Canzoni Cuntate: Intervista a Mario Incudine

Mario Incudine è “antico e contemporaneo”, “giovane e vecchio”, scrive Moni Ovadia nel presentare Anime Migranti, l’album più recente del trentenne artista siciliano, che lo scorso anno ha dato alle stampe anche l’ottimo Beddu Garibbardi: commento del popolo di Sicilia sulle gesta garibaldine, atto dovuto, in occasione del centocinquantesimo anniversario italiano, per raccontare l’unità d’Italia vista dal basso. Dischi editi dall’etichetta Finisterre, nei quali Mario raccoglie l’eredità dei cuntastorie, ma si mette in gioco – come già nel precedente Abballalaluna (Teatro del Sole/Egea, 2007) – anche come cantautore, inserendosi a pieno titolo nella scia di illustri cantori di Sicilia come i fratelli Mancuso e Carlo Muratori, senza dimenticare il De André mediterraneo, altra fonte di ispirazione poetica del polistrumentista ennese. Nelle canzoni di Anime Migranti Incudine adotta modelli sonori in cui si sono sedimentati stilemi del folk revival del Sud, ma abbraccia anche sonorità delle altre sponde mediterranee per raccontare migrazioni di ieri e oggi; al centro è la Sicilia: terra di partenze, di passaggi, di approdi. Ancora Ovadia: “Ascoltate Mario Incudine, il colore della sua voce, il suo stile interpretativo, il suo gesto vocale, condensano e distillano per noi l'arte e il sapere di una tradizione, la forza di una cultura, i suoni esplodenti colori di una lingua che trasuda umori, colori, ironie, il privilegio di contaminazioni antiche di una terra di accoglienza, solare e tragica, ricca di umanità travagliata, consumata dalle fatiche, dispersa negli esili, esiliata nelle sue masserie”. Poco o nulla da aggiungere, tutto da condividere! Con Beddu Garibbardi, che porta come sottotitolo: “quando ancora i siciliani non erano italiani”, Incudine racconta le gesta dell’eroe risorgimentale che assume le sembianze dell’eroe popolare, attingendo a temi d’epoca e a testi dello storico Rocco Lombardi, vestendoli di musiche proprie che richiamano stili e forme musicali delle diverse province isolane. Un lavoro di scavo in un corpus di canti risorgimentali locali di gran valore, dai tratti lirici del tutto originali, al quale Mario conferisce un considerevole vigore grazie ad intensa passione e vivace linguaggio musicale. Qui, la produzione di Ambrogio Sparagna è nel segno del folk revival più nobile, imperniata sull’eleganza ed efficacia degli strumenti della tradizione popolare. Due produzioni che rispecchiano pienamente la personalità di artista di Incudine, che incrocia musica e teatro, studi etnomusicologici e composizione di colonne sonore per il teatro. 

