriano di origine, che con il suo “Dancing with Bad Grammar”, suo primo disco a lunga durata ma preceduto da una pletora di singoli e EP, marca il suo nome fra quelli da seguire con attenzione per il prossimo futuro. Leggendo i testi, e abbinandoli alla biografia del musicista, non viene da stupirsi se L.A. nasce scrittore e poeta, più difficile credere che abbia preso in mano una chitarra per la prima volta all'età di ventuno anni, cioè appena sei anni fa. Salami definisce la sua musica postmodern blues, anche se ad ascoltare con attenzione il disco, troviamo il giovane cantante afro-britannico debitore verso altri tipi di musica: Dylan fa capolino un po' ovunque, soprattutto nelle ballate in cui si accompagna oltre che alla chitarra, all'armonica, così come Nick Drake, specie dove la chitarra dipinge atmosfere sognanti con accordi aperti e armonizzazioni inusuali, o Beck, ma anche a certo pop britannico classico (quel fil-rouge che lega i Beatles a Paul Weller); l'approccio ai testi, spesso di invettiva ma sempre confezionati in maniera elegante e poetica, lo fa rassomigliare a Garland Jeffreys e l'urgenza di alcune parole, scagliate come sassi, sono tipiche di certo hip-hop, genere che lo stesso musicista dice erede contemporaneo del folk e del blues, ma anche nell'uso “creativo” della metrica è il menestrello di Duluth il rimando principale. Probabile candidato al podio di “The next Bob Dylan” o di “Bob Dylan nero”, quella del giovane anglo-nigeriano è però una proposta originale che alza il livello delle ultime annate del cantautorame acustico britannico. Voce educata, che in poco o nulla rimanda alle proprie origini africane, anche grazie alla marcata inflessione londinese, picking alla chitarra semplice ma estremamente efficace (vedi la drakeiana “& Bird”), è nei testi che il giovane L.A. raggiunge risultanti insperati, a partire dal singolo “The City, Nowadays”, traccia che si stacca molto dal mood sonoro del resto del disco, nonchè l'unico brano dove hip-hop, funk e persino un coro gospel fanno ricordare l'origine nera dell'artista. Nel brano, Salami si scaglia contro la società del consumo dove arte, cultura, musica e politica sono mercificate e ridotte a un enorme fast-food. Di tutt'altro tenore le belle ballate acustiche “Going Mad As the Street Bins”, “Day to Day” (già presente nel precedente EP, intitolato programmaticamente “Prelude”), “Loosley on My Mind” (il racconto di un teppista che diventa assassino per il gusto di uccidere), dove però disagio, emarginazione e violenza vengono raccontati sempre in una poesia che ha un forte retrogusto di cinismo. La preferenza del sottoscritto va a “I Can't Slow Her Down”, perfetta nella scrittura, nel crescendo dell'orchestrazione e nel testo, davvero un brano destinato a diventare un classico. Altro brano da ascoltare è “Why don't You Help Me”, con, ancora una volta, il Drake di “Parasite” a fare da convitato di pietra e un'atmosfere psychedelica a ricordare il miglior Robyn Hitchcock. Un disco vario e di ottimo livello. Assolutamente da ascoltare, per un artista che, è, in prospettiva, sicuramente il miglior artista uscito negli ultimi anni dai circuiti “off” albionici. 


Gianluca Dessì

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