Ethnoi, Pesco Sannita (Bn), 26-30 ottobre 2016

Alla fine di ottobre, in un momento dell’anno che sfugge all’ingolfamento di eventi che spesso caratterizza il periodo estivo, si è svolto il festival delle minoranze culturali ed etnolinguistiche Ethnoi, ideato dal CEIC-Istituto di Studi Storici e Antropologici diretto dall’antropologo Ugo Vuoso. Per valorizzare la bellezza dei piccoli paesi, poco conosciuti e molto lontani dalle rotte del turismo organizzato, nel suo percorso il festival ha scelto sempre ambientazioni in borghi delle zone interne (nel corso degli anni è partito da Greci in provincia di Avellino ed ha toccato per tre edizioni S. Marco dei Cavoti nel Fortore beneventano). Giunto alla sua decima edizione, il festival è approdato ancora in provincia di Benevento, a Pesco Sannita, un bel borgo situato a 300 metri di quota, affacciato sulla valle del fiume Tammaro e popolato da poco meno di 2000 abitanti. Pesco Sannita era un castello che, esistente già dal tempo dei Longobardi, visse il suo momento di gloria in epoca normanna. Allora, infatti, unico tra i castelli normanni che circondavano Benevento, grazie alla difesa opposta da un centinaio di uomini agli ordini del feudatario Roberto della Marra, riuscì a resistere all’attacco di Rolpotone di S. Eustachio, contestabile della città, e di Rainulfo, conte di Avellino ed Airola. 
Chiamato anticamente Pesclum, cioè macigno, poi Pesco, Lo Pesco, Lo Pesco de la Marra- in omaggio all’eroico feudatario Roberto-, Pescolamazza (quest’ultima, trasformazione grafica di Pesco della Marra), il nome venne cambiato in Pesco Sannita nel 1947. Oggi il paese presenta un bel centro storico in pietra di recente rinnovato, con mura medievali inglobate nelle abitazioni, una torre di avvistamento, l’antico palazzo baronale dei Carafa e, vicino, palazzo Orlando e la grande piazza Umberto I. Il territorio circostante è prevalentemente agricolo, punteggiato da olivi dai quali si ottiene olio extravergine. Di notevole importanza è la devozione a Santa Reparata Martire, il cui corpo è conservato in una cassa di legno e cristallo nella chiesa del S.S. Salvatore.  In questo luogo carico di storia e tradizioni, Ethnoi ha proposto un articolato e ricchissimo programma di convegni, seminari, mostre, concerti, anche con un’originale rassegna di teatro di narrazione, “Fabula”, probabilmente unica nel Sud Italia. “Fabula” ha ospitato spettacoli che hanno preso spunto da fiabe, racconti e leggende della tradizione italiana e internazionale, proposti grazie agli attori-narratori-ricercatori tesi a recuperarne linguaggi, contesti e valori.  
Reinterpretare il mondo della fiaba tradizionale significa restituirne tutta la potenza espressiva, così contastorie, griot, narratori professionali, si sono alternati in scena: Sergio Diotti con “Il ciclo del fulesta, ovvero L’uomo che racconta le favole”, Moustapha Dembélé con “L’arte del griot”, Alberto Nicolino in “Le fiabe sono vere”, Caterina Pontrandolfo con “Storie lucane”, Alessio Di Modica con “Etna. Storie popolari alle pendici del vulcano” e Fioravante Rea con “Come in mare così in terra. Racconti di potere e uomini liberi tratti da fiabe e da leggende popolari mediterranee”. All’interno di questo contenitore culturale, i numerosi convegni ed appuntamenti tenuti nella sala consiliare, nei quali sono stati relatori studiosi, ricercatori, docenti universitari, rappresentanti di associazioni, esperti del MiBACT e figure istituzionali, hanno avuto come tema, tra gli altri, “Minoranze indigene, globalizzazione e diritti umani”, “Religione e intercultura”, “La Turchia e il Mediterraneo”, i “Parchi Etnolinguistici d’Italia”, le “Minoranze linguistiche: la diversità come valore”, i “Patrimoni culturali immateriali e sviluppo del turismo sostenibile nei centri minori”, i “Musei etnografici”. Un focus particolare è stato dedicato alla lingua e alla cultura estone. 
Tra i numerosi, culturalmente interessanti e suggestivi concerti, il 28 ottobre si è tenuto “Il ritmo della felicità” curato da Carlo Faiello, in collaborazione con il Dipartimento di Musica Popolare di Vallo della Lucania, sede distaccata del Conservatorio di Salerno. “Uno spettacolo-concerto per riannodare i fili della Memoria che ci legano alla vita, alla festa, alla gioia” è scritto nelle note di presentazione, nel corso del quale sono intervenuti la Tarantella del Carnevale di Montoro e la Tarantella di Montecalvo Irpino diretti da Valerio Ricciardelli. Per quanto riguarda gli eventi che abbiamo potuto seguire per “Blogfoolk” nel corso dei cinque giorni in cui si è articolato il festival, abbiamo individuato un personalissimo filo conduttore tra i concerti e gli spettacoli della rassegna di teatro “Fabula” -in realtà dettato in gran parte da limitazioni di tempo da parte di chi scrive-, che qui viene articolato in una sorta di diario giornaliero. 