Il 2011 è stato un anno prolifico. Cosa c’è in comune tra Beddu Garibbardi e Anime Migranti. 
Un anno molto intenso e in barba alla crisi discografica sono usciti questi due album legati tra loro dal filo della memoria e soprattutto dall’esigenza di raccontare due storie consequenziali. In Beddu Garibbardi c’è la voglia di raccontare con gli occhi di un cantastorie, un cronista di quel tempo, il grande entusiasmo che rapì i siciliani all’idea di un sogno di liberazione dai tanti tiranni che avevano “posseduto” l’Isola, un entusiasmo per Garibaldi che veniva salutato come il liberatore, colui che poteva finalmente restituire dignità alle classi più povere, che poteva dare terra e pane e soprattutto libertà. Ma a questo entusiasmo poi seguì una grande delusione: prima la tassa sul macinato, poi l’introduzione della moneta cartacea (che i contadini non riconobbero) a scapito di quella aurea, la strage di Bronte, fino all’istituzione del servizio di leva che portava i giovani fuori dalla Sicilia, a Torino, per sette anni. Fu proprio in quel momento che la Sicilia è diventata ‘il Sud’, perché togliendo forza lavoro alle campagne il nuovo governo unitario ha forzatamente impoverito la nostra economia. Questo impoverimento ha costretto noi isolani a trovare lavoro e fortuna altrove, portandoci a emigrare verso il Nuovomondo, ma anche verso il nord Europa, per esempio in Belgio, per lavorare come schiavi nelle miniere di carbone a Marcinelle. Siamo diventati “anime migranti”, abbandonando un’Italia appena unita che però divideva gli italiani in ricchi e poveri. Fu un’emigrazione per niente facile perché venivamo denigrati, emarginati, ghettizzati, vittime di atti razziali inimmaginabili. Ho scoperto dalla lettura di lettere mandate dagli emigrati alle famiglie di origine come l’Italia rimanesse sempre un pensiero fisso, un amore costante nonostante l’impossibilità di dare ai propri figli un futuro. Questo concetto dell’Italia come pensiero costante è anche l’oggetto delle lettere mandate dai magrebini agli emigrati approdati nelle nostre coste in questi ultimi anni. L’Italia è una meta sognata da chi abita dall’altra parte del Mediterraneo, è la terra promessa, il “nuovo” Nuovomondo. Ho voluto mettere in parallelo queste storie, raccontare quando eravamo noi a partire e adesso come siamo noi ad accogliere, senza dimenticare che sulla rotta dell’America gli “africani” eravamo noi siciliani. Non si può fare finta di nulla adesso che siamo noi terra d’approdo, non possiamo avere la memoria corta e dimenticare che abbiamo avuto lo stesso destino. Diversamente da altri musicisti che hanno indossato mantelli da brigante per cantare la “conquista” del Meridione, tu hai scelto di indossare quelli del cuntastorie che celebra l’eroe Garibaldi. Più precisamente ho voluto indossare una lente bifocale per raccontare tutte le fasi dell’Unità d’Italia vista con gli occhi del popolo. Non ho fatto nessun revisionismo storico, mi sono solo limitato a raccontare attraverso le fonti storiche tutte le fasi salienti, dallo sbarco dei Mille alla venerazione delle donne per Garibaldi fino a raccontare il servizio di Leva o la strage di Bronte rivista attraverso un brano ispirato alla novella Libertà di Giovanni Verga. Sono i canti e i cunti che ci rivelano com’è andata realmente. Si percepisce un grande fermento e un forte entusiasmo e si assapora nello stesso tempo una profonda tristezza, uno sconforto, una delusione per una promessa tradita. Ma questa è storia. L’unico brano di pura invenzione che in qualche maniera fa trapelare il mio personale pensiero è “Lu me paisi”. In un’Italia piena di vie, piazze, teatri, ospedali dedicati all’eroe e lapidi commemorative ovunque (perché in ogni casa di ogni paese sembra sia andato a dormire Garibaldi, da ogni balcone sembra abbia pronunciato frasi memorabili), ho voluto immaginare un paese dove Garibaldi non fosse mai passato e che quindi sembra non possa entrare nella storia nazionale. I paesani quasi se ne rammaricano, ma alla fine dicono: “Vistu lu rinescitu di sti ‘mprisi/ lu dicu ‘ncunfidenza iu mi cunsolu/ ca di sti ‘mbrogghi sulu ‘u me paisi/ fora ristau da ogni tracchiggiu e dolu”, in buona sostanza, alla luce di come è finita male per noi siciliani, che abbiamo pagato un prezzo altissimo per l’unità, è un bene essere rimasti fuori dagli “imbrogli” del Generale. 

