Giovanni Salviucci – 1933-1937 (Nota)

Quasi fosse una supernova, la breve ma luminosissima parabola artistica di Giovanni Salviucci è ancora oggi poco nota anche agli appassionati di musica classica, sebbene in vita fosse stato considerato, al pari di Dallapiccola e Petrassi, come uno dei massimi esponenti della musica contemporanea italiana dei primi del novecento. Nato a Roma nel 1907 da una famiglia di musicisti, Salviucci sin da giovanissimo seguì un personale quanto particolare percorso di formazione, studiando dapprima sotto la guida di Ernesto Boezi, che lo aveva educato alla polifonia vocale classica e successivamente presso il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma. Nel 1931, poco prima di dare gli esami al Conservatorio prese alcune lezioni di composizione da Alfredo Casella, il quale gli trasmise la sua originale visione del neo-classicismo musicale, tuttavia ancor più importante per la sua formazione fu la frequenza, dopo il diploma, della classe di perfezionamento in composizione di Ottorino Respighi, dal quale apprese la tradizione strumentale e la scrittura del Poema Sinfonico. Fu in quegli anni e proprio tra le mura del Conservatorio che conobbe la sua futura moglie Iditta Parpagliolo, e Alfredo Casella, che lo coinvolse a pieno nella realtà musicale contemporanea di quegli anni. Animato costantemente da una incredibile urgenza creativa, il musicista romano nell’arco di quattro anni scrisse opere come la “Sinfonia da Camera”, “Introduzione, Passacaglia e Finale”, “Alcesti”, e la splendida ed ardita “Serenata”. Purtroppo nel 1937, Giovanni Salviucci, all’età di soli ventinove anni morì stroncato da un male allora incurabile, proprio mentre si apprestava a scrivere un’opera teatrale, di cui è rimasto solo l’ “Introduzione per Coro ed Orchestra”. Dopo la sua scomparsa, diverse sue opere vennero eseguite sotto la direzione di interpreti di altissimo livello come Mario Rossi, Gianandrae Gavazzeni, Fernando Previtali, e Carlo Maria Giulini, che in diverse occasioni ripropose “Introduzione, Passacaglia e Finale” all’interno dei suoi concerti per il biennio 1970-71 riscuotendo soprattutto all’estero un grande interesse anche all’estero. A tali ricordi dal punto di vista concertistico, non corrispose mai una degna documentazione discografica, fatta eccezione per alcune pubblicazioni sporadiche curate dai Fratelli Fabbri e ormai da tempo introvabili. A mantenere viva la sua memoria sono stati diversi direttori d’orchestra come Bruno Aprea, Francesco Lanzillotta, Stefano Cardi e Paolo Vaglieri, i quali hanno più volte eseguito alcune sue opere, tuttavia mancava un disco che in qualche modo compendiasse la sua produzione, e a colmare questo vuoto è arrivata di recente la splendida antologia “Giovanni Salviucci 1934-1937”, curata dal musicologo Pier Paolo De Martino e che mette insieme quattro delle opere principali del musicista romano, provenienti dall’archivio della figlia Giovanna Salviucci Marini, ben nota per essere anch’essa una grande compositrice oltre che ricercatrice nell’ambito della musica popolare. Ad aprire il disco è “Serenata per Nove Strumenti”, l'ultimo lavoro di Salviucci, composta su commissione del Gruppo Strumentale Italiano, piccolo complesso costituito da Guido M. Gatti, che la eseguì per la prima volta sotto la direzione di Nino Sanzogno il 7 settembre 1937 al Festival di Venezia, esattamente tre giorni dopo la morte precoce dell'autore. La registrazione presente nel disco è quella pubblicata nel 1967 nella collana “La Musica Moderna” dei Fratelli Fabbri ed eseguita dal Complesso del Circolo Musicale “Arturo Toscanini”. Si tratta di tre movimenti di grande vivacità ritmica, affini per certi versi alle composizioni di Stravinski, caratterizzati da un intreccio polifonico di grande suggestione, nel quale brillano le diverse timbriche dei nove strumenti ovvero flauto, oboe, clarinetto, fagotto e tromba, quartetto d'archi, che nel loro insieme formano un unicum molto elaborato dal punto di vista dei contrappunti. La sua scrittura libera, quasi anarchica, svela un linguaggio musicale molto personale ed introspettivo fatto di linee armoniche ardite, che trasmettono un approccio denso di amore per la vita come nel primo movimento “Allegro Molto”. La gemma della Serenata è il movimento centrale, “Canzone Andantino”, nel cui tema in do diesis minore si riflette uno stato di sofferenza intensa e quasi fosse una catarsi interiore alla fine si intravede un bagliore di speranza. Speranza che giunge a manifestarsi come felicità intensa nel terzo movimento “Allegro”, tuttavia nelle ultime otto battute finali il dolore e la sofferenza tornano a ripresentarsi in modo violento, quasi aleggiasse nell’aria un presagio di morte. Segue poi l’ “Alcesti” episodio per coro ed orchestra, nella splendida e toccante versione registrata il 27.02.1988 dall’Orchestra Sinfonica e dal Coro della RAI di Roma, con la direzione di Gianandrea Gavazzeni. Oltre alla particolarità di contenere il testo tradotto dall’originale di Euripide dallo stesso Salviucci, ciò che colpisce di questa composizione è come l’autore, sia riuscito a fondere teatro e musica insieme in un tutt’uno armonico affiancando un madrigale drammatico per coro ed orchestra, all’esaltazione del sacrificio della sposa perfetta. Completano l’antologia altre due interpretazioni storiche già pubblicate nella collana Storia Della Musica dei Fratelli Fabri negli anni ottanta, ovvero la ben nota “Introduzione, Passacaglia e Finale” del 1934, diretta da Pietro Argento ed incisa dall’Orchestra Sinfonica della Rai di Torino il 13.11.1964, e la “Sinfonia Da Camera Per Diciassette Strumenti” del 1933, e registrata il 30.01.1962 dall’Orchestra Scarlatti della Rai di Napoli con la direzione di Franco Caracciolo. Siamo di fronte così a due ulteriori esempi, di come Salviucci nel corso della sua breve esistenza artistica, partendo dall’influenza di Respighi, abbia cercato in modo rigoroso e costante, una via compositiva sempre più personale ed originale, nella quale la mancanza totale di artifici stilistici corrispondeva ad un particolare gusto per l’orchestrazione e il contrappunto. Grazie alla preziosa pubblicazione di Nota, la vicenda artistica di Giovanni Salviucci trova finalmente una sua cristallizzazione discografica, il tutto accompagnato da un corposo libretto che funge da impeccabile guida all’ascolto grazie ai saggi di Giovanni Salviucci Marini, Pier Paolo De Martino, Paola Sincovich e Giovanni Arledler. 



Salvatore Esposito
Nuova Vecchia