27 ottobre 
Moustapha Dembélé, griot nato e cresciuto in Mali, ha partecipato alla rassegna “Fabula” con lo spettacolo “L’arte del griot” e, subito dopo, ha tenuto il concerto di musica africana contemporanea “ Nanalè” insieme a Marco Ponta (chitarra acustica) e Andrea Petrone (percussioni). Il concerto di Dembélé, attraverso la proposta di brani tradizionali e di composizioni originali, ha affrontato i temi della vita quotidiana nel Mali, della nostalgia verso il suo paese afflitto dai divieti imposti dalla sharìa, schierandosi contro la guerra. Dembélé ha suonato diversi strumenti tradizionali: kora, balafon, tamani, tutti realizzati da lui insieme al fratello. Dolcissimi e struggenti, al tempo stesso solari e vitali, i brani presentati. Nel concerto, emozionante e a tratti commovente, il musicista ha saputo coinvolgere sapientemente il pubblico. 

28 ottobre 
Caterina Pontrandolfo, straordinaria cantante e attrice lucana, in Folk Trio con Paolo Del Vecchio (chitarra e bouzouki) e Francesco Paolo Manna (percussioni), ha presentato il concerto-narrazione “Storie lucane”, al quale ha prestato la sua voce potente ed espressiva e il suo talento da interprete ricco di emotività. La performance è iniziata con la sua sola voce proveniente dal retro palco; su una sedia, abbandonati, un velo bianco e una leggera sciarpa rossa. 
Due strumentisti accompagnano il canto con fischietti, sonagli e bouzouki. Quando appare lei, è vestita di nero e bianco, avvolta in una lunga gonna e uno scialle. Il concerto è iniziato con “Lu nigghie”. È il tempo del grano, con la mietitura e la trebbiatura ma, trascorso il tempo del lavoro, arriva il tempo dell’amore cantato in La zita in un’energica accezione folk-blues. Nel suo recital l’artista lucana ha tratteggiato il ciclo del lavoro contadino e quello sociale del mondo rurale con le nascite e i lutti, soffermandosi particolarmente sul mondo femminile. Così, in questo ciclo, a novembre si raccolgono le olive, a dicembre arriva Natale. «In un racconto di Carlo Levi si narra che nella quindicina precedente al Natale i ragazzi costruivano il cupa cupa e nelle case si preparavano le frittelle», ricorda la Pontrandolfo. Un altro momento importante nella comunità era il matrimonio: “Fronni d’alia attaccati li tricce”, viene interpretata drammaticamente grazie alla gestualità della cantante ed attrice, per far affiorare la rabbia della giovane donna costretta a sposare un uomo che non ama. In un crescendo espressivo ed emotivo la Pontrandolfo ha interpretato la ninna nanna cantata da una madre al figlio che non ha potuto salvare; quasi distesa per terra, abbracciata al tamburo, ha saputo incarnare grazie alla potente visceralità dell’espressione fisica, la disperazione di una madre: «Durme figghie meu/L’angelo a capo e la madonna a capo/Ohi figghio mio/Chi se l’ha pigghiato»
Nel recital sono stati proposti anche i caratteristici canti all’altalena come “Madonna quant’è jirti stu palazzo”. In primavera arriva maggio, il mese della Madonna, con i pellegrinaggi a piedi e un omaggio cantato a Maria. Il recital si conclude con “All’America voglio gghì” e Caterina, insieme ai sapienti, delicati musicisti che la supportano, si congeda dagli spettatori lasciandoci avvinti, incantati e storditi dalle tante emozioni che lei ci ha fatto rivivere. 