Come hai lavorato sulle fonti? Come hai scelto i brani? 
Devo dire che ho avuto due guide straordinarie. Rocco Lombardo, storico illuminato e profondo conoscitore delle tradizioni popolari, e Ambrogio Sparagna Con Rocco siamo andati a cercare testi antichi, andando a rovistare nelle raccolte di Antonino Uccello, Salomone Marino, Lionardo Vigo e abbiamo trovato tantissimo materiale che poi abbiamo elaborato secondo le nostre esigenze. Siamo però andati anche alla ricerca di storie trasmesse oralmente, che vivevano solo nei racconti di alcuni sporadici depositari anziani. Proprio in questi racconti tramandati di padre in figlio abbiamo trovato la storia di Peppa ‘a Cannunera, eroina catanese e unica donna tra i Mille che si inventò un sistema molto originale per sparare bombe ai Borboni: Peppa portò nella piazza di Catania un cannone facendo finta che fosse rotto e, quando i Borboni si avvicinarono per aiutarla, fece partire la miccia e consegnò il capoluogo etneo a Garibaldi. Per questo atto eroico lei non volle nulla, le proposero un vitalizio che rifiutò e accettò solo una cifra di denaro in contanti che le fu utile per tirare avanti”. Quanto ai brani, li ho scelti secondo la logica del racconto: volevo raccontare tutte le fasi della storia e devo dire che le fonti mi hanno consentito di fare un’ampia panoramica dei fatti. Certo, tra le centinaia di testi raccolti ho preso solo quelli che mi travolgevano di più dal punto di vista emozionale. Dopo aver visionato per esempio diverse versioni della battaglia di Milazzo del 21 luglio 1861, alla fine ho scelto quella di un contadino di un paesino sull’Etna, un uomo analfabeta, eppure dotato di una sorprendente poetica, e che a differenza di altri è riuscito a dare un’epicità unica alla battaglia, conferendogli il ritmo dell’“opera dei Pupi”, facendo muovere su una scena immaginaria Garibaldi e il capitano Bosco come se fossero due paladini: davvero geniale! Oppure ancora ho scelto la canzone sulla moneta di carta dalla raccolta del Vigo perché mi colpirono moltissimo questi versi: “Lu picuraru dici vi la ficcu/ ne la parti di lu corpu lu cchiù musciu”. Solo un siciliano per arrivare alla parola “culo” si mette in testa di usare un’espressione così, contorta e disarmante allo stesso tempo! Musicalmente, invece, ho scelto la semplicità perché la musica potesse essere al servizio della parola.

Anime migranti è disco di canzoni con il filo rosso del racconto, della memoria… E cos’altro? 
Il filo conduttore di Anime Migranti è il viaggio e l’approdo. Il racconto dei viaggi della speranza di ieri e di oggi, un parallelismo tra i nostri viaggi verso l’America, il Belgio, il nord Europa e le ondate migratorie che affollano le nostre coste a Lampedusa, noi e loro, lo stesso destino. Un disco di canzoni, un omaggio corale a una Sicilia che ha visto partire, che vede arrivare, ma che vuole raccontare la propria storia di terra di mezzo. Ho cercato di dare a ogni storia un vestito musicale unico, per questo convivono brani molto diversi tra loro (dal brano voce e pianoforte a brani con grande orchestra, da pezzi più intimi a canzoni più ricercate e ritmate). Volevo insomma che ogni storia avesse un vestito su misura. C’è una foto molto bella in copertina. Una stupenda foto di Charley Fazio che ritrae la Torre di avvistamento di Siculiana, vicino ad Agrigento. È un’enorme torre/porta sulla quale confluisce una strada che sbuca in mare aperto, una metafora del viaggio, che alla fine non si sa mai cosa riserva. 

Molte collaborazioni ed ospitate, come nascono? 
Dall’esigenza di fare diventare questo progetto un canto a più voci, volevo avere una pluralità di stili, colori e interpretazioni. Ho chiamato tanti amici attori, cantanti, musicisti e devo dire che ognuno di loro ha messo qualcosa di personale facendo diventare quella storia unica e magica. Ho trovato grande sensibilità e soprattutto grande solidarietà nei confronti del tema della migrazione. Sono felice di averlo condiviso con loro. 

Irrinunciabile una lirica di Buttitta… 
Sì, irrinunciabile perché Buttitta per me rappresenta il vero poeta, il vero cuntastorie, il vero “politico” delle parole. Ha saputo descrivere con un’immediatezza incredibile e con una profondità inviabile momenti fondamentali per la nostra terra, drammi che ci hanno segnato e che con la sua poesia sono arrivati fino a noi pieni di verità. Penso al racconto sulla strage di Portella della Ginestra o al lamento per la morte del sindacalista Turiddu Carnevale, fino a quella del racconto della strage di Marcinelle che io ho scelto e reinterpretato in questo disco. Ogni volta che eseguo quest’ultima dal vivo, ovunque mi trovi, specialmente all’estero, vedo il pubblico in lacrime e in piedi perché la forza di quelle parole prende anche chi non capisce il dialetto, arrivano in fondo. Buttitta diceva che a un popolo possono togliere tutto e rimane sempre ricco. Un popolo diventa povero e servo quando perde la lingua dei padri, e io voglio continuare a mantenere ricco il mio popolo utilizzando questa lingua. 

