La luna, i calanchi e l’alba necessaria

«Canti e teatro al posto delle betoniere ...» propone Franco Arminio, scrittore, paesologo e ideatore e direttore del Festival “La Luna e i Calanchi”, per garantire un futuro ai nostri piccoli paesi sempre più marginalizzati. Ma anche «Terra e cultura più che cemento e uffici. Prodotti tipici da consumare non solo nelle sagre... Svuotare le coste e riportare le persone sulle montagne. Sistemare le strade provinciali, togliere le buche, restaurare i paesaggi, le pozze d'acqua per gli ovini, ripulire i fiumi, i torrenti...», parole d’ordine messe in bell’evidenza nell’home-page del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del Governo, perché rappresentano in sintesi proprio gli obiettivi della Strategia nazionale per le aree interne per l’utilizzo dei fondi europei nel settennato 2014-2020. Insomma, se pensavate che il Festival della Paesologia che da quattro anni si svolge ad Aliano in Basilicata a fine agosto è una delle tante rassegne estive di musica, teatro e arti varie, siete completamente fuori strada. Qui si elabora un prototipo di futuro, si allestisce un laboratorio politico, si confrontano sguardi, visioni. Del resto basta dare un’occhiata al programma per rendersi conto della varietà di incontri, dibattiti, scambi, escursioni che si alternano a spettacoli, concerti, ma anche a silenzi condivisi, passeggiate notturne, letture poetiche. 
Il progetto per un nuovo umanesimo delle montagne, sempre per dirla con Franco Arminio, prende corpo ad Aliano, paese dove fu confinato Carlo Levi ed ora vi è sepolto, perché l’arretratezza e la povertà di quel Sud descritto nel “Cristo si è fermato a Eboli” possono essere elementi di ricchezza, risorse per il futuro. Matera, ad esempio, considerata per decenni una vergogna nazionale, è stata la prima città del meridione ad essere nominata patrimonio dell’umanità e nel 2019 sarà capitale europea della cultura. Ad Aliano nei giorni del Festival, ma anche nella Casa della Paesologia inaugurata lo scorso dicembre a Trevico in alta Irpinia, si coltivano idee, ci si scambia pratiche, si ragiona del passato per immaginare il futuro, non si indugia sul tramonto per prepararsi alla notte, ma ci si riunisce la notte per condividere l’alba. Ad Aliano si prova anche a rinnovare il vocabolario, a inventare parole nuove, a sperimentare scritture inedite, a perlustrare altri orizzonti per individuare punti di vista sghembi, a ribaltare luoghi comuni. Sono esercizi per nulla semplici, spesso solo abbozzati, ma la comunità che qui si ritrova questo lo sa, è ben conscia di affrontare una sfida complessa in un campo in cui convivono termini come sviluppo e decrescita, velocità e lentezza, una sfida da combattere in fretta, ma con molta pazienza. 
Perché si è altresì coscienti di aver intrapreso una strada molto stretta fra gli agguati dei fantasmi di vecchie e distruttive politiche di sviluppo e le suggestioni dell’estetica delle rovine e delle teorie dell’abbandono. Ad Aliano si è scelta la via maestra della ricucitura di una memoria collettiva di una sorta di città diffusa, frutto delle storie individuali di ogni singolo paese, delle diverse identità del nostro Appennino, delle sue fragilità, della sua geografia rugosa, delle sue bellezze troppe volte sacrificate sugli altari di improbabili politiche industriali rivelatesi quasi sempre fallimentari. Ma da Aliano, dal sud e dalle aree interne si continua ad andare via, restano solo i vecchi. E se l’obiettivo di chi viene al Festival della Paesologia è proprio l’inversione di questa tendenza, la cura più efficace sembra essere sintetizzata in quelle parole di Franco Arminio riprese dalla Strategia nazionale per le aree interne fortemente voluta dall’ex Ministro per la Coesione Fabrizio Barca. Il Festival, anzi la Festa della Paesologia, come scrive Angelo Mastrandrea sul “Il Manifesto” del 30 agosto scorso, è «Il maggiore evento poetico-politico del Mezzogiorno d’Italia (con tutto il rispetto per le notti della taranta e le decine di festival pur interessanti che intasano la stagione turistica a sud di Napoli)»
È un’occasione sicuramente unica e originale in cui la poesia, la musica, il teatro, le arti performative si intersecano con i temi ambientali e della sostenibilità dello sviluppo, con le opzioni energetiche, la tutela del paesaggio e le estrazioni petrolifere, in cui si levano canti dedicati alla luna che sale all’orizzonte sullo sfondo argilloso dei calanchi, per l’appunto. È una festa in cui si mescolano musiche tradizionali acustiche (alla rinfusa i Damadakà, Caterina Pontrandolfo, Saba Anglana, Orchestra Bottoni, Fiordispina, Carmine Ioanna, Terrae, Musaica, ecc.) e pop elettrico, i canti di Otello Profazio e le invettive di Vittorio Sgarbi, in cui spesso si vaga disorientati fra i vicoli silenziosi del paese, attratti da una mostra fotografica o da un’installazione sonora, ognuno seguendo una sua trama, una sua personale narrazione. Una cosa è certa. Quand’è l’ora, quasi per magìa, ci si ritrova tutti ad aspettare il sorgere del sole perché qui ad Aliano, per i costruttori di una nuova civiltà del vento, della terra e del silenzio, la solennità dell’alba è necessaria. 



Canio Loguercio * 

*Canio Loguercio, musicista, poeta, architetto, performer. Lucano di nascita, napoletano d’adozione, è stato finalista a tre diverse edizioni del Premio Recanati per la canzone d’autore, ha collaborato con vari musicisti ed ha pubblicato numerosi CD. Conduttore, regista e autore di programmi con la RAI, consulente artistico ha ideato e realizzato numerosi progetti musicali, promosso iniziative interculturali, fra cui Kufia-canto per la Palestina, Trasmigrazioni, la costituzione dell’Orchestra di Piazza Vittorio, la campagna ONU Prima della Pioggia, a sostegno di microprogetti in Africa, un appello internazionale per una nuova legge per la tutela ed il restauro eco-sostenibile dei Sassi di Matera. A “La Luna e i Calanchi” 2015, Loguercio ha partecipato con “Studio per la messinscena di uno smarrimento fra l’Appennino Lucano e una canzone d’ammore” con Alessandro D’Alessandro all’organetto e la partecipazione dell’archeologo Emmanuele Curti.
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