29 ottobre 
Quattro musiciste mettono al centro del loro concerto il rapporto tra amore, cibo e vita: è La Banda della Ricetta, che ha proposto un interessante e, al tempo stesso, divertente excursus tra brani della musica popolare oppure composizioni di cantautori, che hanno come tema il cibo. Si inizia subito con la canzone livornese “Fagioli ‘olle ‘otenne” del repertorio interpretato da Caterina Bueno, a seguire “Il Baccalà” del cantautore francese Nino Ferrer, “Pasta nera”, pasta di terza qualità che i poveri mangiavano nel dopoguerra, di Matteo Salvatore, “La cicoria” e “’O cafè” di Domenico Modugno, “Il vino” di Piero Ciampi, “’A dieta” di Nino Taranto, accanto al tradizionale “La cena della sposa” e a brani strumentali. Clara Graziano (voce e organetto), Valentina Ferraiuolo (voce e tamburelli), Teresa Spagnuolo (clarinetto), Flavia Ostini (contrabbasso e banjo) hanno raccontato la ricetta della “ribollita”, hanno cantato e suonato con garbo e simpatia in un crescendo implacabile che ha travolto il pubblico. 
Contemporaneamente, la sala si è riempita degli effluvi provenienti da una cucina su cui, a vista, sono state preparate pietanze in diretta che poi sono state condivise con tutti i presenti. 

30 ottobre 
Grazie ad una bella mattina di sole, in Piazza Umberto I si è tenuto “Kunsertu. Danze, musiche e costumi delle minoranze culturali e linguistiche”, con la partecipazione del gruppo folk internazionale Laurianum di San Castrese (CE) e del gruppo folk di S. Marzano di S. Giuseppe (TA) dalle tradizioni albanofone. Le due formazioni hanno sfilato nelle strade del paese nei loro magnifici costumi ed hanno cantato e ballato brani tradizionali. Nel pomeriggio, per “Fabula” l’attore Fioravante Rea ha proposto “Come in mare così in terra”, il racconto di una favola di terra e di una favola di mare dalla tradizione meridionale: L’auciello grifone e Colapesce in un recitativo che ha catturato totalmente l’attenzione grazie al racconto e attraverso un efficace uso del gesto, della mimica facciale e dello sguardo. In serata Ambrogio Sparagna e i solisti dell’Orchestra Popolare Italiana del Parco della Musica di Roma, si sono esibiti sul palco in piazza Umberto I nel bel concerto “Echi pimmena. Suoni e canti dalle altre lingue italiane”. Sono stati proposti brani delle tradizioni di minoranze etnolinguistiche che hanno fondato comunità in Salento, in Sicilia, in Calabria e che ancora oggi parlano la lingua grika, arbereshe, gallo-italica. 
“Echi pimmena”, “Iliemu”, “Aremu rindineddha” sono alcuni dei brani interpretati dalla bella voce di Eleonora Bordonaro con Erasmo Treglia al violino, torototela, ghironda, ciaramella, Arnaldo Vacca ai tamburi a cornice, Cristiano Califano alla chitarra e, naturalmente, Ambrogio Sparagna con il suo inseparabile organetto. Il musicista ed etnomusicologo è stato insignito del premio Ethnoi 2016 per la promozione del patrimonio culturale immateriale. Un festival dall’ottima programmazione, Ethnoi è risultato ben organizzato anche nell’utilizzazione dei diversi spazi messi a disposizione dall’amministrazione comunale, misurato nel proporre l’alternanza e la scansione temporale tra i diversi eventi in programma. Svolgendosi in un periodo dell’anno meno idoneo ai concerti all’aperto e più libero da eventi spesso in sovrapposizione, ha molto coinvolto gli studenti delle scuole superiori i quali avranno potuto sperimentare direttamente la partecipazione a eventi coinvolgenti e di spessore culturale; i maggiori stimoli per loro, molto probabilmente, sono giunti proprio dalla rassegna di teatro narrativo. La qualità della programmazione è alta, sulla partecipazione si può migliorare ulteriormente, puntando ancor più sulle scuole la cui presenza è parte integrante e fondamentale della proposta, ed anche sul coinvolgimento di associazioni ed operatori del territorio. 


Carla Visca
Foto di Carla Visca

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