Da Terra ad Abballalaluna fino ad Anime Migranti: modi diversi di guardare alla tua Sicilia. 
Gli occhi sono sempre quelli, è il punto di vista che cambia. In Terra c’era il mio villaggio, la mia Enna con le sue storie di paese, con i santi in processione, i racconti degli anziani e la mietitura del grano, c’erano le cose che mi rapivano da bambino e volevo raccontare quelle storie per non dimenticarle. In Abballalaluna c’era la consapevolezza di una Sicilia che si trasforma e che si apre al mondo. Qui c’era spazio per le diverse declinazioni dell’amore, da quello romantico a quello più disincantato per le proprie radici, fino a quello “buttano” di deandreiana memoria nella mia tradizione e rivisitazione in chiave sicula della celebre “Bocca di Rosa”. La Sicilia qui è insomma non una terra nostalgica, ma il trampolino di lancio per conquistare il Mediterraneo. Anime migranti invece è l’attualità che si radica nel passato, una mescolanza tra la radice folk e quella world, è lo sguardo a una Sicilia che è sud d’Europa e nord d’Africa, porta del mondo, soffio dell’amore universale tra i popoli. Quanto e come ti aiuta l’essere anche attore… Mi aiuta a incarnare ogni storia con la giusta tensione e a trasferirla agli ascoltatori in maniera più vera. E poi mi aiuta a entrare in contatto con il pubblico più velocemente e nel miglior modo. 

Enna, un tempo terra di miniere, di carrettieri e campi di grano. Cosa resta della cultura popolare orale? 
Enna per la sua posizione geografica conserva ancora le proprie tradizioni, anche se comunque la modernità ha cancellato certe prassi esecutive e certi repertori. Il recente fiorire di molti gruppi folk, di associazioni di recupero del patrimonio immateriale formati prevalentemente da giovani e giovanissimi fa ben sperare: queste nuove realtà possono recuperare e conservare il patrimonio secolare del nostro entroterra e tramandarlo attraverso modelli esecutivi e repertori contemporanei. 

Porterai questi dischi in tour? Ci sono altri progetti legati alla tua anima di compositore? 
Sì, c’è un tour in programma. È partito da Bologna lo scorso novembre e ci sta portando in giro per i teatri italiani, continuerà anche in estate all’estero, in località come Marocco, Portogallo, Francia e Spagna. E, alla faccia della crisi discografica, è quasi pronto a venire alla luce un altro disco prodotto da Kaballà che uscirà a fine aprile. Nel frattempo, sulla scia di Anime Migranti, sto componendo le musiche originali dell’opera teatrale “La nave delle spose”, prodotta dal Teatro Stabile di Catania, con Lucia Sardo e per la regia di Giuseppe Dipasquale. Si tratta di un lavoro molto intenso sulle donne siciliane che si sposavano per procura con degli americani sconosciuti (i quali molto spesso non corrispondevano neanche alla foto inviata) e che partivano per gli Stati Uniti affrontando il mare, la precarietà e lo spettro di una vita anni luce lontana da quella dei loro sogni. 

Ciro De Rosa 



Mario Incudine – Anime Migranti (Finisterre/Felmay) 

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Considerato uno dei più interessanti cantautori siciliani degli ultimi anni, Mario Incudine è un’artista a tutto tondo, con alle spalle un intenso e rigoroso percorso di ricerca, che lo ha condotto negli anni, dapprima ad approfondire la grande tradizione di cantastorie della Trinacria e successivamente a diventarne erede ed interprete. A tre anni dalla pubblicazione di Abballaluna e a breve distanza dallo splendido Beddu Garibbardi, Incudine torna con un nuovo album, Anime Migranti, che raccoglie dodici brani incisi con alcuni ospiti d'eccezione come Salvatore Bonafede al pianoforte, Edoardo De Angelis, Alessandro Haber, Lello Analfino, le voci di Anita Vitale, Djeli D’Afrique, Kaballà, Mario Venuti, Faisal Taher, e il coro Hathor del Primo Circolo di Vittoria diretto da Cinzia Spina, nonchè Erri De Luca recitato da Nino Frassica. Il disco ruota intorno al tema dell'emigrazione, come specchio attraverso il quale si riflette la storia, ma anche le storie di quanti hanno attraversato prima gli Oceani e poi il Mediterraneo alla ricerca della fortuna. Incudine ci propone così un viaggio sui i sentieri e le rotte tracciate dalle anime migranti nel corso della storia, sentieri e rotte nei quali ancora oggi risuonano i canti che i nostri nonni hanno portato oltre oceano, nei quali hanno conosciuto la fratellanza, quella vera, che abbatte le differenze sociali e che arriva a cancellare anche il dolore e la fatica. Ieri erano tanti i siciliani che si recavano in America alla ricerca di fortuna e lavoro, oggi invece le nostre coste accolgono gli africani, che giungono da noi spinti dagli stessi motivi. Ieri la Sicilia era il punto di partenza, oggi è invece l'approdo, ma seppur a parti invertite, la storia torna a ripetersi con l'incontro e il dialogo tra culture diverse, un dialogo aperto, sincero, nel quale i racconti delle miniere di carbone del Belgio dove hanno lavorato tanti siciliani, si mescolano ai drammi dell'immigrazione. Quest'isola diventa, dunque, una sorta di teatro a cielo aperto nel quale si alza un canto corale che racconta il nostro tempo, che racconta le tragedie delle carrette del mare, dei morti, ma anche dell'amore da cui nasce l'accoglienza. Il musicista siciliano ci offre, dunque, una riflessione profonda sul valore della memoria, per non dimenticare le nostre radici e le nostre sofferenze, ma anche per sensibilizzarci verso quanti approdano in Italia alla ricerca di un futuro migliore. Ad aprire il disco è la splendida Salina, brano con il quale il cantautore siciliano ha vinto il Festival Della Nuova Canzone Siciliana, e caratterizzata da sinuose sonorità mediorientali, che ci introduce a Sottomare, nel quale brilla l'ottimo testo recitato da Nino Frassica mentre sullo sfondo dialogano il pianoforte suonato dal produttore Antonio Vasta e il violino di Giuseppe Cusumano. La voce del siciliano Kaballà caratterizza invece Novumunnu, nel quale la tradizione siciliana si confronta sorprendentemente con il coroOmnia Beat Gospel projet, mentre la dolcissima Tenimi l’occhi aperti, vede la partecipazione dell’Orchestra di Puglia e Basilicata diretta da Valter Sivilotti e le voci di Anita Vitale e Mario Venuti. Si passa poi alle sonorità dell'Africa con Namenàme, nella quale spicca il suono del corno tunisino suonato da Antonio Putzu e le splendide voci di Alain Victor Mutwe e Samuel Kwaku Gyamfi, che fungono da perfetti contrappunti al testo intensissimo nel quale Incudine canta la nostalgia della propria terra e la prospettiva di un futuro ancora tutto da disegnare. Si passa poi dalla grande suggestione di Speranza Disperata in cui la voce di Mario si confronta con quella tenue di Edoardo De Angelis in un duetto che vede il contrasto tra siciliano ed italiano, ai ritmi trascinanti di Sempri Ccà, i cui colori mediterranei incorniciano la voce del cantautore siciliano con quella di Giancarlo Guerrieri e Max Bosa. Non manca una splendida rivisitazione di Lu Trenu Di Lu Suli di Ignazio Buttitta nella quale brilla il violoncello di Redi Hasa, e che evoca la tragedia della miniera di Marcinelle nella quale l’8 agosto 1856 persero la vita molti minatori siciliani. Sul finale arrivano poi le intense Terra in duetto con Faisal Thaer, Sotto un velo di sabbia, e Strati di paci, ma il vertice del disco arriva con Lu Tempu è Ventu, brano di grande spessore poetico, intessuto sul dialogo tra la chitarra acustica aperpeggiata di Massimo Germini e il violoncello di Paolo Pellegrino. Anime Migranti è così un disco di grande intensità nel quale il cantautorato sposa una visione world della musica siciliana, facendo emergere un intreccio di suoni e colori musicali di grande suggestione. 



Salvatore Esposito
Nuova Vecchia